recensione arturo ui

Grande ritorno di Brecht per la regia di Longhi

Recensione a La resistibile ascesa di Arturo Ui – regia di Claudio Longhi

foto di Marcello Norberth

Se come suggerisce Bertolt Brecht «la tragedia molto più spesso della commedia prende alla leggera le sofferenze dell’umanità», allora il secondo genere qui appena citato riesce, in alcuni casi, a render consapevole il cittadino dei pericoli che lo circondano e che lo trasformano sempre più in suddito piuttosto che farlo sentire parte di una democrazia. La resistibile ascesa di Arturo Ui – che il drammaturgo tedesco scrisse dall’esilio in Finlandia nel 1941 – viene riproposto dal regista Claudio Longhi con tutte le caratteristiche necessarie per rendere efficace e tagliente una satira politica che ammonisce l’uomo e mostra come il potere e i potenti possano essere ridicoli ma anche manovratori delle nostre vite. Ambientando il suo dramma nella Chicago di Al Capone e della crisi finanziaria, Brecht alludeva alla Germania degli Anni ’30 che, sospesa tra la crescente corruzione e la diffusione di violenza, rappresentava un ambiente ideale per Hitler e per la sua smania di dominio.

foto di Marcello Norberth

Allo stesso tempo mostra anche come questa ascesa fosse in fondo resistibile: i personaggi sono resi in tutta la loro crudeltà, ma contemporaneamente vengono declassati a esseri ridanciani; l’uso di Kabarett (inteso nella sua accezione tedesca di satira politica) è impeccabilmente riproposto dall’allestimento di Longhi grazie anche al dramaturg Luca Micheletti che offre una lettura dell’opera avvicinabile a una summa brechtiana. Le scene si succedono come fossimo davanti a un libro di storia: si ha una specie di riassunto del periodo storico che va dal ’29 al ’38, focalizzato sui fatti salienti; i Songs tipici del teatro epico brechtiano li sottolineano facendo da collante ed esplicitano al pubblico il messaggio che le azioni avvenute nell’opera suggeriscono. Mescolando alle musiche originali di Hosalla altre che passano da Chopin a Spoliansky, da Eisler a Hollaender, è comunque Kurt Weill a essere più chiamato in causa.

Le celebri melodie de L’opera da tre soldi vengono qui riprese ma con consapevoli e taglienti parole scritte ad hoc: c’è un continuo rimpasto acuto e intelligente dove per esempio il dollaro diventa protagonista de La ballata della vita piacevole sulla cui base musicale il poliedrico Micheletti canta «non si governa con la moralità, soltanto il dollaro ti aiuterà». I continui rimandi al sistema capitalistico, assieme al fattore della corruzione chiamato sempre in causa, offrono la possibilità di vedere come diventi facile e incontrollabile generare dei mostri come Arturo Ui, in arte Hitler, qui interpretato da un Umberto Orsini, bravissimo nel mettersi in gioco e dare voce a un personaggio che cresce e cambia durante lo spettacolo. Cambiamento che avviene in maniera meta-teatrale e che apre a infiniti rimandi possibili solo con un’arte che mescola realtà e finzione: se nella Storia Hitler prese lezioni di portamento vocale e fisico da un attore famoso nella Germania degli Anni ’30, in scena è lo stesso Umberto Orsini vestito da se stesso a spiegare ad Arturo Ui quali sono gli atteggiamenti che lo possono portare ad essere un leader. Con un gioco di ombre e riflessi, la Storia e la finzione trovano un punto di contatto raggiungendo un climax quando Orsini stesso indossa baffetti e parrucca con riporto a sinistra: l’attore si traveste da protagonista della pièce proprio come Hitler si travestì da Führer. I rimandi alla grande Storia sono continui, con cambi scena vorticosi ma resi sin da principio palesi: in sostituzione dei tanto acclamati cartelli brechtiani – utilizzati per far arrivare forte e chiaro il messaggio e riportare il pubblico alla vera storia mascherata qui dall’allegoria – il regista Longhi sceglie dei più moderni titoli che proietta in proscenio.

foto di Marcello Norberth

Un susseguirsi di numeri quasi circensi, tra canti, musiche e cambi della scenografia che, costruita con cassette di plastica proprie dell’agricoltura e firmata da Csaba Antal, si sposta secondo le varie esigenze diventando lo skyline di una città americana o il rifugio del trust di uomini che commerciano in cavolfiori. Sulla scena spiccano le qualità attoriali di Lino Guanciale, nei panni di Ernesto Roma (ossia il luogotenente di Hitler Ernest Röhm), e il già citato Luca Micheletti che, oltre a essere dramaturg, interpreta in maniera lodevole Giuseppe Givola (alter ego del tremendo Goebbels), destreggiandosi tra canti e recitazione, ma suonando anche il sassofono. Uno spettacolo che diverte e che fa riflettere, nella sua complessità dove le citazioni si susseguono continuamente proprio come le stesse scene; una corsa senza sosta che regge per tutte le sue tre ore di durata ed è premiata da un gran bel successo di pubblico. Sicuramente Brecht ringrazierebbe.

Visto al Teatro Argentina, Roma

Carlotta Tringali