spettacoli silvia gribaudi

La danza incontra la parola

Approfondimento a Dreams Doubts Debts di Gribaudi/Musso e Nel Lago di Senatore/Mabellini

Dreams Doubts Debts – foto di Giancarlo Ceccon

In uno scambio generazionale, stiamo assistendo costantemente al manifestarsi della necessità di alcuni artisti di relazionarsi con nuove esperienze, di confrontarsi con linguaggi altri che consentano di intersecare poetiche e portare a maturazione – o a mettere in discussione – il percorso artistico. Le frequenti collaborazioni in teatro sono indicative di una concezione di gruppo fondata sulla coralità paritaria e rispettosa del lavoro di ogni componente: questo è ciò che si è visto a B.Motion – la sezione di Operaestate di Bassano del Grappa dedicata al linguaggio teatrale e coreutico contemporaneo – che ha presentato un’interessante anteprima di due progetti nati dalla collaborazione tra coreografe e autori teatrali.

Il primo, presentato l’1 settembre al Garage Nardini, Dreams Doubts Debts, si origina e approda nel sociale. Commissionato a Silvia Gribaudi da MAG Venezia (cooperativa che opera nel campo della finanza mutualistica e solidale), il lavoro ha innescato nella danzautrice il desiderio di coinvolgere l’autrice Giuliana Musso nell’indagine sulle problematiche delle nuove povertà e dell’indebitamento. Il prologo allo studio interpretato dalla Musso – presentazione del progetto, che è anche un avvicinamento al tema affrontato – si colloca nella costruzione drammaturgica come dichiarazione dell’impossibilità del lavoro di aderire interamente alla dimensione teatrale assegnata a spettacoli presentati all’interno di festival: Dreams Doubts Debts, allo stato attuale, è la ricerca di una possibile comunicazione, di un linguaggio che metta a conoscenza dell’esistenza di uno sportello dedicato a coloro che vivono in prima persona il dramma rappresentato. Il percorso che ha portato a questo primo studio si è sviluppato in relazione diretta con gli strati sociali disagiati, in una capacità di ascolto e coinvolgimento che caratterizza la poetica di entrambe le artiste. Il passaggio dal racconto alla rappresentazione del dramma dell’indebitamento si è tradotto in scena nella continua contrapposizione tra pieni “illusori” e vuoti: l’inseguimento di sogni vani, il desiderio di successo e onnipotenza vede Silvia Gribaudi relazionarsi con l’unico elemento scenico presente, una scala di legno al cui vertice è posta una macchina di bolle di sapone. Il disfacimento a cui porta l’attenzione a beni effimeri corrisponde al crescendo espressivo del movimento: ripetizione e accelerazione di gestualità che affaticano e lasciano cadere il soggetto in un vortice dal quale sembra impossibile riemergere. L’apice di un dramma al quale Gribaudi non può aderire perché – come racconta l’autrice – la sua danza è comunicazione, è movimento fisico che intende stimolare movimento di pensiero, consegnando al pubblico la possibilità di scoprire nel dramma un’apertura. E l’apertura di Dreams Doubts Debts si rivela non tanto nell’invito a ricominciare, quanto in una presa di coscienza delle proprie condizioni economiche che, nell’imbarazzo e nella paura di fronte al disagio dell’indebitamento, possa lasciare emergere il coraggio di affrontare la realtà.

