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Ivana Müller “We are still watching”

Esplorando B.Motion Teatro > Ivana Müller We are still watching

Un tentativo di attraversare gli spettacoli di B.Motion Teatro 2014: una rete di questioni, temi, rimandi e pensieri intorno ai lavori in programma al festival. Con la collaborazione di artisti, ospiti, operatori e spettatori.

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[cosa succede in scena in un tweet di 140 caratteri]

citazione
[una frase tratta dallo spettacolo]

«Io odio il teatro partecipato» (dal testo dello spettacolo di Ivana Müller)

Genealogie da B.Motion: Fortuny di Anagoor

foto di Adriano Boscato

Negli ultimi anni festival e rassegne sono invasi da una forma piuttosto inedita di creazione teatrale, quella dello “studio”: vuoi per via della struttura di alcuni premi (Scenario sceglie i propri vincitori fra progetti di venti minuti che saranno sviluppati in un secondo momento), vuoi per il mutare della soglia di attenzione o per assecondare i nuovi modi di fruizione, sempre sotto l’egida dei modelli assorbiti dai nuovi mezzi di comunicazione. Spesso il pubblico si trova dunque di fronte a formati brevi, sempre in divenire, quando addirittura non a veri e propri materiali di lavoro ancora allo stadio embrionale. In questo modo le compagnie possono sottoporre pubblicamente le proprie idee, sperimentare e testare le reazioni degli spettatori, in vista dello spettacolo definitivo.

“Genealogie” è un percorso che Il Tamburo di Kattrin intende offrire agli spettatori di B.Motion 2011: molti degli spettacoli e degli artisti in programma sono già stati ospiti delle passate edizioni del Festival o hanno avuto, durante l’anno, la possibilità di lavorare a Bassano alle nuove creazioni. In questa sezione vengono ricostruiti i passaggi, fra presentazioni e diversi studi, che dalle prime fasi di lavoro hanno portato alla realizzazione dello spettacolo, andando a scoprire come i diversi artisti utilizzano questa possibilità e quanto essa diventi un’occasione di confronto capace di incidere sul processo creativo e sugli esiti del lavoro.

Anagoor, compagnia di Castelfranco Veneto ormai presenza fissa di OperaEstate da diversi anni, giunge all’esito conclusivo del progetto Fortuny dopo un lungo percorso di ricerca, espresso di fronte al pubblico attraverso diverse performance: la prima al Festival Contemporanea di Prato, seguita da quella di Drodesera e di B.Motion 2010, fino all’esperimento site-specific che ha avuto luogo questa primavera a Palazzo Fortuny di Venezia. A differenza di altre modalità di ricerca, in cui lo studio è colto come occasione per approfondire un percorso lineare, che volta per volta viene rilanciato dall’esito scenico in questione, sembra che Anagoor utilizzi questi momenti per dare vita a uno sguardo ampio, divorante dell’immaginario e della storia. “Rizomatico” è forse la definizione che meglio si potrebbe accostare a un simile processo di lavoro, in cui i singoli episodi, pur nutrendosi di reciproche persistenze, si propongono in una dimensione di consistente autonomia.


1/4: HOW MUCH FORTUNE CAN WE MAKE?
(performance)
Contemporanea Festival (Prato) – 28, 29, 30 e 31 maggio 2010

«Questa breve performance intreccia una relazione tra un giovane e l’immagine della Venezia antica che appare ne Il miracolo della Reliquia della Croce o L’esorcismo dell’indemoniato (The Healing of the Madman) una tela di Vittore Carpaccio. Il riconoscimento della vibrazione dolorosa sotterranea, interna all’opera d’arte, innesca un processo di deflagrazione della rappresentazione solare di una società che desidera vedersi rappresentata all’acme del proprio successo economico, politico e culturale».

Non essendo in grado di fornire qui un documento personale di questo primissimo approccio al progetto Fortuny, oltre alle parole della presentazione è possibile approfondire attraverso la rassegna stampa sul sito della compagnia.

