Giovedì 12 aprile si è aperto al Teatro Rasi di Ravenna il festival non-scuola 2012 (vedi il calendario), un evento che per dodici giorni (fino a martedì 24) vede gli adolescenti ravennati, contagiati dalla pratica teatral-pedagogica del Teatro delle Albe, protagonisti delle “messe in vita” di alcune opere della tradizione teatrale. Il programma della rassegna si amplia sabato 21 e domenica 22 con Dialoghi sulla non-scuola: un momento di riflessione con artisti, studiosi, critici e organizzatori, pensato dalle Albe «non come convegno ma come una grande tavola rotonda» sul lavoro teatrale con gli adolescenti.
Aspettando questo incontro, nella città in cui da vent’anni Marco Martinelli e le “guide” portano avanti il percorso laboratoriale con i ragazzi degli Istituiti superiori, proviamo a ripercorrere alcune tappe della recente non-scuola fuori da Ravenna: Eresia della felicità a Venezia. Affresco non-scuola per Vladimir Majakovskij. Il progetto, promosso da Euterpe – Fondazione di Venezia, ha fatto approdare – dopo tanto Sud (Scampia, Mazara del Vallo, Lamezia Terme), come ci ha raccontato Martinelli in un’intervista – il Teatro delle Albe nel Nord-Est.
Il lavoro è stato presentato – in un doppio appuntamento – il 30 marzo al Cinema Teatro Aurora di Marghera e il 4 aprile al Teatro Goldoni di Venezia, ma gli adolescenti del Liceo Marco Polo e dell’Istituto Edison-Volta (ai quali si è unito in seguito un gruppo di bambini della Scuola Media Einaudi di Marghera), hanno conosciuto e sperimentato la pratica teatral-pedagogica-asinina fin dallo scorso ottobre. Nei sei mesi di laboratorio, il “fare teatrale” della compagnia ravennate è entrato nelle scuole della città lagunare e della periferia, ad Asseggiano, rinnovando l’idea di Teatro che prevale nella cultura italiana e che condiziona l’attuale concezione di formazione del nostro Paese. Con la non-scuola sono state poste le basi per una singolare – “eretica” e gioiosa, ma disciplinata – dimensione di incontro tra 60 ragazzi, in un’unione che ha recuperato il senso profondo del termine “comunità”. Nasce in questo contesto laboratoriale Eresia della felicità: tracce poetiche della non-scuola a Venezia: un racconto che precede la presentazione pubblica del lavoro, in cui vengono rintracciati alcuni elementi – se non veri e propri cardini – del non-metodo del Teatro delle Albe e del processo di creazione dello spettacolo. Si parte così da quel 24 ottobre 2011, giorno di avvio dell’esperienza (gli incontri si sono svolti in un primo momento proprio all’interno delle singole scuole, per far poi salire i ragazzi sul palco del Teatro Aurora nella fase finale) che abbiamo seguito personalmente come testimoni della genesi del lavoro.
