Durante il festival B.Motion Teatro sono stati offerti al pubblico due laboratori: For ever, a cura di Ilaria Dalle Donne – a B.Motion con lo spettacolo Alice disambientata – e Alessandro Pezzali di Teatro Magro,e Walking Zombi, parte di un progetto a cura di Daniele Timpano ed Elvira Frosini.
I curatori dei laboratori ci hanno permesso delle brevi e discrete incursioni nei loro luoghi di lavoro, dandoci modo di chiacchierare con loro e con i laboratorandi.
Dall’osservazione, dal dialogo e dalla visione delle presentazioni finali, nascono queste due estemporanee dei progetti svolti.
ILARIA DALLE DONNE/TEATRO MAGRO, For Ever
Il laboratorio
L’idea di partenza del progetto nasce dalla passione per il disegno e per il segno che nel tatuaggio «si modificano alla ricerca di una sintesi» poiché la pelle necessita di un tratto, di un colore, di una composizione. Il tema del tatuaggio, inoltre, si presenta come assolutamente universalizzabile: ognuno ha un’opinione sulla cosa, alcune persone non se lo farebbero mai, altre lo fanno per dare un segno forte di appartenenza a un gruppo, altre ancora devono maturarne a lungo il concepimento. Ci si tatua «per ri-appartenere, appartenere a qualcosa, ricordarsi, ricordare».
Solo recentemente, sostengono i curatori, il segno impresso sulla pelle si è contaminato divenendo moda, modificando la sua sostanza rituale, ma conservando un’idea fondante di permanenza.
Perché tatuarsi? Che cosa? Seguendo quale traiettoria di pensiero e di azione? A chi permettere di compiere il gesto del segno sul nostro corpo?
Queste, le domande di partenza poste ai partecipanti al laboratorio, con il fine di indagare le tracce espresse e quelle inespresse sulla pelle, quelle che si è scelto di far affiorare e quelle che si rifiuta di marcare ma esistono all’interno. L’indagine, di una certa complessità, è solo il punto d’origine di un progetto più ampio che porterà con ogni probabilità a una realizzazione spettacolare tutta centrata sul tema del tatoo, delll’appartenenza a un gruppo, del marchio, della permanenza, del segno indelebile che cresce, invecchia, si modifica, in parte con noi, in parte prendendo direzioni autonome e impreviste – un tatuaggio può spostarsi, cambiare colore, sbiadirre.
Gli incontri laboratoriali con i partecipanti – tra i quali, la giovane mamma di una bambina di tre mesi, i cui ritmi vitali hanno sostanzialmente influito sull’evoluzione del lavoro (qui, le impressioni di Lara sul laboratorio) – si sono articolati a partire da alcuni esercizi teatrali che Ilaria Dalle Donne ha definito «di composizione scenica» di movimenti, parole, azioni, oggetti, scrittura. Alessandro Magro ha guidato nella sintesi, nella semplificazione, mai banalizzante e spesso articolata in musica, delle azioni e reazioni, rifletttendo, smussando, calibrando. Tanto la prima curatrice, quanto il secondo si sono messi in ascolto degli allievi, delle loro storie, delle loro necessità, più vitali che teatrali, modificando, di volta in volta, la pedagogia e il consiglio, la guida e la ripresa.
Gli esiti
Una presentazione essenziale. Ilaria Dalle Donne è al centro della scena, pronuncia le parole di un esorcismo e diventa feroce nel suo pallido candore. Una luce stroboscopica aggredisce il pubblico, musica metal. La prima si spegne, la seconda si tronca, etrambe sembrano sfumare in un rumore metallico, aggressivo, il rantolo lancinante di un insetto in agonia: la macchinetta ad aghi, lo strumento dell’esorcista, colui che mette in atto una pratica per scacciare il demone, far apparire il segno, portare l’invisibile a manifestarsi.
Uno ad uno entrano, quindi, i tatuati, o potenziali tali, laboratorandi che, nelle loro lingue – con i loro segni – descrivono la ferita, il momento dell’iniziazione, la traccia che resterà, si trasformerà, vivrà con il suo ospite for ever. Il primo, giovanissimo, parla in albanese e inglese, porta a galla la figura di sua madre, il marchio della scomparsa. La seconda, con in braccio la piccola Maya, entra disinvolta, di spalle, su una musica dolcissima, ondeggia, culla, si volta: mostra il segno più indelebile.
