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La paura secondo Hubert Colas

Recensione a STOP ou tout est bruit pour qui a peur – Hubert Colas

Hubert Colas affronta la paura nella triplice veste di autore, regista e scenografo per la sua nuova creazione STOP ou tout est bruit pour qui a peur per l’attivissimo Théâtre de Gennevilliers — Centro Drammatico Nazionale di Creazione Contemporanea.

«Sono tre, sono sei, sono sette, hanno paura»: tre donne, tre uomini e un personaggio “x”, che nella prima parte dello spettacolo compare solo come incursione video, danno corpo e voce all’indagine su questo sentimento paralizzante e spesso incontrollabile che è la paura. Un sentimento che può crescere fino a divenire così invasivo da inglobare tutto. Si piomba così in un abisso soffocante dove «tutto è rumore per chi ha paura», come recita il titolo del lavoro.

Un concetto complicato ma reso in maniera stupefacentemente calzante dalla scenografia e dalle incursioni luminose e video che, sposandosi perfettamente con gli elementi in scena, offrono momenti visivamente coinvolgenti ed esteticamente emozionanti.
Svariati “praticabili” di gommapiuma nera, spostati più volte nel corso dello spettacolo, trasformano lo spazio con spiazzante semplicità. Da un enorme “palco-sul-palco” gommoso che costringe gli attori a movimenti insicuri ed inevitabilmente silenziosi, in pochi istanti ecco apparire un surreale salotto, per poi ritrovarsi proiettati in una labirintica foresta di parallelepipedi. Sovrasta il tutto un enorme coperchio rettangolare munito di neon che apre e chiude la scatola teatrale opprimendo gli anonimi personaggi fino a rinchiuderli in una stanza che ricorda, nella sua morbida imbottitura, la camera di sicurezza di un ospedale psichiatrico. Con tanto di videosorveglianza: è così che si fa la conoscenza del settimo personaggio, border-line e straniero, al quale è concesso l’ingresso fisico allo spazio scenico solo in un secondo momento.

Il testo, frammentatissimo, procede per sovrapposizioni, associazioni, incontri, pause, monologhi e dialoghi che sovente iniziano in scena come se fosse un gioco tra gli attori. Un gioco a eliminazione, in cui la scenografia prende sempre più il sopravvento fino a rendere invisibili gli interpreti, ridotti a lontane voci e intraviste silhouettes che si aggirano nel labirinto finale.
Le parole scorrono rapide, ma sovrastate da un un impianto visivo così invasivo e seducente, si lasciano ascoltare ma anche facilmente dimenticare. Parafrasando il titolo dello spettacolo, tutto diventa rumore per lo spettatore catturato da un morbido mondo oscuro che non disdegna momenti installativi al limite dello psichedelico.

Il risultato è uno spettacolo coinvolgente e interessante dal punto di vista plastico e visivo, ma in cui la parola soffre un po’ di una certa debolezza che la relega in secondo piano. Un po’ come se il Colas regista avesse privilegiato più il suo lato di scenografo a quello di autore; o forse si potrebbe ipotizzare che la traduzione della paura in termini visivi gli sia risultata più intuitiva a concreta che quella verbale. Sta di fatto che, nonostante ciò, STOP resta un lavoro concettuale senza divenire criptico, immaginifico e surreale nel suo stilizzato monocromo. Ha forse bisogno dal punto di vista attoriale di un rodaggio maggiore affinché la parola possa raggiungere uno statuto all’altezza dell’impianto scenico, trovando il suo posto all’interno di questo luogo di luci e ombre, immobile ma pulsante, che si è rivelato in grado di tradurre perfettamente e originalmente un sentimento così universale e complesso quale è la paura.

Visto al Théâtre de Gennevilliers, Parigi

Silvia Gatto