residenze teatrali pugliesi

Da StArt Up di Taranto: un po’ di Teatri Abitati di Puglia

StArt Up a Taranto, un’occasione per scoprire il teatro pugliese

In Puglia sembra proprio stia succedendo qualcosa. Sì, anche in quell’orizzonte devastato dai tagli e dall’incuria che è la creazione teatrale. L’occasione preziosa per andare a curiosare – per la prima volta, c’è da ammetterlo subito, ma ci auguriamo ne seguiranno molte altre – è StArt Up, densa maratona performativa di due giorni curata dal Crest di Taranto e diretta da Gaetano Colella. Al cuore del programma, l’attesissimo debutto dell’ultimo lavoro del giovane regista pugliese: L’agnello, in cui, in un certo equilibrio fra possenti soluzioni visive e un’articolata ricerca testuale, l’interrogazione sulla propria predestinazione e sul proprio ruolo – quello appunto di un animale condannato al sacrificio – sembra diventare talmente pressante da risultare incontenibile. E infatti gli inquietanti giochi d’ombra di questo spettacolo complesso e raffinato, costruiti da una sapiente e meticolosa magia d’artigianato teatrale, si mutano presto in riverberi e cangianze destinati a ingoiare progressivamente ogni cosa, fuoriuscendo prima dalle suggestive sezioni di tulle con cui è diviso il palco e poi dalla scena stessa fino a raggiungere la platea.

Matteo Latino - "Infactory"

48 ore di maratona nel Terzo Paesaggio

Le 48 ore fittissime di StArt Up (25-26 maggio dal Crest a vari luoghi della città) non si distinguono certo per categorie fisse o tendenze consolidate. C’è l’eccellenza dell’one man show, con Daniele Timpano, ancora una volta solo in scena a vedersela con le mal assorbite vicende italiane del secondo ‘900, ad attraversare senza sconti i vespai di contraddizioni – dopo quelle del post-fascismo e del risorgimento – fra l’uno e l’altro versante degli Anni di Piombo… Anche questo Aldo Morto si insinua negli spazi lasciati vuoti dalle istituzioni, a tentare di domare, coi mezzi del teatro, i rapporti fra grande Storia e microstorie, fra filologia d’attualità e immaginario pop in un lavoro intensissimo, sempre sospeso fra tenerezza e ferocia. Ma se è consistente la presenza dello spettacolo solista – ricordiamo anche l’eccentrico Lupòroom di Santi Primitivi Teatro – non mancano le avanguardie dell’ibridazione performativa: suono, movimento, immagine, drammaturgia si fondono in esiti spettacolari di grande coinvolgimento nei lavori di Anagoor (presenti con un frammento del più ampio Progetto Fortuny, leggi un racconto del progetto) e di Santasangre, a Taranto con Sincronie di errori non prevedibili (leggi la recensione), uno dei loro pezzi più semplici ma forse proprio per questo di maggiore impatto. Su questi due filoni, al giorno d’oggi poi non troppo così distanti e distinti, si innestano esperienze molto più giovani, per lo più reduci da freschissimi riconoscimenti: è il caso del potente Infactory di Matteo Latino (Premio Scenario 2011, leggi il resoconto delle finali), che con Fortunato Leccese sperimenta un travolgente intreccio di ricerca testuale e soluzioni visivo-performative, che sembrano dar vita a una linea di lavoro piuttosto originale, certo ancora in parte da sviluppare, ma già ora non comprimibile nelle confezioni consuete che riuniscono i linguaggi e i generi scenici. Così come con Giro solo esterni con aneddoti, Premio Tuttoteatro.com Dante Cappelletti 2011 della compagnia: un modulo performativo proveniente da un più ampio progetto della compagnia Costa/Arkadis, che con precisione, minimalismo e una gran dose di ironia post-beckettiana, si concentra su una carrellata di impieghi e mestieri (a Taranto il pezzo sulla guida turistica). E poi altri lavori, spettacoli compiuti o stralci ancora in progress: giovani e giovanissime compagnie pugliesi e non che si muovono con disinvoltura fra tematiche (anche se quella del lavoro la fa da padrone, vedi anche La protesta della Ballata dei Lenna) e linguaggi, dimensione onirica e pressione dell’attualità. Anche gli spazi scenici non sono fissi e fissati, in una rassegna che preme per uscire dalla densità del progetto del Crest (nel popolare rione Tamburi, a due passi dall’Ilva) per aprirsi a luoghi non convenzionali del centro cittadino.

Anagoor - "Con la virtù come guida e la fortuna come compagna"

Cosa c’è dietro: l’idea di Teatri Abitati

Che di questi tempi la Puglia si stia affermando in curiosa controtendenza alla cupa stagnazione che domina il Belpaese si era già intuito da un po’, così come che, per quanto riguarda strettamente il teatro, si stesse candidando a nuovo territorio “felix”. L’impressione, in effetti, è che da queste parti stia succedendo qualcosa di piuttosto paradossale. E questo “qualcosa” ha un simbolo, anzi un emblema: si chiama Teatri Abitati – un nome che è tutto un programma, visto che definisce un progetto in cui la Regione, grazie a fondi europei, ha invitato artisti e compagnie a scegliere uno spazio e a farne, appunto, la propria casa.
Un programma noto come “residenze pugliesi” che esprime la molteplicità di un terzo paesaggio alla Gilles Clément: luoghi sorprendenti per varietà, diceva il filosofo-botanico, il cui unico tratto comune – assieme all’esser stati abbandonati dall’uomo – è di divenire rifugio per la diversità. E infatti sotto il nome di Teatri Abitati vanno compagnie storiche e giovani progetti d’avanguardia, prosa, danza e teatro ragazzi, dalle vaste aree metropolitane alle periferie ai piccoli centri di provincia. Parole d’ordine: stabilità, organicità, ma anche lavoro sul territorio con progetti di formazione del pubblico o tutoraggio verso artisti giovani e giovanissimi.

