rassegna stampa covid19

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Daria Balducelli

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C’è stato un ascolto che durante le notti di quarantena ha radicalmente invertito la rotta dei mie pensieri, che ha annidato qualcosa sotto pelle e da lì ha iniziato un processo di combustione.
Non saprei come descrivere quello stato, un sentire e un esserci che sicuramente era reso possibile dai giorni di quarantena e da tutte quelle notti passate ad ascoltare la radio.
Ho provato a scrivere qualcosa al riguardo ma non ci riesco, allora ricopio qui degli appunti inviati all’autore di questo brano incredibile..

 

“Caro Attilio, ho finito ora di ascoltarti, che dire è stato un ascolto così diverso da tutte le altre cose che ho ascoltato fino ad ora.
Così diverso, e così segreto, che mi sembra quasi che tu lo abbia confidato solo a pochi. Anzi solo a me.
Quando ero una bambina intrecciavo le mie braccia tra le spalle e il collo di mio padre mentre lui guidava. Cantavamo, o meglio, lui cantava e io lo seguivo, “Sapore di mare” e io ero sicura che fosse una canzone scritta da lui e dedicata solo a me. Solo per me. Anni dopo scoprii la verità noiosa, e decenni e decenni dopo Virzì me la distrusse con il film “La pazza gioia” dove mi pare che la protagonista racconti un ricordo identico al mio, o più o meno lo stesso.
Ma perché ti dico tutto questo? Perché oggi con Paganelli si parlava di pensieri che hanno la consistenza dei sentimenti, e che se un pensiero nasce da un sentimento grande è normale che sia sentito allo stesso modo da persone che hanno abitato quei “luoghi” sentimentali.
E insomma — al di là delle mie digressioni e dei miei salti nel vuoto, volevo solo scriverti che per un’ora ho pensato che ti rivolgessi solo a me, che anche tu sapessi che la pandemia è arrivata per acquietare il tempo, per alzare la pelle di ognuno di noi, (che paradosso eh?), e che in quel giardino -visti dall’alto- c’erano con te e Daria, Artaud, Camus, Char, Celan, tua sorella, tua madre e tutti i vivi così vivi da affollare i rami delle piante.
Insomma volevo solo dire che a volte sembra che le nostre vite private abbiano delle risonanze strane e apocalittiche, ma l’ho detto malissimo prima e ancora di più ora.”

EXTRA: Giornale di Attilio Scarpellini (Radio India)

 

Daria Balducelli
26 giugno 2020

 

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Michele Mele

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Ecco le mie proposte di lettura:

Emanuele Coccia, Rovesciare il monachesimo globale (Che Fare)
In questo pezzo di Coccia quello che ho trovato interessante è il tentativo di “smontare” alcune categorie non più utili a identificare un campo di azione chiaro: la casa come paradigma interpretativo, ad esempio.
Il secondo motivo per cui segnalo questo pezzo è il fatto che mi è stato “mandato” da Barbara Boninsegna (direttrice artistica di Centrale Fies); in seguito ad uno scambio privato in cui le chiedevo informazioni su M63, l’orso trentino che ha sconvolto la quiete dei cittadini, Barbara mi ha fatto notare che lui, semplicemente, fa l’orso e poi mi ha mandato questo pezzo.

Perché la storia del cinema è politica, un’intervista con Maurizio Braucci, a cura di Giuliano Battiston (Che Fare)
Maurizio Braucci è uno degli artisti e delle voci a mio avviso più lucide che abbiamo in Italia in questo momento, ed è anche un mio vicino di casa.
La sua proposta di un progetto di alta formazione in ambito cinematografico a Napoli ha riscosso grande attenzione e interesse.
In questa intervista, Maurizio suggerisce agli artisti una posizione in questo momento necessaria: non rivendicare solo azioni economiche che di fatto confermino lo status quo antecedente al virus ma affrontare il problema reale delle forme e ancora di più dei contenuti dell’arte in un’ottica di cambiamento. Come per dire che se ci troviamo in questa situazione è anche perché gli artisti non si sono posti sempre domande che avessero un riscontro ampio e non fossero solo espressione di una ricerca personale.
Andando poi ancora più a fondo Maurizio dice: “La pandemia ci sollecita a ripensare l’arte come azione più collettiva, a riguadagnare una verità della cultura come impresa sociale. L’arte è sempre fatta da operatori sociali, nessuno può pensarsi privo di responsabilità verso la società. Siamo operatori sociali perché attraverso la cultura incidiamo sulla società, che ne siamo consapevoli o meno. Dobbiamo riguadagnare il senso di responsabilità verso il pubblico e verso la società, e dove possibile farlo insieme”.

Emanuele Masi: “I festival estivi saranno atti politici e simbolici”, intervista a cura di Luigi Aruta (Campadidanza)
Emanuele Masi (direttore artistico di Bolzano Danza) è uno degli operatori più lucidi e concreti che io conosca. In questo pezzo quello che trovo interessante è l’attenzione posta sui processi culturali e sulla loro natura ma soprattutto la chiarezza con cui definisce il ruolo dei programmatori. In particolare c’è un passaggio illuminante relativo alla relazione tra politici, artisti e pubblico: “è giusto che gli artisti facciano gli artisti e i politici facciano i politici. Perché un politico che va incontro a un artista non va necessariamente anche incontro al pubblico e alla comunità. Il punto di incontro dobbiamo trovarlo noi, programmatori e professionisti della cultura, che quotidianamente cerchiamo il punto di incontro giusto tra artisti e pubblico, tra artisti e società. Tra domanda e offerta, una mediazione che però mira a portare l’asticella di volta in volta più in alto”.

Michele Mele
11 giugno 2020

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Dario De Luca

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Immagino abbiate letto o abbiate ricevuto la lettera di Grossman che la Repubblica ha pubblicato sul finire di marzo, e che credo meriti di essere letta e sulla quale riflettere, anche alla luce della nostra ripartenza e delle ripartenze degli altri Stati nel mondo.

Io condivido questi quattro articoli che hanno un filo rosso che li percorre e cioè che in nome del bene abbiamo rinunciato al nostro bene e che questa rinuncia, imposta da uno Stato paternalista e un po’ padrone, ci abbia fatto abdicare ai nostri principi etici e politici; su tutti quello del “compianto ai morti”. La sospensione dei funerali, la solitudine delle esequie, le fosse comuni di New York, le benedizioni di cadaveri con lo smartphone sul torace, i camion dell’esercito piene di bare portate a bruciare chissà dove, sono immagini che non ci lasceranno più. Forse, come dice Agamben, abbiamo oltrepassato la soglia che separa l’umanità dalla barbarie.

In questi articoli c’è questo e, mi sembra, tanto altro, degno di essere riflettuto.

Coronavirus, la lettera di addio del nonno morto nella Rsa: se potessi tornare indietro… (Il Tempo)

Riccardo Manzotti, #iostoacasa: come la paura e la mancanza di ragione uccidono la libertà e la democrazia, (Leoni Blog)

Giorgio Agamben, Una domanda, (Quodlibet.it)

Laura Marchetti, La civiltà è Enea che porta Anchise sulle spalle, (Il Manifesto)

Dario De Luca
Scena Verticale
13 giugno 2020