recensione libro megaloop

Loop di epifanie e allucinazioni

Megaloop

Si è conclusa il 6 giugno la mostra dedicata alla trentennale attività della compagnia Tam Teatromusica, per un mese ospite delle sale espositive del Centro Culturale S. Gaetano/Altinate di Padova. Non sono mancati, nel periodo di apertura al pubblico, momenti di riflessione con critici, studiosi ed esperti di teatro per indagare e cogliere la particolarità del lavoro di una realtà che anima l’ambiente teatrale patavino dal 1980. Un percorso articolato, tradotto nello spazio dell’esposizione in disegni, video, schizzi e oggetti di scena; un viaggio il cui momento finale apparentemente coincide con quello iniziale, in un loop che sembra non avere fine. Eppure, sono molte le “variazioni sul tema” che costellano il percorso di Michele Sambin: videoarte, pittura e musica si sono prestati nel corso del tempo come strumenti privilegiati per indagare un universo visivo sempre suggestivo, rivolto a pubblici eterogenei (basti ricordare i percorsi di Teatro Infanzia e Teatro e Carcere). Tuttavia, come ripetuto più volte nel corso degli eventi aperti al pubblico, la vera sfida è stata quella di restituire attraverso un mezzo inusuale per il teatro, la mostra espositiva, il senso e il dinamismo di una ricerca formale assai complessa, in grado di coinvolgere arti visive, scultura e musica, di cui il punto d’incontro è costituito dalla scena. Da questo ostacolo nascono le Azioni sceniche, ospitate nelle sale della mostra il 14, il 21 e il 28 maggio. Lo spazio espositivo, agito come un palcoscenico, si è trasformato così in un luogo dove tutto è vivo, dove è la “vivacità” dei performer a trasmettere un flusso vitale a quegli oggetti che una volta hanno occupato uno spazio scenico e che già hanno hanno parlato in passato. In perfetta consonanza con il senso di Megaloop, le Azioni sceniche costituiscono un momento di ritorno su esperienze passate, nel tentativo di ricreare una relazione nuova con un oggetto (o un passato?) già esperito e rielaborato, regalando a coloro che erano assenti la possibilità di farne esperienza e conservarne la memoria. Lo spettatore si trova così a percorrere lo spazio espositivo accompagnato da suggestioni rievocate di otto opere passate, che, solo per il pubblico, riprendono vita. Si passa così dalle armonie delle armoniche a bocca e dalle geometrie di luce di Armoniche (1980), dalle basse frequenze prodotte dal contatto tra molle e lastre metalliche di Repertoire (1981), dalle forme aeree di Era nell’aria (1984), allo straziante strappo di Squarcione (2004), seguito dalle superfici esperibili di Macchine sensibili (1987), dalla coreografia per oggetti e un agnello di peluche di Children’s corner (1986) fino allo “shakespeariano” Ages (1990) e al quadro finale di deForma (2008/09). Un percorso, quindi, che non si muove secondo direttrici cronologiche, che non si presenta come un viaggio retrospettivo teso alla memoria storica degli eventi. È un viaggio sensoriale in un mondo fatto di rigore geometrico e formale, ma che riesce a mantenere quel carattere suggestivo tipico di una dimensione mentale lontana dalla percezione quotidiana. Si direbbe un viaggio nell’estetica quello in cui viene condotto lo spettatore di quadro in quadro: quadri vivi, la cui anima è in grado di travalicare i limiti della scena per la quale erano stati pensati, ripresentandosi come opere autosufficienti e concluse in se stesse. Il tutto nel tempo di un’epifania, che a tratti assume il carattere di un’allucinazione collettiva, impossibile da trattenere se non nella propria memoria emotiva e sensoriale.

Visto al Centro Culturale S.Gaetano/Altinate, Padova

Giulia Tirelli