Facciamone una Tragedia

Recensione a Non facciamone una tragedia -Progetto Brockenhaus
Il misantropo -Moliere di Mario Perrotta

Non facciamone una tragedia

Non facciamone una tragedia

Ultime serate dell’Armunia Festival 2009, piccola rassegna toscana, che vede in scena compagnie locali, alternatesi durante l’anno in residenze creative presso la sede del castello Pasquini di Castiglioncello. Ancora una volta la manifestazione si propone come officina creativa, capace di dare uno spazio di lavoro ma anche di confronto e formazione. A chiudere, tra sabato e domenica, due compagnie con lavori assai diversi: Non facciamone una tragedia del Progetto Brockenhaus e Il misantropo da Molière di Mario Perrotta.
La prima è una giovane compagnia formatasi in ambiti diversi: danza, teatro, circo; propone uno spettacolo complesso e ricco di immagini. L’intenzione, infatti, è quella di riportare in vita figure stilizzate e grottesche protagoniste di una tragedia del passato, fargli prendere vita attraverso la danza in una vecchia sala da ballo abbandonata. Sulla scena semivuota, delimitata sul fondo da due drappi di velluto rosso, si alternano figure clownesche, coppie di ballerini, amanti: figure tragiche che raccontano l’ironia della morte. L’operazione è interessante, fonte di immagini e rimandi. Qualcosa però sembra non funzionare: ciò che dovrebbe far ridere, risulta invece triste e mal riuscito, c’è un completo scollamento tra intento espressivo e risultato scenico. Allo spettatore arrivano una serie di quadri sconnessi, slegati, alcuni di una certa poesia, altri completamente fuori luogo. La compagnia lavora sul “Teatro in movimento” : una tipologia di teatro che riduce al minimo l’espressività della parola per affidarla completamente al corpo e al suo movimento, appunto. C’è una coreografia, ma non è una coreografia, tutti danzano ma non tutti sono ballerini.
Troppi i linguaggi scelti, nessuno usato in modo appropriato, e quello che poteva essere un lavoro organico ed espressivo si trasforma in un triste pastiche. Forse rinunciare ad una regia di gruppo in favore di un unico punto di vista avrebbe aiutato a dare una chiave di lettura più chiara.
Di più forte impronta classica invece Il misantropo di Mario Perrotta. Prima tappa di un progetto dal titolo accattivante – Trilogia dell’individuo sociale – la pièce si apre con una proiezione su schermo: disegni animati che descrivono l’individuo e la società contemporanea, illudono il pubblico – solo per un attimo – di stare per assistere a qualcosa di nuovo.

Marco Tolone, Foto di Umbreto Costamagna

Marco Tolone, Foto di Umbreto Costamagna

Ma quel che segue è ancora peggio: un coro da operetta che si muove con gesti forbiti apre il testo di Molière. Scena e fuori scena sono separati da un fascio di luce, gli attori entrano ed escono in questo gioco di parti, gli altri seduti ai lati restano in posa. Cento minuti di recitazione tra coreografie scontate, oggetti di scena e costumi di fattura imbarazzante, una regia che si guarda allo specchio nel vero senso della parola. Perrotta sembra infatti puntare tutto sulla trovata dello specchietto – del quale sono stati forniti tutti i personaggi tranne Alceste – un parallelo con il nostro cellulare, unico oggetto a cui rivolgersi in momenti di imbarazzo, fin troppo frequenti in questa pièce dove i personaggi sembrano giocare come bambini a “Specchio riflesso!”. Gli attori, seppur dotati di grande talento, annaspano in questa gabbia registica, Marco Toloni tiene alto il ritmo con un Alceste più che dignitoso, e Maria Grazia Solano strappa grandi risate al pubblico. A sopravvivere in tutto ciò è il testo e la recitazione: se c’è qualcosa che arriva al pubblico sono le poche note ironiche di Molière. Ma cos’è che fa tanto accapponare la pelle in questo progetto? Forse proprio le premesse del regista, che intende analizzare la società contemporanea e rispecchiarla in Molière, e che trova come unici mezzi per farlo qualche battuta su D’Alema, inserita tanto per risvegliare il pubblico, dei costumi che sembrano tirati fuori dal mercato di Porta Portese (giacche in pelle di taglio contemporaneo con cucite maniche a sbuffo, fronzoli, colori sgargianti e fiori finti) , e una trovata già vista nelle Intellettuali di Cirillo e negli spettacoli del più lontano Kantor, dove gli attori si guardavano in frammenti di specchio.
A fine serata applausi per entrambi gli spettacoli, ma non mancano le perplessità che restano chiuse nel silenzio di molte braccia conserte.

Camilla Toso

Visto all’Armunia Festival, Castiglioncello

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