Recensione a Educazione Fisica – di Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco
Solo in scena su due lunghe panche di legno. Camicia bianca e pantalone nero, prosciugato e indurito dalla vita, baffoni e stress tipico dell’allenatore insoddisfatto. Stringe tra le mani una pianta quasi fosse la sua unica ragione di esistenza. E all’entrata in scena dei suoi 13 allievi, incontenibili, chiassosi, incivili si capisce perché.
È stato presentato in prima nazionale al CRT Salone di Milano Educazione fisica, il primo lavoro di Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco (tra i fondatori della Compagnia Sud Costa Occidentale diretta da Emma Dante), frutto di un progetto di formazione dedicato all’autorialità dell’attore. La messa in scena intende analizzare il rapporto con l’autorità e le dinamiche che formano i giovani, focalizzandosi proprio su una delle materie che più alimenta il conflitto potere/sottomissione: l’educazione fisica, introdotta nelle scuole italiane nel 1910 e non a caso sostenuta fortissimamente dal regime fascista. In scena uno per volta in una sarabanda di colori, con un’estrema cura per il dettaglio e immediati effetti comici, i performer – selezionati durante i laboratori tenuti da Civilleri-Lo Sicco – esprimono a pieno la loro individualità adolescenziale in ogni sua espressione, dal modo di vestire assolutamente personale agli atteggiamenti casinisti e irrazionali, fino al rapporto goliardico tra compagni e irriverente nei confronti dell’autorità, l’insegnante.
In sala tra il pubblico molti giovani studenti sogghignano, si riconoscono probabilmente negli attori e un po’ imbarazzati ne ridono.
«Voi chi siete? – tuona l’allenatore – me lo chiedo ogni volta che vi guardo. Tu, per esempio, chi sei? No, non importa. Tanto non lo sai. Non sapete niente. Il vostro problema è che non sapete niente». Questo vivere in maniera totalmente casuale, tipica degli adolescenti – e a volte anche di qualche adulto – è la dannazione dell’allenatore.
Ma sa bene come forgiare i loro corpi e orientare le loro menti: sacrificio, umiliazioni, aggressività ed estremo antagonismo saranno gli strumenti che sfrutterà per trasformarli nella squadra perfetta. Utilizzando i tempi del basket per il possesso della palla, gli attori occupano lo spazio con precisione e dinamicità. Le micro-azioni dei singoli sono velocissime ed esilaranti, tanto che ci si rammarica che l’occhio non riesca a seguirle tutte con l’attenzione che meriterebbero.
La tensione sale mano a mano che la squadra si compatta e si divide in due parti: i forti e le schiappe. Ormai non esiste più l’individuo: il gruppo reagisce ma non elabora, l’allenatore è il sovrano; niente più modestia, benevolenza e moderazione.
Con un testo asciutto e decisamente efficace firmato da Elena Stancanelli e un lavoro corporeo potente e preciso, lo spettacolo raggiunge il culmine quando la squadra si trasforma in squadrone: completamente asserviti al potere, i giovani palleggiano al ritmo di Rabbia e Tarantella di Ennio Morricone, già colonna sonora di Bastardi senza Gloria di Tarantino, in una prepotente marcia di cieca brutalità e forte impatto visivo. Al termine dello spettacolo due sedicenni in prima fila si guardano: «Un po’ lungo» fa per smorzare uno dei due. È turbato. Ma non sa perché.
Visto a CRT Centro di Ricerca per il Teatro, Milano
Maddalena Peluso