alessio boni teatro

Se l’amicizia diventa un gioco al massacro con Art

Gigio Alberti, Alessandro Haber e Alessio Boni

Recensione a Art – di Yasmina Reza, regia di Giampiero Solari

Che cosa rimane di tre uomini, legati da una quasi ventennale amicizia, che si ritrovano di fronte a un quadro bianco? Uno strano senso di malessere, falsità, cattiveria, arroganza e spocchiosa superiorità. Ma tutto superabile, pur di non restar soli. Si potrebbe riassumere così la brillante commedia scritta dalla francese Yasmina Reza nel 1994 e ripresa nella traduzione di Alessandra Serra per l’allestimento di Giampiero Solari. E tutto questo è Art, opera che ha consacrato al successo la Reza – autrice anche de Il Dio della carneficina, recentemente apparso sui grandi schermi grazie al riadattamento che ne ha fatto Roman Polanski con Carnage –.

Marc, un superbo ingegnere aeronautico tradizionalista interpretato da Gigio Alberti, definisce “una merda” il dipinto appena acquistato dall’amico dermatologo Serge, l’esuberante Alessio Boni, che ha pagato una cifra esorbitante un quadro del tutto bianco. Ma fa tendenza, secondo le leggi dettate dai guru che si occupano di arte: ecco che il contemporaneo, spesso comprensibile solamente a chi è del settore, è continuamente messo sotto accusa da battute al veleno e diventa la scintilla che fa scattare isterismi, crudeltà e cattiverie varie che i due si scambiano.
Situazione che peggiora e degenera soprattutto se poi il quadro risulta privo di emozioni per Marc ma non per Yvan, l’amico che completa il terzetto innescando momenti nella commedia tremendamente divertenti. Vicino al matrimonio, dipendente dallo zio di lei per una carriera dentro una cartoleria, il nevrotico e sconquassato personaggio di Alessandro Haber pur di non far torto a nessuno, accontenta prima Marc e poi Serge, risultando così il punching ball di turno e immagazzinando offese su offese: in fondo «nell’amicizia la tolleranza è il miglior difetto». Straordinari i tre attori che fanno della drammaturgia della Reza un gioco al massacro: dall’acquisto del quadro si scava un malessere innescato da meccanismi contorti di un’amicizia nutrita da arroganza e superbia, nascoste dietro maschere di perbenismo per sopportarsi l’un l’altro, ma anche di gelosie e di una solitudine che spaventa.

Da un quadro bianco – riflesso nella stessa scena di Gianni Carluccio che ricrea un ambiente interno asettico su cui ben si riflettono le belle sfumature colorate delle luci di Marcello Iazzetti – si arriva ad analizzare cinicamente dei rapporti al contrario troppo “imbrattati” da falsità e isterismi: bisognerebbe azzerare tutto e tornare a tracciare le fila di un’amicizia che vuole sopravvivere. Ma d’altra parte, come afferma Yvan-Haber durante la commedia «Tutto ciò che c’è di bello a questo mondo non nasce mai da discorsi razionali». Come pretendere che una bella amicizia sia razionale?

Visto al Teatro Persiani, Recanati

Carlotta Tringali