Recensione a Furioso Orlando. Ballata in ariostesche rime per un cavalier narrante – regia di Marco Baliani
Si fa fatica a entrare dentro lo spettacolo Furioso Orlando, dove le rime e le strofe cinquecentesche sembrano allontanare qualsiasi sguardo di quotidianità e di reale presente, erroneamente. La guerra tra cristiani e saraceni intrecciata alle battaglie mosse dall’alto sentimento amoroso dei vari personaggi, protagonisti del poema epico di Ludovico Ariosto, fanno ripiombare lo spettatore in un luogo dove il tempo si è fermato, o forse, si è riavvolto e mostra un passato dimenticato, riflesso non lontano del nostro oggi.
Le gesta di Orlando, Ruggero, Astolfo, Angelica, Bradamante, Ferraù e dei tanti altri che affollano la versione originale di Orlando Furioso, sono qui rimaneggiate e sapientemente intrecciate a versi che son propri di Dante, Shakespeare, Omero. Si creano continui cortocircuiti, spostamenti e aperture verso differenti possibilità di lettura tanto che le vicende narrate non sembrano appartenere a un’unica storia, ma vanno a comporre un quadro più ampio ben complesso, un patch work che acquista senso grazie allo sguardo distaccato che nel nostro presente rivolgiamo a una materia sedimentata dentro noi stessi. Il sapiente drammaturgo Marco Baliani, che firma anche la regia di questa pièce liberamente tratta dalla ballata ariostesca, ben soppesa i tempi e non li rende mai noiosi, anzi li alterna a momenti di raffinata ironia. Ed è proprio qui il valore aggiunto: il passato è visto sotto una lente che ingrandisce non solo i bellissimi versi, ma anche gli stereotipi, i modi e i costumi del tempo; c’è un sottile passaggio che trasla le vicende cantate da Ariosto nel quotidiano grazie a interventi che pungolano il maschilismo cinquecentesco o riflettono sulla facilità con cui la morte si impossessa della vita.
Non è solo la drammaturgia a rendere intrigante questo Furioso Orlando: inizialmente forse troppo meccanico e distaccato nel recitar versi, Stefano Accorsi si fa interprete poi appassionato servendosi di una mimica gestuale mai troppo caricata; il suo narratore è disorientato dalle tante vicende che confluiscono dentro la ballata e porta con sé il carico della letteratura che ha preceduto Ariosto e che molto lo ha ispirato. Accompagnato in scena da una pungente Nina Savary, l’attore narra le vicende dei vari personaggi con una giocosità e una propensione alla messa in discussione, puntualmente interrogato e ripreso dalla compagna con cui divide una scena fatta di pochi elementi poveri ed essenziali, costruiti da Bruno Buonincontri. Loro stessi, utilizzando gli strumenti sul palco, danno vita a canti e musiche semplici, fatti di armoniose melodie vocali o rumori di zoccoli di cavalli, soffiare del vento e scorrere dell’acqua. Parlano di un mondo perduto, di avventure immaginifiche dove l’amore non era cortese, ma motivo di morte, battaglie e follia. Dove la donna non è mai perdonata, ma sempre colpevole – come ribatte puntigliosamente la Savary.
Con enfasi Accorsi chiama il pubblico a credere a queste storie, dove i canti si confondono e si accavallano e a cui ci si abbandona grazie a una musicalità che ben rapisce l’attenzione e a un testo che coinvolge e incuriosisce, fa sorridere e rimanere sospesi.
Ecco che si riscopre un mondo che sembrava lontano dai nostri giorni, ma che in fondo narra di fatti che anche oggi per gelosie o follie umane accadono; in fondo l’umanità è stata sempre la stessa. Si riscopre sotto una diversa lente un Ariosto che in molti hanno abbandonato sui banchi di scuola e che grazie all’intelligente operazione di Baliani si è quasi spinti a rileggere, proprio come gli stessi attori si augurano alla fine della loro performance.
Visto al Teatro Persiani, Recanati
Carlotta Tringali