covid 19 articoli

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Gilberto Santini

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Le parole più potenti di questo tempo inedito e drammatico che abbiamo vissuto sono per me quelle pronunciate da Papa Francesco – da solo in una Piazza San Pietro buia, deserta e sferzata dalla pioggia – venerdì 27 marzo, quando lo smarrimento e l’inevitabile solitudine avevano già preso stabile dimora in me.

Avvenimento che si faceva storia già nel momento in cui stava accadendo, sulla cui complessità e stratificazione, compresa le possibilità profondamente contraddittorie con cui lo si può essere vissuto, ha ben scritto Helga Marsala su “Artribune”.

Credenti o meno poco importa, le sue sono state le parole – di un padre, di un amico – in cui hanno trovato perfetta sintesi le tante inquietudini che agitavano cuore e pensieri in quei giorni. E che anche oggi rileggo con emozione. Soprattutto in alcuni passaggi folgoranti, come questo: “La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità”. Le rileggo spesso per non ricadere da subito ora negli stessi errori.
Non dimenticando mai come ha detto Forster Wallace che “nelle trincee quotidiane della vita da adulti l’ateismo non esiste. Tutti venerano qualcosa. L’unica scelta che abbiamo è che cosa venerare. E un motivo importantissimo per scegliere di venerare un certo dio o una cosa di tipo spirituale […] è che qualunque altra cosa veneriate vi mangerà vivi”.

 

Gilberto Santini
direttore AMAT
11 giugno 2020

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Alessandro Iachino

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Alain Badiou, Sulla situazione epidemica (Filosofia in movimento)

«Queste dichiarazioni perentorie, questi appelli patetici, queste accuse enfatiche»: sarebbe sufficiente la tagliente efficacia con cui sintetizza l’iperproduzione di contenuti diffusi durante il lockdown, per annoverare il breve saggio di Alain Badiou tra le letture più illuminanti sull’era Covid-19.

Pubblicato in italiano il 23 marzo da Filosofia in movimento nella traduzione di Paolo Quintili, poi ripreso dal Rasoio di Occam e da Doppiozero, l’articolo di Badiou, pur dedicando ampio spazio alla specificità francese e alle modalità con cui la presidenza Macron ha affrontato la pandemia, getta uno sguardo universale sulle dinamiche che l’emergenza ha innescato, oltre a proporre significative indicazioni di metodo.

Nel rifiutare qualsiasi analisi che veda nell’epidemia un evento «politicamente innovativo», e al contempo nell’accettare come logica conseguenza della situazione la “bellicizzazione del linguaggio”, Badiou stila un breve manifesto profondamente antiutopico, e tuttavia non rassegnato al modello di sviluppo capitalista e neoliberista. È un testo disincantato e crudo, capace di rifuggire da qualsiasi facile, romantica soluzione che si proponga di risolvere una questione – o meglio, un grumo di questioni storico-politiche, sociali, economiche, finanche culturali – sistemica, e in quanto tale non affrontabile se non attraverso un esercizio di lucidità descrittiva. Il soggetto disegnato da Badiou misura la propria azione sulle «verità controllabili dalla scienza» e sulle «prospettive fondate di una nuova politica»: e il punto di fuga di queste linee prospettiche, lungi dall’essere un orizzonte astratto, è frutto di «esperienze concrete», di «scopi strategici», e di una «critica serrata» all’infodemia che annega ogni acribia di sguardo e testimonianza in un indistinto e incontrollato rumore.

Alessandro Iachino
10 giugno 2020