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Freak and frog: buone pratiche calabresi

Recensione a Freak and frog – regia di Stefania De Cola

Freak and frog

foto di Giulio Malatacca

Metti un’attrice che sa fare bene il suo mestiere, capace di emozionare evocare fare evadere, e un maestro musicista d’organetto il cui tocco incanta, rapisce, rende ebbri. Lo spettacolo è bello e servito, gustoso per ogni tipo di platea, di quelli che tracciano le interlinee di universalità delle buone pratiche teatrali. Non importa se l’interpretazione potrebbe risultare affettata in alcuni frangenti e la regia non troppo fluida: non importa che uno spettacolo sia codificato per filo e per segno, deve arrivare. E se il cenno, il segno teatrale, la metafora ad occhi attenti balza elementare, lineare, come un’equazione, priva di quella sensazione di impercettibilità che si dovrebbe avere assistendo a scene fatte ad arte, è perché l’attenzione è catturata dal resto. La partecipazione quindi è bilaterale, tra palco e platea, e l’efficacia onomatopeica di un buon narratore prende il sopravvento sulla struttura.
Freak and frog è uno spettacolo di teatro di narrazione andato in scena venerdì scorso sulle tavole del Franz Teatro di Porta Piana. Con Stefania De Cola, firma anche della regia, e Salvatore Vercellino, compositore originale. Una lettura partecipata, lo amano definire gli artefici, dalle pagine di Edgar Allan Poe e Luigi Pirandello. Un accostamento apparentemente antitetico, invece no. Perché, ad interrogarsi sul contrario della bellezza, la letteratura ha trovato risposte per epoche e correnti lontane. E perché accomuna qualcosa di sotteso, scrittori e artisti di qualsivoglia periodo.
Il contrario della bellezza, archetipo di benessere e armonia, di virtù e potenza. Da mettere all’ombra chi non ne è dotato. Seppure capace di sentimenti, di intellighenzia, di pregio.
La molla dell’allestimento della De Cola e di Vercellino scatta da una pellicola: Freaks, di Tod Browning. Un film del 1932 di cui l’introduzione è posta come “prologo” dello spettacolo, spala la terra per edificare fondamenta, per preparare il terreno.
Un paio di leggii per il perimetro della scena, un paio di postazioni (sedute), un paio di piazzati, qualche oggetto funzionale al suono o all’illustrazione. E le parole, lette, interrotte dal gesto della De Cola (da rivedere il movimento del corpo forsennato in alcune scene – riconoscibile) con le immagini sonore vivificate dal maestro Vercellino. Composizioni originali, le musiche: partiture teatrali adattate in alcuni momenti al teatro canzone. Dove la reiterazione del motivo, musicale, corrisponde per analogia poetica alla metrica del versi sciolti. D’impatto potente, dritto tra stomaco e sterno. Dove si crede dimori l’anima. Suoni e voce a raccontare le storie degli storpi, di cui si pensa abbiano deformi anche testa e cuore.
La De Cola confeziona un’ennesima prova degna dell’attestazione di stima e della notorietà di cui gode. L’essere considerati una delle migliori attrici in circolazione non avviene per caso. Quando soprattutto il pubblico non è indotto alla compiacenza doverosa.

Visto al Teatro Franz di Porta Piana (CS)

Emilio Nigro

Pubblicato su Il Quotidiano della Calabria