Al primo incontro della non-scuola a Venezia non viene portato nessun testo, nessuna spiegazione noiosa sulla storia, non c’è tempo né voglia di cadere in sbrodolamenti di sapere. L’autore, che il Teatro delle Albe intende trattare nel corso del laboratorio titolato Eresia della felicità a Venezia con i ragazzi del Liceo Classico Marco Polo della città e dell’Istituto Tecnico Edison-Volta di Asseggiano (Mestre), è Vladimir Majakovskij. Marco Martinelli accenna brevemente solo all’adolescenza, per poter introdurre l’opera giovanile Mistero buffo – Chi è Majakovskij? – chiede un ragazzo presente che non sa neppure come iniziare a scrivere il nome del poeta russo… – Digitalo come vuoi su Google! Vedrai che apparirà il suggerimento! – risponde Roberto Magnani, guida della non-scuola. Per le Albe, prima di giungere al testo, è importante giocare insieme ai ragazzi, osservare e ascoltare, al fine di creare un gruppo, una comunità possibile. La pratica teatral-pedagogica che la compagnia ravennate porta avanti oramai da vent’anni, contraddice le tradizionali pratiche di formazione: non c’è insegnamento – «il teatro non si insegna, ma si fa» – ma vengono lanciati stimoli e possibilità, al fine di sollecitare la curiosità e la fantasia dei ragazzi. Martinelli sostituisce al termine “formazione” quello di “de-formazione”! Una deformazione propria dei volti degli adolescenti che restituisce la loro capacità di essere «uno, nessuno e centomila – come ricorda spesso il regista – senza sapere quale sarà la maschera che indosseranno da adulti». Al secondo incontro i volti rimangono più o meno gli stessi, qualcuno ha portato un amico, qualcun altro non è tornato, ma i loro sguardi sono così penetranti che è possibile sentire la stessa energia diffondersi nell’aula. Il riscaldamento iniziale (di voce, lingua e corpo) dà avvio al laboratorio. Poi Martinelli, assieme a Roberto e Laura (Laura Redaelli, attrice della compagnia e guida della non-scuola), presenta l’esercizio successivo: un gioco in cui due squadre si fronteggiano e si insultano. A questo punto, si vede affiorare un pò di perplessità nei ragazzi del Marco Polo. Che sia pudicizia? Buona educazione? Sta di fatto che non trovano il motivo per il quale dovrebbero dire parolacce ai propri compagni. Ma gli esercizi proposti dalle Albe sono giochi e vanno presi in quanto tali: «Nessuno ci sta giudicando. È un giocare insieme in cui va sviluppata la fantasia», ricorda Martinelli. Divertitevi allora, sia nel dirvi parole d’amore che di affronto.
Settimana dopo settimana, le guide iniziano a raccontare agli studenti la trama, consegnano loro dei brandelli di Mistero buffo per vedere quale di questi li può toccare oggi, in che misura un accenno del testo teatrale del secolo scorso può divenire la loro storia: da questo momento emergono voci, racconti, sguardi. L’opera viene reinventata dai ragazzi attraverso la loro fantasia e l’improvvisazione. È questo uno dei cardini della non-scuola: Marco Martinelli, regista e drammaturgo, nel lavoro con gli adolescenti – così come nelle creazioni della compagnia – lascia che le loro parole, scaturite dalle improvvisazioni, alimentino e arricchiscano la composizione drammaturgica. Entra allora nell’opera del poeta russo tanto il dialetto veneziano dei ragazzi del Marco Polo, quanto l’arabo, il moldavo e le tante altre lingue che si incontrano ad Asseggiano.
Dagli esercizi di riscaldamento, alla prova all’italiana per la lettura dei primi testi composti sulle scene del Prologo e del Diluvio, le guide fanno lavorare costantemente i giovani disponendoli in cerchio. Si introduce in questo modo una delle peculiarità poetiche della non-scuola: «La radice della pratica teatrale – racconta Martinelli nel corso della conferenza stampa di Eresia – è l’“essere coro”, che non vuol dire massa. Noi viviamo in una società di massa in cui si diventa un numero dietro a milioni di altri. Il coro per noi è una dimensione eretica, da qui, Eresia della felicità, rispetto all’essere spappolati nella massa, oppure spappolati come individui. Il coro è l’arma potente del teatro, è una sorta di linguaggio sotterraneo che sta dietro tutta la storia del teatro dell’Occidente, ed è là dove invece, come dice un bellissimo proverbio africano, “Io sono Noi”, cioè io non perdo la mia individualità, ma mi fondo e mi confondo con gli altri. In questo “Io sono Noi” c’è la radice del dialogo che è l’altro grande strumento che il teatro della tradizione ci mette a disposizione: il coro (l’unisono) e il dialogo. Questa dimensione corale è fondamentale. Abbiamo preso come guida poetica Vladimir Majakovskij perché nel poeta russo entrambe le dimensioni sono importantissime: quella dell’Io delle sue liriche, dove c’è un Io “magnificamente malato” come dice nei suoi versi, e dall’altra parte la dimensione dialogica di Mistero Buffo». È lo stesso incontro tra la forma corale e quella dialogica che caratterizza la presentazione dei ragazzi: disposti in cerchio, un giovane alla volta, prendendo come riferimento un’ottava del Boiardo (ma usando i limiti della gabbia per oltrepassarla), grida il proprio nome, fa un gesto e tutti ripetono in coro ciò che ha fatto il compagno. L’ottava, tratta dall’Orlando innamorato, risuona ancora nei nostri corpi: Tutte le cose sotto della luna / l’alta ricchezza e i regni della terra / son sottoposti a voglia di fortuna / lei la porta apre / d’improvviso e serra / e quando più par bianca divien bruna / mai più se mostra a causa della guerra / instabile, voltante e roinosa / e più fallace qualunque altra cosa.
