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A cosa servono gli eroi

Recensione a Aspettando Ercole – di Barabao Teatro

Aspettando Ercole

foto di Wilma Dragonetti

L’uomo è uguale a se stesso. Dal primo vagito. Interagisce di questi tempi attraverso uno schermo, si svaga in piazze virtuali, si evolve in uno stadio ipertecnologico. Ma resta uguale. Dentro, scienza e tecnica non entrano. Scannerizzano senza modificare, atteggiamenti, attitudini, dinamiche, strutture sociali, moti e pulsazioni. Confezionate diversamente. Testimonianza, l’universalità del mito. Stupefacente. Che più rappresenta l’umanità intera. Sfaccettandola.
E “a cosa servono gli eroi” (dunque) si domandano i Barabao Teatro in Aspettando Ercole. Mettendolo in bocca a Sosia, un servo, vestito da servo, come tanti di oggi detti altro per eufemismo.
Un servo che si chiede della libertà. Buffo, rincoglionito, pasticcione. Personaggio di spicco tra le caricature dei protagonisti delle epopee mitologiche. Sovrani politicanti, guerrieri sconfitti, divinità istintive, messaggeri tonti. Direttamente dal mito e parodiati alla buffonesca. Per diletto. Puro e sacrosanto diletto.
Sì, anche per lasciare tracce nella memoria di chi vede, ci mancherebbe. Ma senza impegno, non necessariamente. Con qualche trucco per zuccherare il pubblico. Che fa pensare a sviolinate di seduzione… ma solo per un attimo. Per il resto si sta incollati alle scene vogliosi di altre risate. Di leccarsi i baffi come con le mele sciroppate alla fiere. E pazienza per gli indefessi del concettuale civile e militante. A teatro si va anche per svago.
A cosa servono (dunque) se non a innalzare la megalomania umana tendente a un ideale di superuomo da prendere a modello? Perché si ha bisogno di ambire a qualcosa di irraggiungibile, di perfetto, che rappresenti l’archetipo/alibi di misere e anonime esistenze. O semplicemente normali. Da comuni mortali.

Aspettando Ercole

foto di Wilma Dragonetti

Ercole non è un comune mortale. È figlio di Zeus, inseminatore sotto le vesti di Anfitrione della civettuola Alcmena. Di cui Sosia dovrebbe garantirne l’illibatezza mentre il marito combatte per la ragion di stato. E Creonte (garantirne) il benessere familiare. Figuriamoci se Hera potesse essere d’accordo! E allora giù di vendetta. Portando la sorte dell’eroe nascituro a un complicato destino. Il destino dell’uomo coscienzioso mosso dal dovere di espiare i suoi misfatti… ma questa è un’altra storia.
Il concepimento dell’eroe traccia le linee dello spettacolo messo su dalla compagnia di Piove di Sacco (Pd). Quattro attori in maschera – create appositamente da Matteo Destro, regista della commedia – ne riproducono altri cinque in scena, in tutto nove, (s)doppiandosi – e triplicandosi – in ruoli diversi. La struttura calca l’impianto grecanico classico, innestando innovazioni nel linguaggio espressivo: il coro è emancipato in quartetti musicale narranti per canzonette simil sigla di cartoon; i personaggi recitano in maschera, adottando gli sberleffi della commedia dell’arte, e distogliendosene relativamente ai rigori di forma e caratterizzazione; la (bio)meccanica omaggia la primitività teatrale con pantomimiche da burattini rompendo col la fissità della corporeità classica; la dialettica è scanzonata, dialettale (da nord a sud), per niente ampollosa o enigmatica.

In uno spazio scenografico disegnato da composti di legno movibili e funzionali alle ambientazioni, duttili alle situazioni. Piedistalli, quinte, supporti di entrata e uscita.
Tratteggiando, nel lavoro d’attore, gli dei a volto nudo, recitanti in playback e doppiati in presa diretta, metafora (probabilmente) dell’astrazione, dell’impalpabile, della credenza tramandata oralmente. E gli umani in maschere, accentuate in specifiche espressioni, connotando spiccatamente qualità determinate. Il velo della finzione, il trucco teatrale sull’esposizione narrativa.
Orchestrati da una direzione registica precisa, attenta a scandire ritmi definiti senza accavallare scene che si susseguono forsennate nell’atto unico, generosa nel produrre varietà di presenza scenica – scene corali alternate ad azioni di coppia, triangoli e monologhi. Il finale, leggermente morsicato, frettoloso, compie un’ora e mezza di gradevolezze. Quando ci sono le idee…

Visto al Festival Teatropia, Siena

Emilio Nigro