A Lecce, in occasione di ArtLab13, abbiamo incontrato Silvia Bottiroli, direttrice artistica di Santarcangelo 12♦13♦14. Nel chiostro del MUST, il museo storico della città, abbiamo ascoltato il suo parere su alcuni spunti particolarmente interessanti emersi durante il convegno, riflettendo assieme intorno a specifiche parole.
STRATEGIA
Termine divenuto centrale, che pone l’accento sulla necessità di ragionare pianificando e sfruttando le sempre minori risorse che le organizzazioni culturali hanno a disposizione. Nel corso di un dibattito ad ArtLab13, hai proposto un’interessante spunto di riflessione sul concetto di tattica come alternativa alla parola strategia. Cosa intendi?
S.B: È una riflessione in corso non ancora così formalizzata. Ho iniziato a riflettere sulla differenza tra tattica e strategia circa un anno fa a Graz durante Truth is concrete, la maratona sul rapporto tra arte e attivismo politico organizzata dal festival Steirischer Herbst. In quel contesto si è molto discusso della differenza tra questi due approcci, all’interno di un solco di riflessione che a me interessa particolarmente: la possibilità che il fare artistico introduca cambiamento nel mondo a diversi livelli. Dal mio punto di vista, la strategia è qualcosa che parte dall’alto e la tattica è qualcosa che parte dal basso, e in particolare queste due parole identificano due visioni di territorio e di modalità di operare molto diverse. La strategia presuppone una pre-visione e un pre-orientamento del futuro. È uno sguardo che territorializza e segna dei perimetri, degli ambiti e delle appartenenze. La strategia è una prospettiva già data. La tattica invece ha un approccio molto più basato sulla mobilità e soprattutto si pone nei confronti del futuro secondo criteri che non sono strettamente legati alla pianificazione, all’architettura e alla costruzione di un tempo a venire, ma è un mettersi a disposizione, un’apertura nei confronti del tempo a venire. La definirei quasi come una fiducia nell’imprevedibile. In sintesi, concepisco la tattica come una lettura costante di quello che ci sta accadendo, che non cerca di pre-orientarlo, ma di accoglierlo.
INNOVAZIONE.
Altro termine chiave che si rivela essere una pratica sempre più fondamentale. Qual è il tuo punto di vista sul concetto stesso di innovazione?
S.B: Se parliamo di innovazione, ciò che mi preme sottolineare prima di tutto è la differenza tra la produzione di innovazione e la produzione del nuovo, due concetti sostanzialmente diversi.
Se intendiamo per innovazione una auspicabilmente costante trasformazione dell’esistente verso nuove forme, intenderei invece per produzione del nuovo la possibilità di far apparire qualcosa di completamente diverso da ciò che già esiste. Parliamo di due procedimenti e modalità molto diverse. Più che di innovazione, che è un concetto molto virtuoso soprattutto nell’ambito delle pratiche, mi interessa in questo momento porre la domanda sul come, attraverso il lavoro che facciamo, possiamo far apparire ed emergere un nuovo scenario ancora sconosciuto. Se vogliamo che qualcosa che non conosciamo accada, dobbiamo muoverci con strumenti che non sono usuali, tenendo sempre presente che la produzione di cambiamento ha anche un aspetto distruttivo e soprattutto che è un avvenimento meno controllabile rispetto al processo di innovazione dell’esistente.
Diciamo pure che, anche rispetto all’esperienza di Santarcangelo, le due cose non sono opposte: si può provare a operare in una logica di cambiamento dell’istituzione e di innovazione delle sue modalità di lavoro, preparando il terreno perché quell’istituzione possa poi accogliere il nuovo quando questo si manifesta, sia in termini di produzione artistica che di modalità lavorativa propria dell’istituzione.
Proviamo a portare due esempi, che riguardino la realtà in cui lavori, per mettere meglio a fuoco questa differenza.
S.B: Se penso al nostro lavoro a Santarcangelo, a cosa stiamo facendo o abbiamo fatto in termini di innovazione, penso al modo in cui abbiamo articolato le nostre attività nell’arco di tutto l’anno e alla conseguente riorganizzazione del rapporto tra il festival e il territorio. Anno Solare – è questo il titolo delle nostre attività annuali – risponde a una lettura del contesto e a una trasformazione dell’esistente. Il progetto ha coinciso con la creazione di nuove possibilità a partire da ciò che già c’era, attraverso un utilizzo nuovo delle risorse che abbiamo in termini di foresteria e spazio per gli artisti e mediante l’attivazione di una serie di proposte, dialoghi e inviti alla città: gli incontri, le prove aperte, le gite in pullman a teatro. Al momento stiamo cercando di non formalizzare queste nuove modalità sperimentate, ma proviamo a cambiarle mantenendole costantemente in discussione.
Sul fronte della produzione del nuovo, siamo ancora nell’ambito delle domande aperte a cui non so dare una risposta compiuta ma, per portare un esempio, l’anno scorso abbiamo affidato al collettivo di architetti collAA uno spazio all’interno dello Sferisterio di Santarcangelo. Questo spazio ha ospitato diverse funzioni del festival: gli incontri, la libreria, una ciclofficina, il Progetto Clima di MK e altri ancora… Ma soprattutto ha creato un’apertura, un potenziale, e cioè è stato usato anche in modi impensati e non programmati, ci ha rivelato qualcosa che non avevamo previsto. Proprio a partire dall’esperienza fatta in questo luogo e all’interno del progetto europeo Shared Space, stiamo articolando per il prossimo anno una serie di pratiche artistiche e pratiche seminariali sulla questione dello spazio. Ovviamente il festival non si risolverà interamente lì dentro, ma nella nostra visione questa è una sorta di miniatura che potrà far apparire qualcosa di altro rispetto al festival che conosciamo, un’idea di spazio e tempo di esperienza e di produzione di conoscenza.
