Recensione a ESSEDICE – I Sacchi di Sabbia
Se mio padre morisse. Non è un interrogativo. Tutte le vite finiscono, e l’unica cosa che resta è il nostro modo di ricordare qualcuno, di sentirlo ancora vicino.

Un uomo e una scatola. Gipi e quello che resta delle ceneri di suo padre. È da qui che parte la narrazione; narrazione, ma in realtà non è la storia della vita di ESSE, ma sono le sue storie: ricordi che ESSE raccontava in continuazione, mille volte a tavola, in macchina, tra amici e parenti. Episodi che cambiano col tempo, dai contorni sfocati come un acquarello. Il racconto non inizia con “c’era una volta”. Non è una storia al passato ma bensì al presente. «Esse dice che la guerra… Esse dice come si pesca… Esse dice che che si è rotto le palle di stare al mondo». In scena Gipi con una scatola di cartone tra le mani, un feticcio che non smette di torturare. Seduto con un sorriso incerto tra l’imbarazzato e l’ironico, parla di ESSE. Dietro di lui si materializzano personaggi stilizzati – la famiglia di Gipi e Gianni stesso quand’era bambino – rivivono in scena, grazie alle maschere di Ferdinando Falossi: un passaggio quello dal fumetto alla scena, che grazie all’arte della maschera, risulta semplice ed efficace. La maschera riporta in vita i morti che, come nell’antica Grecia, parlano ai vivi. Un incontro commovente e sincero.

Visto a Primavera dei Teatri, Castrovillari
Camilla Toso