scena e controscena venezia

Controscena e Scena: la parola agli artisti

foto di Tommaso Saccarola

Scena & Controscena: un giorno, anzi, un pomeriggio, per fare il punto sul panorama teatrale contemporaneo. Una sessione di interventi che cerca di fare luce un po’ su tutto: dal punto di vista degli operatori (con Massimo Paganelli di Armunia, Carlo Mangolini di OperaEstate ed Elena Lamberti, che opera nell’organizzazione e nella promozione) e da quello dei critici (con Andrea Nanni, Giambattista Marchetto e Valeria Ottolenghi), fino a tutti i vari elementi connessi con l’aspetto formativo: è presente il rapporto fra teatro e università (Andrea Porcheddu, critico e docente accademico) come la questione della formazione dei formatori (Maurizio Schmidt, che è stato direttore della Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi” di Milano, dove tuttora insegna), fino alle diverse strategie concepite e messe in atto dalle scuole, con le testimonianze di Claudio de Maglio, direttore della Civica Accademia d’Arte Drammatica “Nico Pepe” di Udine, e Renato Gatto, direttore dell’Accademia Teatrale Veneta. E poi gli artisti, con la voglia di riconoscersi e incontrarsi, accostarsi e discostarsi. Tanti, fino ad occupare a più livelli tutto il profilo del palcoscenico del Teatro Aurora, che ospita la giornata di discussione: dai nomi ormai noti della ricerca nazionale – Babilonia Teatri, Pathosformel, Santasangre, Teatro Sotterraneo, Cosmesi – fino ai più nuovi e nuovissimi, destinati a farsi spazio sulla scena che è stata affettuosamente definita in vari modi, dalla Generazione T di Renato Palazzi di quest’estate, alla “00” proposta da Andrea Nanni durante il convegno stesso.
Impossibile dare voce alla varietà e alla complessità degli interventi che si sono succeduti nel corso di Scena & Controscena: si è parlato della sterilità dei premi e dei percorsi innovativi per ridare loro forma, delle strategie di sostegno e accompagnamento più originali messe in campo negli ultimi anni e che hanno condotto, fra l’altro, allo sviluppo di questa nuova scena italiana, ma si è discusso anche di ipotesi di continuità, di festival che forse chiudono e di nuove possibilità che si aprono… C’è l’esperienza di Armunia – riferimento indiscusso per ogni iniziativa che intenda instaurare un rapporto diverso fra artisti e pubblico – e quella dei festival più giovani che, invece che proporsi come vetrina, hanno scommesso, sulla stessa linea della rassegna toscana, su progetti di residenza e confronto più a medio e lungo termine. E non c’è che dire, i risultati si vedono: ogni sera sui palcoscenici di tutta Italia, che da anni non vivevano una stagione così vivace, e anche oggi, con la presenza massiccia e varia degli artisti a Scena & Controscena, a cui è dedicata la seconda parte della giornata. Difficile rendere conto, sulla scena così come negli interventi, delle innumerevoli specificità che si susseguono e si intrecciano, dalle difficoltà di produzione e di circuitazione alla necessità di ritrovare un diverso rapporto con lo spettatore, dall’interrogazione intorno all’inclusione in una generazione fino al cauto discostarsi dalla collocazione a Nordest – che era anche uno dei temi proposti per l’incontro – da cui, appunto, gran parte degli artisti prendono le distanze, pur senza dimenticare la rilevanza del lavoro di alcuni illuminati operatori, organizzatori, direttori artistici, che proprio in questo territorio hanno fatto strada nel rinnovamento delle formule di presentazione e nell’invenzione di vie di rapporto alternative fra scena e platea, fra progetto e produzione, fra sviluppo e distribuzione.
Andrea Nanni, in apertura, ha proposto alcuni elementi che –  pur nella grande varietà – mettono in relazione il lavoro delle tante compagnie presenti e che qui ci piace riprendere, per mettere in fila lo sguardo dall’esterno sulla nuova scena (ma anche quello interno, con le necessarie distanze e differenze): esiste una rinnovata attenzione per la realtà, che viene portata in scena attraverso linguaggi diversi e non così vincolanti, così come anche una particolare attenzione e curiosità nei confronti dello spettatore; fuori da ogni chiusura e ingenuità, si trova, diffusissimo, il tentativo di attuare strategie di incontro fra la necessità di lavorare e lo sviluppo della propria poetica.
E poi, aggiungono gli artisti, il merito è delle tante piccole realtà che abbiamo visto nascere (alcune volte svilupparsi, altre trasformarsi, altre ancora esaurirsi) negli ultimi anni: il giro di boa, condiviso da tutti, è attorno al 2007, una coincidenza talmente travolgente e ampia da destare il sospetto che non sia così casuale, come ricorda Paola Villani di Pathosformel. Tutto è esploso un paio d’anni fa. A Roma, col lavoro del Rialto Santambrogio, del Kollatino e delle compagnie, ma anche in Centro Italia e, naturalmente, a Nord, con in primis Drodesera e OperaEstate.
E agli artisti, anche, il compito di declinare le suggestioni introdotte dai critici. Ad esempio nei confronti del rapporto col pubblico: non è importante che lo spettatore capisca qualcosa, «tanto non ci stiamo capendo niente neanche noi», sottolinea Daniele Villa di Teatro Sotterraneo. Deve piuttosto interrogarsi sulla realtà sbozzata dalle compagnie, ognuna a suo modo, e la ricerca è quella di una nuova forma di condivisione – della bellezza, ma anche dello spaesamento e della resistenza.
Un’ultima cosa è chiara, e resta pressante anche a distanza di qualche giorno, così vogliamo portarla in conclusione a questa testimonianza. È un’invocazione, una preghiera, un consiglio: quello, per piacere, di non tentare definizioni, categorizzazioni, incasellamenti di alcun tipo. La motivazione, fra le altre, più convincente è quella di Roberta Zanardo di Santasangre: la definizione di una generazione rimanda necessariamente a un rapporto col passato, mentre i giovani qui presenti invocano, piuttosto, l’ipotesi di una relazione col futuro che dovranno affrontare. A noi critici sta di cogliere l’augurio e farlo riecheggiare (in recensioni, chiacchierate e incontri o quello che si vuole e si può). E di non lasciarlo perdere nelle parole di un giorno, affinché quella che si è fatta conoscere e si è riconosciuta, potentemente, come una nuova generazione della scena contemporanea, non sia costretta, nel giro di qualche anno, come spesso è accaduto nel nostro Paese – dalla regia critica alla Postavanguardia ai Teatri Novanta gli esempi si sprecano – a rientrare nei ranghi, riconvertendosi alle forme di un sistema che solitamente ha preferito alimentare se stesso (anche andando alla continua famelica scoperta del nuovo) piuttosto che sostenere seriamente lo sviluppo dell’innovazione che si era appena proposta.

Roberta Ferraresi