PUBBLICO PARTE I.
Inteso come spettatore, partecipante, audience. Vorrei che prima di tutto cercassi di raccontare il pubblico o i pubblici di Santarcangelo, per come li conosci e li studi dal tuo osservatorio.
S.B: Nella nostra esperienza i pubblici sono plurali innanzitutto in una dimensione territoriale. Il pubblico locale lo definirei proprio con il termine di “cittadini” perché, anche se non sono necessariamente spettatori del festival, sono tutti cittadini di questo festival oltre che della loro città. La situazione che abbiamo a Santarcangelo, sicuramente frutto della sua storia, è di grande partecipazione e quindi di ampio dibattito intorno al festival che è un fatto sociale e culturale importante per la comunità. Può essere molto amato o anche molto criticato, ma è un fattore di riconoscimento di un’identità collettiva attorno al quale si discute. Abbiamo notato come i cittadini che sono orgogliosi di avere il festival, lo difendono e lo supportano, non siano necessariamente spettatori che comprano il biglietto e vengono agli spettacoli, ma piuttosto abitanti che si sono sentiti partecipi del festival. Le forme di coinvolgimento e partecipazione possono essere molto semplici come la richiesta a una casa privata di aprirci le porte e darci un allaccio alla rete elettrica per riuscire a fare un spettacolo. Accanto a questo, abbiamo sperimentato approcci partecipativi molto più complessi come il coinvolgimento degli abitanti nei progetti artistici di Virgilio Sieni o Richard Maxwell ad esempio.
Un altro esempio è Compagnia di giro, un progetto che prevede lo spostamento in pullman per andare a teatro durante la stagione invernale in altri spazi della regione. Questo è stato uno strumento molto importante perché ha permesso ai partecipanti di vedere un tipo di teatro che non fosse solo quello di ricerca che il festival propone e al contempo di leggere un territorio circostante che è ricchissimo e che merita di avere supporto in termini di spettatori. A noi ha dato la possibilità di rispondere a una collettività che non ha una stagione teatrale, senza farci carico direttamente di un’attività che non saremmo in grado di gestire e che non ci compete.
Con queste azioni il festival ha affermato con chiarezza che si occupa della città e che vuole essere per la comunità un’occasione di crescita e riflessione su se stessa. Il pubblico locale è sicuramente il pubblico di cui ci siamo occupati di più perché è nei suoi confronti che sentiamo una responsabilità maggiore, cercando però di concepire questo lavoro non in ottica pedagogica, ma in un’ottica della relazione e della prossimità. Ci siamo posti come il loro interlocutore più presente e più prossimo nei confronti del mondo del teatro.
PUBBLICO PARTE II
Inteso come ruolo chiave del sostegno al settore culturale. Qual è il tuo punto di vista sul ruolo che le istituzioni culturali possono svolgere in tempi di cambiamento obbligato. Credi nel loro ruolo? Possono davvero produrre cambiamento o semplicemente riprodurre se stesse?
S.B: Ho evidentemente una grande fiducia nelle istituzioni, credo sia importante che questi anni di trasformazione siano attraversati anche dalle istituzioni. L’esperienza di Santarcangelo è abbastanza interessante perché è un’associazione di diritto privato, formata però interamente da enti pubblici, finanziata per la maggior parte da fondi nazionali, regionali e locali che, come molte altre istituzioni, negli ultimi anni ha avviato un processo di ribilanciamento delle entrate secondo criteri di sostenibilità che tengono conto della partecipazione di privati. Questo è già un aspetto di cambiamento istituzionale importante che sto vedendo accadere sempre più spesso. Confrontarsi con l’istituzione ha indubbiamente un aspetto faticoso e complesso, perché è un contesto in cui possono e devono coesistere dei punti di vista molto diversi. Stiamo tentando di inserire un seme di trasformazione potente, rimettendo in discussione la traduzione in attività concrete degli obiettivi statuari che l’associazione ha. A mio avviso, il tema dell’innovazione in questo momento deve essere posto in termini radicali: un’istituzione oggi è all’altezza del suo compito se non tenta solo di adoperare delle piccole migliorie al suo funzionamento, ma se riesce a scardinare e mettere in discussione le pratiche di lavoro consolidate o le modalità organizzative. Per fare questo ha bisogno di elementi estranei ed esterni che provocano un cambiamento. Santarcangelo ha il raro privilegio di essere un’organizzazione che cambia con costanza la direzione artistica, ma in generale, se un’istituzione vuole innovare e innovarsi probabilmente deve porsi il tema del ricambio al suo interno e ai suoi vertici perché è dall’incontro con una diversità che il cambiamento può accadere.
Vorrei tornare alle due parole proposte all’inizio: strategia e tattica, che sono entrambe termini bellici. Parlare di nemico è ovviamente fuorviante, ma per stare nella metafora della guerra, alla luce di quanto detto finora, qual è lo scopo/obiettivo di un’organizzazione culturale come quella da te diretta e come cambia questo obiettivo se lo si guarda attraverso l’ottica della tattica?
S.B: Siamo in un momento in cui produrre cambiamento è più importante che sopravvivere. Stare in difesa, mirare alla propria sopravvivenza o alla propria crescita, in termini di organizzazione, è meno importante che introdurre il principio che dobbiamo abitare la complessità in modo aperto e produrre cambiamento, anche a costo di trasformarci radicalmente, disperdere le forme che conosciamo, attendere che ne emergano delle nuove.
Intervista a cura di Margherita Gallo