Recensione di Being Harold Pinter e Zone of silence – Belarus Free Theatre
Una necessità impellente di fare teatro, affrontare i problemi della società di oggi, esternare e affermare la propria esistenza. Una recitazione che arriva diretta allo stomaco, una finzione scenica superata che si fonde con la realtà. Diventa riduttivo parlare dei Belarus Free Theatre, la compagnia bielorussa formatasi a Minsk nel 2005 dall’incontro tra il giornalista Nikolai Khalezin, la produttrice teatrale Natalia Koliada e ilregista Vladimir Scherban. Complice la dittatura sotto cui vivono, che li costringe ad andare in scena in clandestinità, il teatro dei Belarus è agito, sentito: trasuda un’energia impressionante, difficilmente riscontrabile in altre realtà teatrali. Assistere a Being Harold Pinter e Zone of silence, presentati per la prima volta in Italia a VIE- Scena Contemporanea Festival di Modena, è un’esperienza da vivere sulla propria pelle.
In entrambe le pièce bastano pochi mezzi per creare spettacoli di forte impatto emotivo: un piccolo quadrato disegnato in terra per delimitare lo spazio, attori preparatissimi che tramite il corpo, lo sguardo e le parole taglienti – pronunciate in russo e bielorusso sovratitolato in italiano – tolgono il fiato.
“Non vi è una rigida distinzione tra ciò che è reale e ciò che è irreale. Non è necessario che una cosa sia vera o falsa, può essere entrambi”. Con queste parole, sospese tra la vita e l’arte, si apre Being Harold Pinter: un concitato susseguirsi di frammenti tratti da alcune drammaturgie dell’autore inglese, che si alternano al suo discorso di accettazione del Premio Nobel per la letteratura nel 2005 e a lettere di prigionieri politici bielorussi.
La violenza – in tutte le sue sfaccettature, dalla famigliare a quella politica e sociale – fa da collante alle situazioni rappresentate, ma non è ostentata realisticamente, viene suggerita. Le immagini riprodotte in scena hanno una potenza evocativa, come la sensazione di claustrofobia data dal telo di plastica agitato sopra i corpi degli attori, mentre un crescendo di canti si trasforma in impercettibili grida. Disturba il suono stridente prodotto dalle dita che strisciano sull’orlo di bicchieri, mentre il linguaggio diventa sempre più crudo.
“La ricerca della verità non può essere rimandata, ma cercata subito. La reale verità delle nostre vite e delle nostre società è un compito decisivo che incombe su noi tutti. Se una tale determinazione non si incarna nella nostra visione politica, non avremo nessuna speranza di ripristinare ciò che per noi è così prossimo ad essere perduto: la dignità dell’uomo”. Una verità che i Belarus fanno sfociare nel volo di un aeroplanino fatto di carta e che alle sopracitate parole di Pinter viene dato alle fiamme: libertà di volo negata che diventa un’esplicita provocazione riguardante la situazione politica bielorussa, ma che abbraccia una realtà più ampia e che interessa il mondo intero.

In Zone of silence il linguaggio corporeo è il vero protagonista: il silenzio verbale,a loro imposto in Bielorussia, non riesce ad impedire a questi attori straordinari di trovare attraverso la loro espressività gestuale un contatto con il pubblico, che diventa così ancora più potente. Il teatro diventa l’unico strumento che dà la possibilità a questo contatto di esistere, lasciando ai Belarus un ultimo spazio per affermare la propria dignità umana.
Visto a VIE – Scena Contemporanea Festival, Modena
Carlotta Tringali