 

2/4: WISH ME LUCK. (performance + videoinstallazione)
Drodesera Festival (Dro) – 23, 24, 25 luglio 2010

Fin dal titolo, questo episodio evoca la dimensione del viaggio: “augurami fortuna”. E si apre l’itinerario all’interno del progetto Fortuny. Tre performer (Pierantonio Bragagnolo, Moreno Callegari e Marco Menegoni − anche interpreti dello spettacolo definitivo) alle prese con una sorta di rito iniziatico: la Forgia della Centrale Fies è trasformata in un interno antico, che potrebbe essere la sala di un palazzo o forse un laboratorio d’alchimia. Dal buio affioraun video, scomposto in due schermi vicini come nel lavoro precedente Tempesta: dalle estetiche inquietanti, mostra i tre emergere dalle acque lagunari e poi vestirsi per avviarsi a una rivolta mai rivelata. A conclusione del video, si scopre che uno dei tre è in scena, seduto su un tavolo, in attesa; subito un altro richiamo a Tempesta: il performer si avvicina alla Giuditta di Giorgione − ma qui non si tratta di contemplazione, mentre l’attore, dopo aver accarezzato l’immagine con una lama, ne incide e scalfisce la superficie lasciando fuoriuscire una nuvola di polvere dorata. Anagoor sembra voler introdurre lo spettatore nel proprio laboratorio intorno al progetto Fortuny, fra rimandi allo studio precedente e nuovi slanci, persistenze della propria biografia artistica e una quantità/varietà di materiali ancora in stato di lavorazione. Lo spazio è oltremodo saturo, una pienezza frutto di una composizione ben calibrata: i tessuti di Fortuny e i dipinti, i video e le progressive apparizioni dei performer che affiorano dal buio; ma la densità di questa creazione, già espressa dal suo disegno spaziale, si trova soprattutto nella precisione tagliente, nella decisione delle partiture gestuali e in una tensione irriducibile che fa vibrare la scena fra immanenza e trasformazione.

3/4: CON LA VIRTÙ COME GUIDA E LA FORTUNA PER COMPAGNA (performance)
B.Motion (Bassano del Grappa) – 3, 4 settembre 2010

La performance di Bassano, terzo momento del progetto, è invece assolutamente priva di ambientazione scenografica, incastonata com’è nello spazio ellittico della Chiesetta dell’Angelo. Fa la sua apparizione una donna, completamente coperta d’oro: fra il fumo denso che pervade la scena e un soundscape estremamente materico, comincia a muoversi, come ad insegnare al gruppo di performer che la seguono la direzione e il tempo del percorso che andranno a intraprendere. Anche qui si impone il leitmotiv della preparazione al viaggio, con la progressiva vestizione e il lavarsi reciproco dei protagonisti − ulteriore dimensione presente in Tempesta (la preparazione del performer), fra disciplina e ripetizione, ascesa e fallimento, che forse può emergere come caratterizzante della ricerca della compagnia.

foto di Adriano Boscato

4/4: BALLO VENEZIA (insediamento performativo)
Palazzo Pesaro degli Orfei (Venezia) – 18, 19, 20 febbraio 2011

Questo “insediamento performativo”, ultimo passaggio prima dell’esposizione completa di Fortuny, si articola in diverse sessioni e approcci: al piano terra di Palazzo Pesaro degli Orfei (che fu abitato da Mariano Fortuny), l’installazione dei video già presenti nei precedenti episodi racconta tramite una tessitura vibrante della preparazione a una rivolta e rimanda alla distruzione delle gondole del 1507 ad opera di alcuni giovani veneziani. Dopo la video-installazione, che è una sorta di “prologo” capace di trasmettere una delle cifre ormai note della compagnia − quell’incontro mai garantito fra antico e contemporaneo − si accede alla performance vera e propria: la sala mantiene, seppur con un certo tentativo di sintesi, lo spessore dei tessuti di Fortuny, che qui trovano una precisa funzione scenica, mutandosi in progressivi sipari capaci di restituire un senso di stratificazione di segni ed emotività dalla qualità differente. I due schermi trovano posto su dei cavalletti da pittore, mostrando texture ipnotiche che poi si rivelano sculture mutilate, da intrecciare a malformazioni e deformazioni umane. La figura dorata di Con la virtù come guida rinfonde l’apprendimento di un moto a un gruppo di performer. Qui si innesta una variazione piuttosto singolare nel percorso del progetto: alzato un sipario, una schiera di figure femminili entra in scena ed entrambi i gruppi avviano una danza bidimensionale, che attraversa lo spazio in senso orizzontale, in una coreografia quasi di massa che sembra poter aprire nuovi sviluppi per il lavoro della compagnia.
Il soundscape materico lascia spazio, nell’ultimo momento della performance, ad una partitura di canti, eseguiti dal vivo al piano nobile del Palazzo.