Incontri, confronti, condivisioni

Insomma in Puglia sta succedendo qualcosa che merita di essere visto, conosciuto, raccontato al più presto e l’occasione di StArt Up non è certo casuale: perché Teatri Abitati si trova oggi sul crinale che conclude il primo ciclo triennale e apre a un nuovo momento di progettazione. Così il Crest, una delle 12 residenze, ha colto l’occasione per riflettere sul da farsi, invitando artisti, critici e operatori a portare la propria esperienza e a discutere su buone pratiche e strategie di sviluppo: il primo giorno un incontro sulla critica (con la preziosa moderazione di Carlo Bruni e la partecipazione, a parte la sottoscritta, di Massimo Marino del Corriere della Sera, Mariateresa Surianello di Tuttoteatro.com, Nicola Viesti di Hystrio) e il secondo la mattinata dedicata agli operatori (con Franco D’Ippolito, coordinatore regionale del progetto delle residenze, Stefano Cipiciani di Scenario, Mariateresa Surianello per il Premio Dante Cappelletti, Anagoor per l’esperienza di Centrale Fies, residenze e artisti pugliesi) e nel tardo pomeriggio un confronto coi partecipanti al laboratorio di visione diretto da Massimo Marino, che hanno curato il blog della rassegna. Ma non è che le cose poi siano andate esattamente così: la chiarezza teorica della proposta, che divideva il focus sull’analisi critica da quello sulla politica culturale, è stata certo mantenuta a livello tematico, ma gli incontri sono stati vissuti come un avvicendarsi di esperienze, pur differenti e specifiche, che si confrontano sul teatro ad ampio raggio. Perché mai come oggi critici, artisti, operatori si trovano sulla stessa barca, una nave dei folli alla deriva segnata da disattenzione, incuria e marginalità. E allora, in un momento in cui ognuno è obbligato a farsi carico di tutti gli aspetti (concettuali ma anche logistico-gestionali) della propria attività, qualunque essa sia, si manifesta necessario confrontare e condividere idee e strategie, scoprendo che esiste un fronte comune che si interroga (ma soprattutto agisce) per rigenerare e coltivare buone pratiche di intervento, dal versante teorico-analitico a quello creativo e produttivo. Ad esempio, il progetto di Teatri Abitati ha fornito risorse e stabilità a una serie di realtà pugliesi che, in questi ultimi tre anni, hanno lavorato sul versante socio-culturale, dalla diffusione sul territorio alla formazione del pubblico, fino al tutoraggio di giovani artisti. Per andare avanti, sembrano chiedersi le diverse figure coinvolte nel progetto, occorre mettere a fuoco obiettivi precisi di ampio respiro. Ora che è conquistata la stabilità e, in parte, il territorio, ora che la Puglia è vissuta e riconosciuta come vivacissimo territorio di creazione e sperimentazione, occorre capire come andare avanti.

Il Teatro TaTà gestito a Taranto dal Crest

Come andare avanti: stimoli dal Teatro Tatà

Qualche rilancio possibile, in effetti, è emerso con chiarezza nei 2 giorni di StArt Up. Basta scorrere la programmazione del festival, che apre le porte dell’esperienza del Crest su moltissimi livelli: l’abbiamo detto, quello dei linguaggi e degli spazi cittadini, ma anche – forse proprio su ispirazione delle pratiche volute da Teatri Abitati – con l’intreccio di progetti di ricerca giovanissimi e un po’ più maturi, nonché invitando, assieme ai pugliesi, anche realtà extra-regionali che si occupano di contemporaneo. Rivendicando poi con forza, a suon di spettacoli, la necessità di esporsi non solo con prodotti finiti, ma di cercare un confronto anche su studi, progetti e work in progress. Scommettendo, infine, sull’incontro e la condivisione fra artisti, operatori e critici. Perché, infatti poi, il punto forse è un altro ancora e si trova in quei 3 incontri che hanno intrecciato la fittissima rassegna fra il 25 e il 26 maggio. Perché se c’è da andare a rintracciare un fil rouge dell’iniziativa, fra la varietà dei linguaggi e delle presenze, forse si può ritrovare proprio nella dimensione dell’incontro umano, del dialogo e del confronto.

Insomma, la contingenza informale della discussione intende convertirsi nei modelli della rete. Ovvero nella necessità di istituire pratiche in una condizione di confronto e condivisione che, proprio in una situazione precaria e sempre più a rischio come quella italiana (non solo teatrale), da Centrale Fies fino ai Teatri Abitati sta mettendo in azione idee ed energie che potrebbero cambiare il sistema. Anzi, evidentemente lo stanno già facendo.

Roberta Ferraresi

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