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Irina Brook e il suo DreamTheatre: quando il teatro è magico e artigianale

Chiesa di San Simone

Chiesa di San Simone

Nato nel 1958 da un’idea del compositore Gian Carlo Menotti, il Festival dei 2Mondi si è da subito distinto per la sua particolarità nell’accostare discipline artistiche differenti durante una stessa manifestazione e in uno stesso luogo. Il Maestro aveva intuito che una città come Spoleto – collocata in centro Italia, non dispersiva e molto ricca culturalmente per il suo patrimonio storico-artistico – poteva accogliere un festival poliedrico, unendo tradizione e classicità, nuovo e contemporaneo. Grazie alle sue strutture e architetture – che vanno dalle chiese longobarde ai chiostri rinascimentali, dall’anfiteatro romano alla piazza mozzafiato del Duomo, dalla rocca albornoziana al ponte romano, dai palazzi signorili ai teatri restaurati, scrigni di piccoli gioielli – il Festival può ospitare in luoghi inusuali spettacoli di teatro o danza, concerti, convegni, istallazioni, film, mostre. E ognuna delle proposte “festivaliere” acquista un valore aggiunto proprio grazie alla location: scenografie naturali e antiche che si vanno a intrecciare con la natura viva e effimera del teatro. Uno spazio può raccontare molto più di quanto si pensa: è testimone unico di tutto quello che al suo interno è accaduto durante i vari anni, trasuda storie che si possono respirare, intuire o immaginare solo osservando le mura; basta varcare un portone, un cancello, scendere le scale ed entrare, mettersi in ascolto e sognare.

Proprio il tema del sogno si lega indissolubilmente a La trilogie des Iles, un progetto ideato, adattato e diretto da Irina Brook che, con il suo DreamTheatre, arriva alla 56edizione del Festival di Spoleto. Si rievocano mondi magici e lontani, luoghi fantastici e verosimili; sembra quasi che il titolo della rassegna umbra si rivolga non tanto all’Europa e all’America – come vuole la storia – ma alla realtà e al sogno, 2 mondi che si incontrano in pochissimi luoghi; il teatro è uno di questi.

All’interno della chiesa longobarda di San Simone, un’incredibile struttura ampia completamente vuota, fatiscente e affascinante, con mura scrostate e martoriate, prendono vita le tre storie di vendetta, perdono, amore e libertà che la figlia del grande Peter Brook propone con la sua compagnia. Una trilogia che attraversa le isole della letteratura chiamando in causa, per farlo, la fantasia dello spettatore e dei bravissimi attori che trascinano il pubblico, per un paio d’ore, con loro su quei posti dimenticati, in cui le vicende drammatiche, amorose e avventurose si susseguono. Non ci soffermiamo sul primo atto di questo progetto, L’Ile des Esclaves, su cui ha già riflettuto la nostra Rossella Porcheddu (leggi qui l’articolo), ma sui due successivi: Tempête! e Une Odyssée.

A colpire sin da subito del lavoro della Brook è che questa regista dà importanza a tutto quello che precede e segue lo spettacolo. Varcare la soglia di San Simone è come scostare la tenda di un circo francese d’altri tempi: al suo interno sono contenute storie, personaggi e oggetti sospesi in un tempo indefinito, che aspettano il loro turno per potersi animare e raccontare così la propria storia. Ai lati della passerella posta nella navata centrale ci sono infatti le scenografie proprie del capitolo successivo o precedente della trilogia: un modo per dare continuità a un progetto che ogni sera a Spoleto56 mette in scena una delle tre storie.

Circe - foto di Maria Laura Antonelli

Circe – foto di Maria Laura Antonelli

Prova attoriale, rielaborazione drammaturgica, artigianalità, stupore e poesia potrebbero essere le parole chiave attorno cui ruota tutto il DreamTheatre: l’incredibile compagnia multietinica commuove, diverte, stupisce e fa riscoprire un lato interiore spesso dimenticato, facendo apprezzare i gesti e la magia delle piccole cose.
E allora Une Odyssée – tratto da Omero e particolarmente consigliato alle famiglie e ai ragazzi – può diventare la storia raccontata in stile rap da degli alunni che vivono le avventure di Ulisse e compagni sulla propria pelle, utilizzando una panca come nave e un telo azzurro come mare; rivisitando completamente in uno stile fiabesco, ironico e intelligente gli incontri dell’eroe che sconfigge Polifemo con delle pecore in peluche o i pretendenti di Penelope con una sfida di danza; dove una Circe hawaiana fa cocktail fatali, Hermes è un messaggero pasticcione e la regina dei Lotofagi è un’insegnante di yoga. Uno spettacolo che termina con un pubblico entusiasta che scende le gradinate con foga per andare a complimentarsi direttamente con gli attori.

Tempesta - foto di Maria Laura Antonelli

Tempesta – foto di Maria Laura Antonelli

Più elaborato e raffinato è Tempête!, rielaborazione originale e divertente tratta da Tempesta di Shakespeare: un vero e proprio gioiello in cui il teatro rapisce lo spettatore trasportandolo in un mondo che non c’è, dove Prospero è uno chef napoletano espropriato dal proprio ristorante dal fratello Alonso, Miranda è una dolcissima e semplice fanciulla a cui piace recitare in inglese i versi di poesie di Shakespeare e Byron, il suo innamorato Ferdinando un impacciato e allo stesso tempo ottimo cuoco, Ariel un trasformista, burattinaio e mago, Calibano un mostro dal cuore tenero e i marinai Trinculo e Stefano dei gran ballerini di musica hardcore. Il tutto inserito in una scenografia fatta con materiale di recupero e pentolame vario che offre la possibilità agli attori di dar vita, di volta in volta, a una tempesta fatta con carta stagnola accartocciata, a un racconto dove i personaggi sono ortaggi e verdure e a dei numeri di prestigio che creano continui momenti di stupore. Un teatro fatto dagli attori, ottimi e appassionati interpreti che si muovono altresì tra tecniche comiche, mimiche e circensi; un gruppo corale affiatato diretto da una grande donna, che ci fa credere che a volte, il teatro delle piccole cose è quello che più può suggestionare esperti del settore e non.

Visto a Spoleto56, Festival dei 2Mondi

Carlotta Tringali