spettacolo teatro ostermeier

Il teatro politico nel capolavoro di Ostermeier

foto di Arno Declair

foto di Arno Declair

Uno spettacolo di tre ore in tedesco, – ovviamente con sovratitoli in italiano – senza intervallo, che inchioda alla poltrona; un impianto semplice, una scenografia disegnata sui muri con dei gessetti che ricreano l’interno di una casa – ricordando per alcuni aspetti i film di Lars Von Trier; attori splendidi, drammaturgia intelligente, colta e comunicativa, un regista raffinato e sapiente, un Maestro come ce ne sono pochi, pochissimi. Dove siamo? Alla 42esima edizione della Biennale Teatro di Venezia, spettatori dell’ultima pièce in programmazione del festival lagunare.

Ein Volksfeind diretto da Thomas Ostermeier e prodotto dalla Schaubühne di Berlino – di cui Ostermeier è anche direttore –, stupisce per la sua completezza e bellezza, per il suo impianto di teatro classico rivolto a spettatori del 2013; colpisce per la sua forza comunicativa e accuratezza in cui tutto, ogni singolo aspetto, contribuisce a farne un grande spettacolo. L’autore di Un nemico del popolo, Henrik Ibsen – a cui Ostermeier spesso negli ultimi anni si è rivolto portando in scena altre sue pièce – non è più fermo nell’800: grazie alle scelte registiche soppesate insieme all’adattamento drammaturgico di Florian Borchmeyer il testo ci parla di oggi, racconta di noi, della crisi e della nostra società, delle contraddizioni che ci guidano nel quotidiano a cominciare da quella che chiamiamo democrazia.
Se solitamente Ibsen scandaglia l’io più intimo dei suoi personaggi, questo testo verte più su un’analisi politica e sociale, attaccando l’ipocrisia borghese; con Ostermeier e la sua compagnia, la forza delle parole dell’autore norvegese dilaga, andando a scavare gli aspetti e i meccanismi che regolano la nostra società civile, influenzata da un sistema politico contorto, corrotto e marcio.

foto di Arno Declair

foto di Arno Declair

La trama è semplice: Stockmann, il medico della stazione termale di una tranquilla cittadina, scopre che le acque della struttura in cui lavora sono inquinate e hanno portato disturbi ad alcuni pazienti. Vorrebbe informare la città, ma la stampa e i funzionari – tra cui suo fratello, il borgomastro – cercano di impedirglielo in tutti i modi, quando capiscono che il risanamento della stazione comporterebbe un impiego economico troppo elevato per le casse del Comune, la chiusura per due anni delle terme, la disoccupazione dei cittadini che vi lavorano e l’interruzione del rilancio turistico del paese. La sua scoperta, invece di salvare la vita agli ipotetici pazienti, si trasforma in un incubo per la città e i suoi abitanti: Stockmann diventa, così, il nemico del popolo.

Se la sua lettera di denuncia non viene pubblicata dal giornale, il protagonista – un eroe-antieroe disposto a giocarsi tutto, lavoro, casa e famiglia in cambio della libertà di espressione e della verità – decide di convocare un’assemblea pubblica che diventa un monologo intenso e attuale, in cui al testo di Ibsen vengono mescolati alcuni estratti dal saggio Insurrection qui vient, pubblicato in Francia nel 2007 dal Comitato Invisibile (qui il link per leggere il saggio). L’attore Stefan Stern si fa carico di una denuncia accorata in cui si chiede “Come possiamo fare a mettere la ragione piuttosto che il profitto al centro delle nostre esistenze?” / “l’economia non è in crisi, l’economia è la crisi; non è la crisi che ci deprime, è la crescita”. E le parole di Ibsen diventano coltelli spinti nelle nostre piaghe per cui “Il più pericoloso nemico della verità e della libertà è la maledetta maggioranza democratica. (…) La maggioranza non ha mai ragione, mai! Ecco una di quelle menzogne sociali contro le quali un uomo libero – libero nei suoi pensieri, nel suo agire, in tutta la sua persona – deve ribellarsi. Ma ditemi, chi è che forma in un paese la maggioranza, gli intelligenti o gli imbecilli?”

Ostermeier accoglie Ibsen e il Comitato Invisibile e il monologo di Stockmann/Stern si rivolge direttamente a noi, pubblico in sala, chiamati dagli altri attori ad intervenire proprio come ci trovassimo a una vera e propria assemblea pubblica. “Chi è d’accordo con quanto dice Stockmann?”, viene chiesto dagli altri attori. In tanti, tantissimi alzano la mano. Ma qui il pubblico chi rappresenta?
Un meccanismo che scardina il concetto stesso di maggioranza – che secondo Ibsen/Stockmann/Stern è fatta di imbecilli – e ironizza sulle contraddizioni stesse delle contestazioni attuali, che riempiono piazze e luoghi occupati nel tentativo di risolvere i tanti problemi della nostra società con il dialogo ma senza fatti, in cui per lo più ci si riempie la bocca di buoni propositi, senza arrivare a una vera soluzione, perché gli equilibri politici e sociali si decidono da un’altra parte, non democraticamente, non qui. E perché, come afferma Ostermeier in un’intervista “la generazione dei 30enni e 40enni delle grandi città europee ha il cuore di sinistra e il portafogli di destra, vuole cambiare il mondo senza sporcarsi le mani e senza confrontarsi con il potere”.
E allora eccoli i bravissimi attori diretti da Ostermeier: non interpretano vecchi borghesi, ma uomini d’affari in cravatta o con pastore tedesco al fianco, giovani musicisti indie vestiti tutti uguali che ascoltano a tutto volume Changes di David Bowie, fingendosi difensori della verità per poi isolarsi con grandi cuffie alle orecchie, chiudendo gli occhi e portando avanti il proprio scopo alla ricerca del benessere personale (e poco importa se vanno contro ai principi che in teoria sostengono).

OstermeierDal pubblico del Teatro Goldoni di Venezia – che partecipa attivamente alle provocazioni dell’attore tedesco antagonista di Stockmann – arriva nervosismo, malessere per le bugie che affliggono la società, voglia di verità e uno scioccante parallelismo: la storia che sta andando in scena sembra ricalcare quella dell’Ilva di Taranto. Parole e opinioni si accavallano, senza ovviamente portare a una soluzione.

Nella versione tedesca di Ein Volksfeind non si salva nessuno, né i contestatori che danno vita a dialoghi sterili infiniti, né il protagonista che attacca la maggioranza, né lo stesso pubblico. Tutti perdono, tutti sbagliano. Il nocciolo sta infatti in una domanda che risuona subito una volta usciti da teatro: che cosa siamo disposti a sacrificare per risanare la nostra società? Ci lamentiamo tutti, ma rimaniamo a guardare, anzi ad ascoltare esaltandoci David Bowie che invoca il cambiamento…

Con Ostermeier e la sua compagnia almeno il teatro ha riacquistato la sua caratteristica principe, la sua urgenza politica. Da Ein Volksfeind si esce combattuti, dilaniati, tormentati, soddisfatti, pieni, con voglia di parlare, discutere, fare, reagire… e continuare a vedere teatro così ad alto livello, comunicativo, necessario. Che purtroppo nel nostro Paese sembra quasi non esserci.
Alla comunità rimane però il compito più arduo, cercare la risposta a come reagire al marcio della nostra società.

Visto alla 42° Biennale Teatro di Venezia

Illustrazioni di Mariagiulia Colace

Carlotta Tringali