Nel Ballo, allestito proprio in quegli spazi che furono laboratorio per Mariano Fortuny, si incontrano i segreti di una Venezia ferita (dal crollo del Campanile di San Marco in giù) e il labirinto di Teseo, imperfezioni e cangianze, la qualità luminosa della città e riferimenti estratti dal lavoro di Fortuny, segreti e rivelazioni − a comporre una performance che sembra porsi come manifesto di resistenza alle (non)politiche di un Paese che sempre meno si occupadel proprio patrimonio storico-culturale (e quindi, forse, del proprio domani), in un cortocircuito fra passato e futuro efficacemente evocato dal lavoro di Anagoor.

 

FORTUNY
debutto a Drodesera Festival (Dro, TN) – 28, 29 luglio 2011
visto a B.Motion (Bassano del Grappa) – 1 settembre 2011

La Fortuna incarnata da una figura femminile dorata che ricorda la “banderuola” di Punta della Dogana (Occasio di Bernardo Falconi che rappresenta proprio la fortuna) a insegnare la strada a dei performer che sembrano intraprendere un viaggio; i due monitor che presentano immagini di statue, Venezie trafitte e figure umane oggetto di mutilazioni; i tessuti di Mariano Fortuny a mo’ di sipari progressivi e il fumo che addensa la scena, la mummia, i dipinti e la cangianza dei corpi che svaporano ricoprendosi di glitter. E ancora la resistenza e la storia che riaccade, l’antico che incontra il moderno, l’apprendimento e la dimensione iniziatica, enigmatica. Sembra che Anagoor, nell’esito definitivo del progetto Fortuny, intenda far rientrare tutti gli (tanti degli) elementi incontrati lungo l’itinerario di indagine: in scena, infatti, si affiancano frammenti e squarci già intravvisti nelle performance che preludono allo spettacolo. Ma, estratti dal proprio contesto originario (quasi sempre gli interventi erano concepiti site-specific) e giustapposti, distillati in fermo-immagine da un percorso estremamente dinamico, sembrano più confondersi che partecipare a una composizione organica; forse è proprio la sottrazione dell’ambiente e il conseguente innesto in uno spazio neutrale (più vicino al non-luogo di Augé che alle raffinate collocazioni degli studi) a trasportare le azioni in una dimensione altra, fra l’impersonalità asettica, lo svaporamento dell’afflato filologico e l’affastellamento di idee. Sembra così che ognuno dei tre performer proceda all’interno di un proprio percorso conosciuto e definito (anche nelle situazioni più corali), facendo venir meno le linee di quella tensione che portavano a vibrare sia le partiture gestuali che i rapporti fra uomini e oggetti o immagini.

Di più, sembra che la compagnia si sia qui concentrata soprattutto sugli elementi residuali dalle performance di Drodesera e B.Motion 2010, privilegiandone i tratti costitutivi, mentre poco resta dell’efficace intervento a Palazzo Fortuny (dalla quantità dei performer coinvolti alla rarefazione iconografica, fino al rapporto con la storia, espresso là con particolare efficacia). Ma non è solo quest’ultima linea, che ha a che fare con la riappropriazione della storia (del passato e del futuro) in scena attraverso la performance − che sembrava di una pregnanza considerevole non solo nei termini di questo lavoro ma anche riuscendo a illuminare l’intera ricerca della compagnia − a mancare in Fortuny: anche la dimensione dell’apprendimento e dell’iniziazione (ulteriore elemento-chiave per il lavoro di Anagoor) è più accennata che sviluppata.
Si potrebbe ipotizzare che la compagnia si sia impegnata di più a risolvere un faticoso montaggio di spunti che ad esperire e trasmettere, com’è il suo solito e come si è visto nei diversi studi, un affondo progressivo nel materiale scenico. Gli episodi che precedono Fortuny erano infatti forti, da un lato, di una contestualizzazione ambientale che ne valorizzava la dimensione performativa e, dall’altro, di una concentrazione sorprendentemente eccessiva sui materiali che via via hanno caratterizzato la ricerca. Anzi, si può azzardare, quello che accadeva in scena e che magnetizzava l’attenzione del pubblico così come la tensione fra i performer, era proprio l’esposizione di una ricerca in atto, che dimostrava così tutta la propria instabilità, la propria urgenza, l’irriducibilità delle intenzioni; forse, in Fortuny, questa dimensione si è convertita in esito, andando a cristalizzare gli slanci interpretativi e ad omogeneizzare le relazioni fra i materiali.

Roberta Ferraresi