Demoni

DEMONI_tre brevi addii

“I personaggi di Dostoevskij, sappiamo bene, non sono né strani né assurdi. Ci assomigliano, hanno i nostri stessi sentimenti. I demoni è un romanzo profetico non solo perché annuncia il nostro nichilismo, ma anche perché mette in scena anime dilaniate o morenti, incapaci d’amare e sofferenti di non poterlo fare, che vogliono e non possono credere, che sono le stesse che popolano oggi la nostra società e il nostro universo spirituale”.

Palazzo Tamborino Cezzi, Lecce

Palazzo Tamborino Cezzi, Lecce

Così, Albert Camus si pronuncia nel 1959 adattando la grande opera dostoevskiana.
Durante il Teatro dei Luoghi Fest organizzato da Cantieri Teatrali Koreja di Lecce, Alessandro Miele e Alessandra Crocco hanno presentato la prima tappa di uno studio sul romanzo ottocentesco, suddividendola in tre episodi, rispettivamente, per uno spettatore, i primi due, e per dieci, l’ultimo.
Quanto segue è un attraversamento dei corridoi, dalla bellezza straordinariamente decadente, del Palazzo Tamborino Cezzi dove gli attori hanno ambientato le azioni e le vite dei protagonisti del movimento tripartito.

#Frammento 1 / (lo sguardo di) Marija

Una tensione palpabile tra lo spettatore e la sua guida. Uno sguardo furtivo al giardino interno. Qualche certezza e alcune intuizioni. Si sa che lo spettacolo sarà strutturato in un rapporto di uno-a-uno – “Non dovrai fare niente, solo sederti e ascoltare”, spiega Alessandro Miele all’ingresso. Si sa che non durerà più di dieci minuti e che è parte di uno studio che proseguirà nei due giorni seguenti. Si intuisce, invece, una frontalità ravvicinata tra attore e spettatore, forse invasiva.
“Prego”, l’attore invita lo spettatore a entrare in una stanza, sedersi su un pouf e conoscere Marija. Per quanto si possa amare Dostoevskij e si possa aver ipotizzato quanto sta per accadere, il senso di estraneità è forte e confermato da un buio disorientante. La guida scompare, si intravede una luce sottile e si procede, orientati dal suono di un canto lontano. Appare Marija, un’assenza, più che una presenza. Ci riconosce, ci guarda, ci parla. È descrittiva, riflessiva. Gli occhi grandi sono velati di una dolcissima follia. Lo spettatore sostiene lo sguardo, lei non ha paura di nulla: non è a noi che parla o pensa, ma al suo Nikolaj. La distanza ravvicinata diventa la cornice impalpabile della sua vendetta tutta verbale, aggressiva ma proferita nell’impossibilità del compimento. Intanto, nella stanza buia, lo sguardo si abitua, gli occhi di lei si rivelano di un azzurro torbido e, dopo un mutamento repentino di inflessione, ci intimano di lasciarla.

Alessandra Crocco, Frammento #1 Marija

In questo frammento, come nei successivi, si entra e si esce continuamente dalle funzioni classiche della fruizione: attorialità, spett-at(t)orialità, narrazione e dramma si confondono negli occhi-mondo di Marija, nella sua voce pacata e ferma, nella sua fissità eloquente. Le funzioni si tendono, come una corda sulla quale l’attrice cammina consapevole e noi andiamo a tentoni. Così, il testo di Dostoevskij – rimontato in una drammaturgia monologante e analitica – aggredisce e inquieta, senza mai traboccare in eccesso, misurato, crea contrappunti intimi, non superficiali, convince e, sfruttando la logica della serialità, incuriosisce.

#Frammento 2 / (il passo di) Liza

Liza è spavalda. Come Marija sfida lo sguardo e intimidisce, ma ha una sicurezza leggera e mascolina, provocatoria e sensuale.
Il Palazzo che ci ospita è lo stesso del primo episodio, il percorso nei suoi corridoi è diverso, ma vede uno spettatore più avvertito, che sa quanto succederà e si muove spedito, consapevole e parte del gioco creato per lui. “Grazie per essere tornata”, esordisce Alessandro Miele, alludendo a un’implicita complicità. La sera prima, in quegli stessi spazi, c’è stata una festa, ci racconta l’attore, e Liza ha passato la notte con Nikolaj. “Tu sei Nikolaj. Non dovrai fare altro che sederti e aspettare”. L’azione dell’ascolto del primo movimento diventa ora un’azione di attesa che, per quanto ne sappiamo, potrebbe risolversi in un tempo silenzioso e solitario. La stanza è bellissima: una libreria, un pianoforte a coda, credenze a perimetrare gli angoli, due specchi, la porta di ingresso alle nostre spalle. Liza appare riflessa in uno specchio, insinuandosi nella coda dell’occhio distratto. Incede verso di noi e ci parla con il chiaro intento di non farci mai dimenticare chi siamo: ancora una volta, Nikolaj, il suo demone, colui che vorrebbe trascinarla in un posto tetro, nella passività di una vita indolente. Ma Liza è frivola e dà la percezione di volteggiarci intorno con le parole, pur rimanendo ferma, piedi nudi e sguardo vivo di ragazza. Di nuovo un addio che ha il sapore della rivalsa: l’attrice circumnaviga di 180 gradi la poltrona sulla quale siamo pietrificati ed esce, come un’ombra, come se niente fosse.

Proviamo una discreta pena per il personaggio che siamo stati chiamati a interpretare, per questo mostro passivo e indifferente.  I due attori sono abilissimi nel rendere una delle caratteristiche principali del protagonista dostoevskiano attraverso il coinvolgimento – reso passivo dall’ascolto prima e dall’attesa poi – dello spettatore. Nikolaj siamo noi, anche se siamo una donna, o  viviamo nel XXI secolo. Anche quando vorremmo reagire.

Demoni - Frammenti

Demoni – Frammenti

#Frammento 3 / (l’odore di) Nicolaij

Nikolaj è un odore che intossica, un’acquaragia corrosiva. È sporco di terra, si dimena in una danza scomposta, faticosa, pesante. Affonda i piedi nella terra bagnata e, infine, parla, volutamente mono-tono e scandendo con lunghe pause il suo racconto, a marcare l’eleganza del male.
Questa volta siamo in dieci, disposti in due file, definitivamente frontali, e assistiamo ala narrazione immobile e, sempre, come indifferente, dell’orrore compiuto su una giovane – sedotta e,  infine,  istigata al suicidio. Nikolaj ci fa partecipi di un passaggio esistenziale: la presa di coscienza di un nichilismo negativo, lo stesso che ha fatto di Marija e Liza delle vittime.
Infine, il personaggio ci congeda, impositivo, come se, fino a quel momento, ci avesse deliberatamente permesso di spiare e ora fosse stanco anche di noi, oltre che di se stesso.

Visto al Teatro dei Luoghi Fest, Lecce.

 Nicoletta Lupia