biennale danza maratona off

Accade anche quando meno lo si aspetta…

Recensione a Marathon of the Unexpected – Sezione “off” del 7. Festival di Danza Contemporanea

Fabrizio Favale - foto di Alvise Nicoletti

Sei ore di maratona per ventuno performance di breve durata: con questa esperienza dal titolo più che azzeccato, ossia Marathon of the Unexpected, si inaugura la piacevolissima sezione “off” del 7.Festival di Danza Contemporanea della Biennale di Venezia. Un’iniziativa lodevole che ha dato spazio alle nuove generazioni e che ha funzionato come un orologio svizzero: una carrellata di giovani corpi danzanti si sono avvicendati sul palco del Teatro Piccolo Arsenale senza mai cadere in tempi morti di montaggio tra un gruppo e l’altro; ma soprattutto non è mai sopraggiunta la noia per chi ha preso parte all’intera giornata dato che ogni nome aveva al massimo 15 minuti per esibirsi. Amata od odiata, ogni performance era breve ma al punto giusto: in caso di interesse si aveva una sorta di promo tale da stuzzicare e ricordare il nome appena visto per una prossima volta; nel caso opposto la breve durata non lasciava scappare lo spettatore che rimaneva immobile per non rischiare di perdersi il danzatore successivo, che sarebbe sempre potuto essere quello preferito.

Molte quindi le proposte da cui si possono trarre degli elementi comuni come l’uso della musica elettronica che è andata per la maggiore: ad effetto e curata in alcuni casi, come per esempio ne Il gioco del gregge di capre, un curioso solo del bravissimo Fabrizio Favale realizzato in collaborazione con Le Supplici che ne ha curato appunto il set, o monotematica e piatta in altre performance.

Ma-shalai foto di Biennale Venezia/A.Myake

Una tendenza diffusa forse dovuta dal pensiero che la musica elettronica sia una perfetta sposa della danza contemporanea; vero in diversi casi, ma sicuramente non unica strada percorribile come ha dimostrato il magnifico trio siciliano di Petranura Danza/ Megakles Ballet: sulle sognanti note di violoncello del compositore Giovanni Sollima, Valeria Ferrante, Adalgisa Polopoli e Salvatore Romania hanno dato vita a una poetica rincorsa di intenso trasporto con Ma-shalai, termine dialettale che indica una goduria raggiunta dai danzatori e arrivata vibrante fino al pubblico che ha fortemente applaudito dopo questo rapimento completo.

Altro filone, purtroppo notato in questa vetrina di giovane danza, è quello del non impegno sociale. In molti preferiscono trarre ispirazione da episodi di vita quotidiana o indagare sentimenti o situazioni della propria esistenza. Che la danza sia vista come una via di fuga da una società in cui è sempre più difficile riconoscersi? Forse semplicemente si punta una lente su se stessi, sulla propria individualità, indagando le proprie emozioni o relazioni con l’altro. Un esempio efficace di vissuto si ritrova nel duo olandese di Gotra Ballet in Koffie verkeerd: Joost Vrouenraets e Maïté Guérin con le loro impeccabili coreografie senza sbavature mostrano l’impossibilità di un amore che sia eterno in una relazione iniziata con passione ma che finisce in violenza e rabbia reciproca.

ShiroKuroChan - foto di Alvise Nicoletti

Se l’atleticità e l’azione irruenta dominano la danza della coppia nordeuropea, il movimento impercettibile e caricato di grande ritualità caratterizza ShiroKuroChan di e con Motoya Kondo e Tiziana Longo: uno stile completamente opposto per indagare lo stesso tema, quello amoroso, attraverso la danza butoh giapponese, dove due anime nascondono il viso dietro una grande rosa, una bianca e una nera per cercare un incontro tra spiriti contrastanti in un rituale pieno di poesia e magia.

Di fronte a lenti di ingrandimento poste sul sé, un grande plauso spetta alla Compagnia COLAPS, l’unica a presentare un lavoro-denuncia che è XX: in scena la bravissima Jessica Maria Bellarosa insieme a Maurizio Mauro – accompagnati da Sara Santoro e Marco Di Stefano che immobili e seduti a un lungo tavolo non spostano i loro occhi dai computer – indaga la differenza tra maschile e femminile, ma soprattutto cerca la risposta al perché il genere “XX”, appunto, venga sfruttato, usato, violentato e distrutto; domanda che rimane aperta.

XX - foto di Alvise Nicoletti

Il pretesto da cui parte COLAPS è la dichiarazione, piena di ironia, fatta dal Presidente del Consiglio Italiano rispetto agli scafisti che dall’Albania portano clandestini nel Bel Paese, dichiarazione che parla di un’eccezione che si farebbe nel caso in cui ad arrivare siano “belle ragazze”. Una scrittrice albanese, Elvira Dones, piena di indignazione ha scritto in risposta una lettera aperta per denunciare come queste “belle ragazze” subiscano violenze sessuali o si ritrovino a vivere su un marciapiede. Una lettera le cui parole risuonano nel Teatro Piccolo Arsenale mentre Jessica Maria Bellarosa dà vita a movimenti che si ripetono fino allo sfinimento e che si placano solo al contatto con Maurizio Mauro, che in pochissimi gesti placa l’impeto della compagna e ne mostra il corpo come fosse merce.

Molte altre le proposte interessanti dal punto di vista tecnico tra cui l’impegnativo Umanocontrocanto di Sabrina Massignani – Venezia Balletto con ben sei ballerini sul palco, l’immaginifico <Seize> di Ming-Wha Yeh (direttamente dal Taiwan) o lo spiritoso Spot di Matteo Carvone, Alessio Attanasio e Valeria Galluccio.

Una maratona da cui si esce senza fiatone grazie anche alla acuta e perfetta organizzazione di cui si deve sottolineare la serietà e l’impegno per tutto ciò che è stato inaspettato, ma che è piacevolmente accaduto.

Visto al Teatro Piccolo Arsenale, Venezia

Carlotta Tringali