Allucinazioni e spazi metamorfici in scala di ori

Recensione a Mansarda Circolando e a Baldassare Dewey Dell

Epifanie su schermi d’oro e spazi immersi in luci crepuscolari: in scena a VIE Scena Contemporanea Festival dal 9 all’ 11 ottobre – le compagnie Dewey Dell e Circolando regalano al pubblico immagini e suoni in grado di condurlo in territori tanto ignoti quanto familiari.

mansarda

Lo spazio del sogno, esperienza comune a tutti gli esseri umani, diversamente dalla realtà che ci circonda, considerata – a torto o ragione – materiale e palpabile, si presenta come un luogo ignoto per l’impossibilità di ricondurlo a leggi definibili, nonostante gli sforzi di studiosi e scienziati di individuarne tratti razionali e leggi universali. Eppure proprio questa sua caratteristica impalpabilità costituisce il punto di partenza del processo creativo di Mansarda, messo in scena a Ponte Alto dalla compagnia portoghese Circolando. Un viaggio che parte dal Teatro delle Passioni, dove un autobus conduce gli spettatori in un luogo lontano dal caos, seppur minimo, della città di Modena, in una sorta di epurazione dalla contingenza della vita quotidiana. Al pari di un sogno, nello spazio scenico si materializza un tempo distaccato, una dimensione dove le immagini in tutta la loro fisicità si sostituiscono alla parola in quanto veicolo comunicativo privilegiato. Corpi di oggetti e attori si inseriscono in un tempo sospeso tra il sogno e il ricordo, dove una luce surreale traccia i profili di quadri metafisici in continua metamorfosi e sette maschere ci accolgono in questo mondo buio e come guide sacre iniziano il nostro viaggio. Nessuna legge gravitazionale impedisce agli attori di sondare lo spazio scenico in tutte le sue dimensioni, rivelandosi anche abili performer: la struttura di una mansarda lignea, circondata da terra fresca dalla quale sorgono alberi e sgorga acqua, si configura come metafora della ricerca dell’uomo di uno spazio che lo possa accogliere e con il quale interagire. Un estremo rispetto reciproco caratterizza la relazione tra uomo e ambiente: nessun protagonista domina la scena, ogni corpo si presenta come un elemento essenziale per dar vita ad un sogno ad occhi aperti, in un tempo chiuso, limitato, dal quale le stesse maschere ci risvegliano. Un sogno forse troppo lungo per permettere ad ogni immagine di fissarsi con la stessa potenza e incisività nella mente dello spettatore.

Abbandonando il tempo onirico e dilatato dello spettacolo della compagnia portoghese, Baldassarre dura il tempo di un’allucinazione collettiva. In una stanza dell’ex-ospedale Sant’Agostino, per opera dei Dewey Dell, la mitica figura del re magio che rese omaggio a Gesù Cristo il giorno della sua nascita si manifesta nella sua natura mistica, ancestrale e celeste: una danza sciamanica, a tratti primitiva, ci riporta ad una dimensione religiosa ormai persa nella società contemporanea. Quattro minuti sono sufficienti per recuperare un contatto con il divino, intimo, personale e sconvolgente quanto può esserlo l’apparizione di una figura priva di tratti fisici umani: una sfera superiore non regolata da leggi a cui sottostare, ma uno spazio in cui l’ignoto si manifesta a noi in una contingenza accattivante e inquietante nello stesso tempo. Al pari della definizione data dalle scienze fisiche, il corpo nero si presenta come un oggetto che, assorbendo tutta la radiazione elettromagnetica incidente e per il principio di conservazione dell’energia, irradia tutta la quantità di energia assorbita: non una sagoma disegnata su un fondo dorato, ma un concentrato di energia che genera campi energetici tanto intensi da invadere lo spazio circostante, liberati da una danza ipnotica su una musica che nasce dalla sintesi di ritmi tribali e suoni elettronici. Dalla mano del re, la fede in qualcosa di Superiore/Altro rispetto al mondo umano ci investe senza bisogno di contatto fisico. Tutto rimane impermeabile al mondo esterno. E qualcosa si risveglia nel nostro Io più profondo.

Visto a VIE – Scena Contemporanea Festival, Modena

Giulia Tirelli

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