spettacoli alessandro sciarroni

Il nudo è di scena a B.Motion

Approfondimento sul Festival B.Motion Danza 2010

Corpi-carne in esposizione, che vanno verso una decomposizione. Corpi simil-velati, trasparenze verticali che mostrano una giocosa eleganza. Corpi che nascondono la loro natura dietro travestimenti, ingannando l’immaginario collettivo e rivelando la propria fisicità una volta spogliati delle vesti. Corpi che cercano un’identità, cambiando se stessi per passare verso un altro stato, un’altra immagine che rifletta il proprio Io. Corpi che ritornano al primitivo e al bestiale mescolandosi al materico, alla terra-torba da cui provengono e in cui un giorno ritorneranno. Corpi statuari e corpi deboli, indifesi, ma depositari di una purezza disarmante. Il nudo in scena si rivela in molti lavori presentati a B.Motion Danza 2010: la fisicità diventa una fonte inesauribile da interrogare, si sente il bisogno di “mettersi completamente a nudo” forse per trovare un punto di contatto con chi è seduto in platea.

Marco D'Agostin

Una necessità e un modo scelto dagli artisti per trattare argomenti che forse altrimenti non riuscirebbero a comunicare: un corpo nudo è portatore di verità, riesce a parlare anche semplicemente mostrandosi in tutta la sua vulnerabilità. È più semplice da colpire, da attaccare: i segni di violenza rimangono ben visibili e fissi nello sguardo del pubblico. Come in Co(te)lette di Ann Van den Broek dove le tre donne in scena iniziano ad infliggersi dei colpi: impossibile non empatizzare immediatamente, un dolore attraversa il pubblico messo di fronte a tale bombardamento. Riesce a veicolare le proprie emozioni in maniera diretta anche nel momento in cui le parole vengono meno, come nell’altro lavoro We solo men della coreografa olandese, in cui una sorta di boy-band di fronte ai tanti microfoni presenti in scena non può esprimersi a voce, ma solo con il linguaggio dei segni portato all’esasperazione; il corpo e il gesto diventano l’unico mezzo di espressione e di comunicazione. E sempre nella stessa pièce si svela il gioco del travestimento: chi si pensava fosse uomo – con tanto di basette e baffetti al volto e movimenti stereotipati tipici di una popstar – una volta denudato sorprende un pubblico che all’improvviso si ritrova a dover rivalutare tutto ciò che fin lì aveva visto. La sorpresa arriva anche con Marco D’Agostin, il giovanissimo vincitore del Premio GD’A Veneto 2010, che con Viola riesce a mutare il proprio corpo, da uomo a donna, creando l’immagine suggestiva di un corpo androgino che scompare lentamente dentro una luce fioca; in una posizione che ricorda il Cristo in croce, D’Agostin si priva di una sessualità ben specifica che lo caratterizzi, creando un’immagine di piena purezza che ricorda una pittura quattrocentesca. In The son dei greci Oktana Dance Theatre il corpo ritrova la sua natura primitiva: è solo, con la sua nudità, immerso nella torba, in un istinto primordiale che lo spinge a fondersi con la terra e riportare così la propria carne alle origini, alla creazione, ma anche alla sua fine. La matericità diventa simbolo di nascita ma anche di un ritorno definitivo, di morte.

Non è suggestione ma è disarmante la sensazione che suscita Alessandro Sciarroni nel suo spettacolo Your girl: in una tenera semplicità data dal solo mostrarsi nudi in scena in posizione statuaria, i fisici di Chiara Bersani e Matteo Ramponi si fanno portatori di diversità e vulnerabilità. Le due presenze sceniche acquistano un valore aggiunto in quanto diverse tra loro: la “Diversità” non trova un contrasto con la “Normalità” o la “Perfezione”, perché sono proprio queste definizioni qui a cadere; se la chiusura data dalle categorizzazioni mentali spinge a pensare che solo un corpo perfetto – e poi anche qui: che cos’è la perfezione in un corpo? – può farsi carico di emozioni, in Your girl sono le presenze sceniche dei due corpi a riempire di significato la pièce.

Carlotta Tringali

Le stelle gemelle di Sciarroni

Recensione a Lucky star – di Alessandro Sciarroni

foto di Federica Ruggeri

Nascono abbracciati, intrecciati, dentro un cubo. Un groviglio di due corpi da cui lentamente spunta una mano, poi una gamba. L’operazione è duplice e si ripete: fuori un’altra mano e un’altra gamba ancora. Il grembo geometrico e freddo che li ospita si spacca: due busti si staccano, quasi sdoppiandosi, come in una riproduzione cellulare. È una separazione parziale, da cui una figura deforme prende vita: un’unica massa corporea dotata di quattro gambe rapisce la percezione visiva a tal punto che l’occhio può godersi incondizionatamente, senza che la mente interferisca per farsi delle domande, la bellezza di quell’immagine.

Lucky star, performance ideata dal marchigiano Alessandro Sciarroni, porta lo spettatore ad abbandonare la propria razionalità creando dei momenti di raggelata deformità e complessità, in una estetica semplice ma che coinvolge un perenne e misterioso fascino della natura umana dato da due gemelli omozigoti. In scena Marco e Roberto Tarquini sono identici nella loro cecità datagli da del nastro adesivo posto sugli occhi o da una mascherina in volto, tanto che i movimenti sono gli stessi, un dondolamento che li lascia cullare nel loro riflesso; ma che viene percepito come un ostacolo e dà vita a incomprensioni nel momento in cui degli occhiali mostrano, come fossero delle lenti di ingrandimento, una somiglianza-uguaglianza insopportabile. Una diversità che si ricerca nei tatuaggi di uno dei due corpi rispetto alla pelle immacolata dell’altro, ma che non è sufficiente.

foto di Federica Ruggeri

La drammaturgia di Alessandra Morelli e Alessandro Sciarroni parla di una digressione che prende le mosse da Romeo and Juliet di Shakespeare, amanti definiti dallo stesso autore inglese «star crossed lovers», stelle che vivono non della propria luce, ma una del riflesso dell’altra. E proprio come due corpi celesti, i due gemelli emanano apici di bellezza quando sono intrecciati, sembrando un unico corpo, o quando con delle semplici buste riescono a creare una simmetria che si rende necessaria. Sembrano restituire dei veri e propri fermo immagine, in un’atmosfera sospesa e fuori dal tempo anche grazie alla musica di Paolo Persia: in questi momenti la performance Lucky star sembra quasi una installazione visiva. Ma lucentezza e magia si perdono quando i performer ricercano una diversità, impossibile da raggiungere anche con l’omicidio dell’altro da sé. Una diversità che li contrappone al pubblico, su cui si accendono per un istante le luci, ma non da loro stessi. E dopo una separazione dolorosa e impossibile i due gemelli si riuniscono, ma forzatamente, grazie a Sciarroni, l’ideatore stesso, che, come fosse un Deus ex machina, interviene sui loro vestiti, unendo cappucci e maniche delle felpe, restituendo al pubblico l’immagine di un corpo che sembra trovare il suo doppio appoggiato a uno specchio.

Visto al Teatro Studio, Ancona

Carlotta Tringali