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Sedici mosse per un enigma

Recensione a Enigma (niente significa mai una cosa sola) – di Stefano Massini

Ottavia Piccolo - foto di L.Vegini

«Gli enigmi sono come gli orologi: costituiti da ingranaggi». E di ingranaggi che, pur avendo una natura complicata seguono una semplicità lineare senza incepparsi mai, si potrebbe parlare anche per descrivere la nuova drammaturgia di Stefano Massini dal titolo Enigma (niente significa mai una cosa sola), presentata al Teatro Poli di Venezia sotto forma di studio semiscenico. Ottavia Piccolo e Silvano Piccardi si fanno perfetti portavoce di questa trama puntuale, essenziale e avvincente ambientata nella ex DDR: due sconosciuti si ritrovano, per un caso fortuito, nello stesso appartamento a discutere di quello che è stato e di quello che è oggi, a venti anni dalla caduta del muro, la Germania dell’Est. Ma non è che l’inizio di una vicenda che, scorrendo, porta alla luce enigmatiche verità, nascoste sotto quella realtà che è qui solo apparenza; infatti, come recita il sottotitolo, «niente significa mai una cosa sola».

Enigma oscilla continuamente tra passato e presente, è un’altalena che appare già dal principio della mise en espace nei caratteri dettati da una macchina da scrivere, in quel gusto retrò che si intreccia inevitabilmente alla più moderna proiezione video: dei titoli di testa appaiono infatti cinematograficamente sul fondale nero come se fossero battuti dall’ormai vecchio e superato strumento,tornando spesso a scandire il ritmo della storia. Piùquest’ultimaavanza più retrocede nel tempo per indagare e scoprire un passato sepolto, ma che ritorna come un fantasma. Massini costruisce una macchina puntuale divisa in sedici segmenti: forse è una partizione casuale la sua, ma ricorda quella del capolavoro Finale di partita, in cui Beckett muove i personaggi come fossero le pedine di una scacchiera;le due storie non hanno niente in comune, ma se si va al di là della semplice apparenza, come insegna la logica enigmistica e lo stesso protagonista Piccardi, si troveranno delle affinità; in fin dei conti in entrambi i lavori la trama ricostruisce una realtà paradossale: l’assurdità che ha sede nella grande Storia, dove non sempre chi agisce lo fa per una motivazione comprensibile.

La vita nella DDR non era normale come poteva sembrare: ogni sei abitanti esisteva un informatore e il controllo era arrivato al punto che si registrava ogni singolo dettaglio, anche il più intimo, della persona spiata. Ci si impossessava ogni giorno delle “vite degli altri”, proprio come il titolo dello splendido film scritto e diretto da Florian Henckel von Donnersmarck, che ritorna in mente di fronte alla drammaturgia di Massini. «C’era sempre un colpevole, un responsabile di tutto nella DDR», recita la protagonista femminile di Enigma: e la domanda che torna alla mente una volta lasciato il teatro è se il responsabile di tanta assurdità sia la Storia stessa o l’uomo che vi si assoggetta, scegliendo di non agire ma di eseguire quello che gli viene chiesto, anche quando essa è incarnata in feroci dittatori. E lo scritto di Massini coglie splendidamente questo concetto ribattendo che «la Storia non è una parola, ma è carne»: sono infatti gli uomini a costruirla e a darle corpo.

Visto al Teatro Poli di Santa Marta, Venezia

Carlotta Tringali