La calabresità di Aiace

Recensione a U Tingiutu. Un Aiace di CalabriaScena Verticale

foto di Angelo Maggio

Soddisfazione e compiacimento serpeggiano tra i commenti dei numerosi presenti, nel post-spettacolo dell’appuntamento della rassegna “More Fridays”, di scena per il quinto venerdì consecutivo al teatro Morelli di via Oberdan a Cosenza. Penultimo evento di una manifestazione culturale, voluta fortemente dall’amministrazione comunale cosentina, che ha riscosso un notevole consenso di pubblico e critica, in termini di qualità di offerta e di contenuti veicolati. Sul palco i padroni di casa di Scena Verticale con il loro spettacolo U Tingiutu. Un Aiace di Calabria, allestimento che proprio sulle tavole del teatro cittadino vide i natali, sottoforma di studio, nel lontano dicembre del 2008. Da allora la rappresentazione ha calcato le scene di moltissime città, facendo bottino di premi (ultimo l’“Antonio Landieri” attribuito a Napoli al migliore attore Dario De Luca) e conquistando la benevolenza coinvolta della maggiore stampa nazionale.

E questo Aiace di Calabria che da Sofocle rivive nelle sembianze, quanto mai attuali, di goffi e sanguinari protagonisti del tessuto criminale calabro, merita tutta la gloria possibile. Spettacolo diretto da Dario De Luca con, oltre lo stesso De Luca, Ernesto Orrico, Marco Silani, Rosario Mastrota, Fabio Pellicori, abbigliati da Rita Zàngari e musicati da Gianfranco De Franco e Gennaro De Rosa. L’espediente narrativo è quello della tragedia sofoclea con gli eroi Agamennone, Menelao, Ulisse, Teucro e Aiace trasposti, con tanto di calibro nove in pugno, nell’onorata società calabrese. Seppellito il capo decina Achille, il mammasantissima Agamennone (Marco Silani) decide di affidare il suo arsenale quindi il ruolo di capobastone a Ulisse (Fabio Pellicori), preferito ad Aiace (Dario De Luca). Accecato dalla collera, quest’ultimo, convinto che l’ambita posizione dovesse spettargli per merito, rimedia allo sgarro sequestrando l’infame Ulisse e cercando di far strage tra i suoi compagni di clan. Diventa “tingiutu”, macchiato, un morto che cammina, insomma. Ma da uomo d’onore, dopo aver seviziato il traditore Ulisse, presume di consegnarsi alla gloria postuma sparandosi in faccia, come concerne ai capi. Nessun perdono, però, spetta a chi osa opporsi alle regole di ‘ndrangheta e nonostante la determinazione di Teucro (Rosario Mastrota) nel voler onorare il fratello con le celebrazioni funebri, il corpo di Aiace verrà trafugato – da Menelao (Ernesto Orrico), Agamennone e Ulisse – proprio quando nella camera mortuaria di un’agenzia di onoranze funebri veniva “vestito” per andare incontro al Signore.

foto di Angelo Maggio

Il dramma della vendetta (risultata sterile) per l’onore beffeggiato, i resoconti tragico/grotteschi dell’inesorabile destino piegato a meccanismi di consolidata imposizione gerarchica, la mirabile figurazione (nell’apparato scenografico, nella semantica drammaturgica, nelle soluzioni registiche e nell’eccellenza attoriale) di semiotiche e significanti di quel calco endemico mafioso, ma rintracciabile nelle trame intime di un dna comune, a tinteggiare un territorio dove le radici di mala pianta sono nutrite dal sangue e dal silenzio. E da un’accettazione supina, complice, quando non imposta, derivante dal riconoscersi nei codici di una identità tristemente comune. Sottoforma di grandguignol e modellato in sequenze scollate dall’unità temporale-narrativa, così da creare un mescolarsi suggestivo e mai banale degno di interpolazione registica cinematografica (cara al genere pulp), senza nulla togliere alla compiutezza, lo spettacolo scorre spedito per un paio d’ore di trasmigrazione sostenuta. Restituendo quella valenza topica del teatro non solo in quanto rappresentazione del circostante, ma specchio e autocoscienza collettiva. Standing ovation accese le luci di sala.

Visto al Teatro Morelli, Cosenza

Emilio Nigro

Pubblicato su Il Quotidiano della Calabria

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