Nel corso della creazione di Eresia della felicità a Venezia vengono creati due accorpamenti, sia al Marco Polo, che ad Asseggiano: quello dei “puri” – i nobili – da un lato, e quello degli “impuri” – i poveri, i lavoratori – dall’altro. Tutti e quattro i gruppi, in seguito a un diluvio, sono approdati nell’unico pezzettino di terra rimasto asciutto: il Cinema Teatro Aurora di Marghera (nella presentazione pubblica al Goldoni, diverrà invece il teatro del centro storico di Venezia, il punto in cui cercare riparo). Qui, il tentativo di trovare un accordo per restare tutti nello stesso posto – asciutto! – si rivelerà fallimentare. Ma questa è solo una prima tappa del viaggio delle quattro “famiglie” perché al diluvio seguirà un terremoto che lì farà sprofondare tutti nell’Inferno, e poi… Gli sguardi stupiti degli adolescenti dichiarano curiosità verso il lavoro, ma non c’è fretta di saperne di più. Il loro fascino non verte sul finale, loro non si pongono obiettivi come noi adulti.
Il 27 febbraio i ragazzi delle due scuole si sono finalmente incontrati in quel Cinema Teatro Aurora di Marghera nominato così tante volte nel corso delle prove in aula. Nei quattro mesi precedenti di laboratorio, quando il lavoro procedeva parallelamente nell’uno e nell’altro gruppo, la curiosità rispetto a questo evento è maturata sempre di più, insinuandosi in tutti coloro che hanno preso parte agli incontri settimanali nei due istituti. Ritrovarsi in questo spazio ci ha fatto sentire come se fossimo giunti veramente nell’unico pezzo di terra rimasto asciutto dopo il diluvio. Vederli lì, per la prima volta insieme, cinquanta ragazzi provenienti da due realtà così lontane l’una dall’altra, ai quali si sono uniti quattordici bambini della Scuola Media di Marghera, è stato emozionante. «I ragazzi hanno tanta bellezza, dice Martinelli, ma a un certo punto questa adrenalina va messa in relazione con la disciplina». La disciplina, che per tante settimane le guide della non-scuola hanno cercato di trasmettere ai ragazzi, senza imposizioni o ricatti ma solo ponendoli di fronte a una responsabilità – quella di un rispetto nei confronti non solo delle guide e del fare teatrale, ma soprattutto verso i propri compagni – finalmente è stata conquistata: vederli arrivare in teatro in anticipo era solo il primo accenno della serietà (sempre giocosa) che avrebbero manifestato una volta saliti sul palcoscenico. E qui, su uno spazio tanto grande da lasciare ogni libertà ai ragazzi, senza più i problemi legati alle aule scolastiche, è accaduto qualcosa. L’Aurora è stato assediato da una moltitudine di adolescenti che non si sono lasciati intimorire dallo “straniero” (intendendo con questo termine tanto i ragazzi dell’altra scuola, quanto il teatro, l’edificio teatrale) ma si sono uniti e sono diventati un unico “coro”.
Elena Conti