In una maniera delicata e forte allo stesso tempo, Ilaria Dalle Donne e Alessandro Pezzali portano in scena il risultato di un laboratorio intimo, che agisce sulle soggettività e si modula in base alle fisicità e alle personalità: iniezioni di inchiosto della dolcezza di una madre e del dolore di un figlio orfano.
DANIELE TIMPANO & ELVIRA FROSINI, Walking Zombi
Il laboratorio
Corpo morto è un progetto che ha avuto origine nel dicembre 2012 durante il cantiere di Perdutamente al Teatro India di Roma ed è stato riproposto, nel corso dell’ultimo biennio, a La Spezia, Genova, Milano, Asti, Rieti e, ora, Bassano. L’esito di ognuno di questi laboratori prende il titolo di Walking Zombi: ciclo di avvistamenti e apparizioni zombi negli spazi urbani, presentato sempre in dittico con lo spettacolo – e la condizione esistenziale – Zombitudine.
Ogni tappa, ci raccontano i curatori, è una ri-lavorazione di una progettualità che ha una componente fissa, reiterata di città in città, e una componente variabile, di ricerca, che si sviluppa in relazione alla singola popolazione non più viva e non ancora morta dei partecipanti: al numero, alla formazione, alla predisposizione, all’iniziativa dei gruppi e delle strutture che ospitano il laboratorio. Il progetto nasce dall’esigenza di uscire dai teatri e dal teatro, «questo illusorio spazio dove succede qualcosa, questo luogo in cui siamo rimasti incagliati», sottolinea Timpano, per dare un segno di vitalità, creare piccole comunità e, allo stesso tempo, legare questa speciale esperienza allo spettacolo.
Il lavoro svolto con gli apprendisti-zombi bassanesi, proseguono Daniele Timpano ed Elvira Frosini, parte da esercizi fisici, di rilassamento e contatto con il corpo, il proprio e quello degli altri, per acquisire una tensione vigile, non-morta né rigida, ma attenta alla reazione del pubblico sorpreso dalle incursioni in strada. Un altro obiettivo esplicito è cercare di ripulire l’azione e la parola dagli elementi grotteschi che naturalmente possono emergere, alla ricerca di un’essenzialità che oscilli costantemente «tra l’inquietante e il ridicolo», senza mai sconfinare nell’esagerazione, nella pantomima, nel grottesco più spinto. Uno degli esercizi più interessanti, che si fa sintesi dell’idea stessa del laboratorio, prevede che, uno alla volta, i partecipanti si estraneino dal gruppo-zombi per interpretare lo spettatore vivo, forse violato, forse divertito, forse provocatore, forse indifferente.
Intervistata, la comunità-zombi bassanese ci ha raccontato della consapevolezza maturata nel corso del lavoro: del proprio corpo, dei propri movimenti, ma anche del mondo in cui, come zombi, gli uomini si muovono tutti i giorni. Su quello stesso mondo, dopo Walking Zombi, i laborantorandi si dicono in grado di esercitare uno sguardo più vigile, più lento, più attento.
Gli esiti
Un’incursione vitale, sul Ponte vecchio di Bassano, nelle strade e nelle piazze, articolata in due movimenti. Il primo – con Daniele Timpano in testa, insieme a uno zombi-ospite, incontrato durante altre tappe e ora promosso a capo-zombi, entrambi vestiti da preti – prevede l’avanzata faticosamente lenta della processione, un megafono amplifica l’Inno di Mameli, un altro un monologo che chiama i vivi e i morti a raccolta, invita i «compagni dai campi e dai crematori» a uscire dal loro torpore, a una «dittatura funeraria», a «marciare, marciare e non marcire», a un «lutto continuo», perché «el zombi unido jamás será vencido». Il secondo movimento sostituisce alla forza della parola quella dell’immagine silenziosa, invadente, disorientante. A fare da guida-zombi, in questo caso, troviamo Elvira Frosini. Incedono, si fermano, indicano, riprendono a camminare, tutti illuminati dalla luce asettica e omologante del cellulare. Si fermano di nuovo. Si dispongono ordinatamente e cantano‚ muti.
Il risultato del laboratorio è di una grande forza teatrale, nella provocazione dell’incursione, ma anche nella precisa presenza fisica dei laboratorandi. Il pubblico segue divertito l’avanzata dell’orda che lo rapppresenta ironicamente, gli insinua dubbi e, in definitiva, lo spinge a prendere una posizione attiva.