recensione emma dante ballarini

Emozioni in ballo fra strappi e tenerezza

foto di Carmine Maringola

Il ballo di coppia è forse l’incarnazione più efficace della vita a due: ne materializza le fragilità e le tenerezze, l’empatia e la differenza, oltre naturalmente ai ritmi; la danza sa parlare di ricordi e di desideri, di come si è costruita (e di come si sarebbe potuta costruire) l’esistenza insieme. Emma Dante in Ballarini – secondo studio della Trilogia degli occhiali, nuovo progetto sulla condizione di marginalità (povertà, vecchiaia, malattia) che debutterà in forma completa a Napoli nel gennaio 2011 – si appropria di questa dimensione a due per raccontare una storia d’amore speciale: lui e lei sono due anziani che, con tutti gli acciacchi e le difficoltà del caso, donano ancora una quotidiana concretezza al loro amore. Interpretati dai bravissimi, sempre più abili e magnetici, Sabino Civilleri ed Emanuela Lo Sicco (attori ormai storici della Compagnia Sud Costa Occidentale), i due protagonisti ripercorrono la propria vita insieme ballando stretti sotto una ragnatela luminosa di piccole lampadine fitte che, sospese fino oltre l’arco di proscenio, sembrano tentare di invadere la platea e, con essa, anche altre vite.

 

È l’ennesimo capodanno e la coppia si appresta ai festeggiamenti di mezzanotte, con tanto di spumante, coriandoli e petardi. Poi un difficoltosissimo ballo a due, con lei, gobba, che si aggrappa alla giacca del compagno mentre lui si sostiene appoggiando la testa sulle spalle di lei; si baciano, si toccano, lui ha forse addirittura un orgasmo. Da qui parte un viaggio nella memoria o nell’immaginazione – è difficile stabilirlo con certezza – della vita della coppia, che balla a ritroso la propria storia d’amore, tutta giocata fra due bauli quasi identici, opposti a due estremità del palcoscenico. All’interno di un percorso di “smascheramento” del trucco teatrale (abbastanza inedito per la ricerca di Emma Dante) che vede il personaggio trasformarsi in altre variazioni di sé, gli anziani sono prima una coppia di mezz’età, poi alle prese con un figlio neonato, la gravidanza, il matrimonio e, infine la dichiarazione e il primo appuntamento – tutti passaggi delicatamente composti nel fluire di una drammaturgia costruita per contrasti fra esplosioni di energia e fatali momenti di silenzio, una narrazione molto fisica, danzata, urlata, e pochissimo parlata, che si sviluppa sulle note dei successi italiani di musica leggera. Ci sono I watussi e Parlami d’amore Mariù, Fatti mandare dalla mamma, Il ballo del mattone fino a Ba Ba Baciami Piccina, mentre in scena si srotolano le emozioni minuscole di una grande storia d’amore forse mai avvenuta, dall’ansia del primo amore alla solitudine costellata di acciacchi impossibili della vecchiaia.

foto di Carmine Maringola

Si odono solo brandelli di parole («Quanto sono felice amore mio!»), in una drammaturgia slabbrata la cui rarefazione è infrequente per la linea autoriale di Emma Dante. Nessun accumulo verbale e niente phoné che riverbera dalle carni degli attori: fatta eccezione per la proposta di matrimonio, le cui poche frasi sono espresse in uno dei rari momenti di silenzio dello spettacolo, tutta la narrazione e l’espressività è demandata alla dimensione fisica, al movimento e alla danza. E, naturalmente, agli emblemi, tratto distintivo della poetica dell’autrice e regista. Affastellate e sdrucite, incastonate in un contesto mai del tutto aderente, le allegorie di una vita sono trattate secondo un duplice approccio: la coscienza del potenziale rituale, prossima a un rispetto quasi magico o sacrale, si sprigiona dall’attenzione di cui tali oggetti sono investiti, mentre l’ironia amara che danza loro intorno, riesce, attraverso la caricatura, a sfondare i limiti imposti dall’intimità e a raggiungere l’immaginario e l’emozione collettivi. Gli oggetti si fanno, appunto, emblemi per il sovraccarico di sensualità e senso che racchiudono, creando una tensione magnetica del tutto particolare intorno a presenze minime (un velo da sposa, un pacchetto di caramelle, la musica di un carillon), in un equilibrio invocato e precario, sempre prossimo al cortocircuito e all’esplosione. Ma il coinvolgimento straniato – altra cifra dei primi lavori di Sud Costa Occidentale qui efficacemente riproposta – è tenuto e trattenuto, stuzzicato e a tratti torturato, attraverso lo sviluppo di questo dispositivo che immagina frantumi, lacerazioni, contraccolpi, ma nella realtà si mantiene sulle linee morbide di una affettuosità mai calcata, di un’autenticità solo sussurrata, di emozioni sbozzate con delicatezza e rispetto.

 

Con Ballarini, Emma Dante sembra tornare a una dimensione di intimità – a quella violenza contenuta nelle cose piccolissime, esplorata in mPalermu, Carnezzeria o Vita mia, che l’autrice sembra riuscire a liberare con precisione micidiale – che si dimostra più pregnante ed efficace della teatralità esposta negli ultimi allestimenti della Compagnia, come Cani di bancata o Le pulle.

Visto a Operaestate Festival Veneto

Roberta Ferraresi