Nel lago – foto di Giancarlo Ceccon

Da un teatro sociale ad un metateatro – intriso di slittamenti nella realtà – è il passaggio che si compie al Teatro Remondini sabato 4 Settembre con la presentazione dello studio Nel lago nato dall’incontro tra Ambra Senatore e il regista Sandro Mabellini. L’inevitabile rinvio al balletto più acclamato della storia della danza del XIX secolo, viene sfruttato dagli artisti con un’ironia tagliente e una contestazione artistica che chiama in causa le molteplici versioni dell’opera offerte dai maestri del Novecento. Appropriandosi di un tema radicato nell’immaginario collettivo, Senatore si diverte a comporre una partitura coreografica in cui l’osservazione sul presente si accosta a elementi propri dell’opera originaria (come la struttura in quattro atti), ma dichiarando immediatamente la necessità della scelta nel confronto con Mabellini: la contrapposizione iniziale di ruoli e di formazione esplicitata dal prologo – in scena Senatore, danzatrice e Mabellini, attore – consente di procedere, nei successivi quadri, ad un dialogo serrato in cui relazionare le diverse poetiche. La costruzione drammaturgica si sviluppa alternando la presenza dei due autori, l’uno intento a rappresentare con il proprio linguaggio ciò che gli viene chiesto dall’altro. In tal modo «Ambra chiede a Sandro» di raccontare lo spettacolo visto la sera prima, una versione “contemporanea” del Lago dei cigni: le parole dell’attore ripercorrono la rappresentazione e danno vita a un divertente momento non privo di riflessioni sul teatro. A seguire, nel terzo quadro, «Sandro ha chiesto ad Ambra» di costruire alcune immagini in movimento che evochino concetti quali l’esposizione allo sguardo, la mercificazione del corpo, la cancellazione dell’identità che vede l’individuo cadere vittima di una trasfigurazione animalesca pur di raggiungere visibilità. Il perseguimento di sogni effimeri, influenzati da una cultura massmediatica, irrompe così anche nel lavoro di Ambra Senatore: l’illusione di voler essere un cigno viene ironicamente frantumata in un gioco che dichiara la frivolezza di ambizioni nate da una cultura che ha posto nella perfezione tecnica e nella costrizione del corpo femminile la base di un sapere coreutico. L’anagramma del nome della danzatrice, scritto su un pannello, funge da rivelatore di un concetto chiave del lavoro e dalla scritta ‘Ambivo al cigno. Ambra Senatore’ il risultato a cui si giunge in epilogo è ‘Ambivo al cigno e sembro anatra’. Un’anatra meravigliosa, verrebbe da dire, che con la sua forza e ironia travolge continuamente lo spettatore.

Elemento comune di entrambi gli studi è l’esplorazione delle coreografe nel linguaggio testuale. Le tante parole – che siano presenti perché ritenute necessarie all’espressione o originate dall’intensità del gesto stesso – affiancano il movimento in maniera equilibrata ma in un rispetto che può correre il rischio di fissare a terra anche quei frammenti che la danza lascia poeticamente vibrare.

Visto a B.Motion, Bassano del Grappa

Elena Conti

Poetiche a confronto. Silvia Gribaudi e Chiara Frigo

Recensione alla prova aperta della residenza al Teatro Fondamenta Nuove di Silvia Gribaudi e Chiara Frigo

 

Teatro Fondamenta Nuove continua a stupire. Dopo aver arricchito l’arido inverno appena passato con la sua programmazione, risponde questa volta ai sempre maggiori tagli alla cultura proponendo una “co-residenza” all’interno del progetto Resi/Dance. Le protagoniste dell’operazione combinatoria sono state Silvia Gribaudi e Chiara Frigo, vincitrici delle ultime due edizioni del premio Giovane Danza D’Autore Veneto. Nel corso della residenza le coreografe hanno inizialmente lavorato singolarmente, sviluppando le proprie ricerche fatte a partire dal progetto Choreoroam 2009,  per poi giungere ad un’ultima fase in cui hanno lasciato comunicare i loro linguaggi fino alla presentazione, in una prova aperta, di un unico lavoro. L’ironia della Gribaudi si è accostata alla sacralità della Frigo con fare addizionale che tutto lascerebbe pensare tranne che la messinscena sia il risultato di un così breve incontro, di una collaborazione che ha consentito alle giovani artiste di confrontare le proprie estetiche in uno stesso spazio e in unico studio.

La ricerca di Silvia Gribaudi si concentra sulla comunicabilità, sulla relazione tra il corpo umano e i materiali in scena e tra questi e il pubblico, in una tripartizione di sguardi complici e dipendenti l’uno dall’altro. Waiting è il titolo del suo ultimo progetto. Ciò che emerge fin dall’inizio, pur considerando lo stato embrionale del lavoro e la presentazione di questo in condizioni differenti rispetto alla concezione originaria (il lavoro è pensato per più danzatori e non come solo), è il livello di attenzione richiesto. La danzatrice occupa la scena coprendosi il corpo con un pannello di polistirolo forato. Indaga il materiale, interagisce con esso, guarda il pubblico e “aspetta”. Attende che l’unione tra corpo e materia le permetta un’evoluzione: una reale e brusca rottura del materiale che a Fondamenta Nuove ha fatto sobbalzare lo spettatore. All’attesa e all’evanescenza di una meta finale fa da contrappunto la successiva sequenza in cui la Frigo, in una corsa circolare attorno ai resti di polistirolo, diviene ostacolo tra la Gribaudi e il materiale. Il progetto di Chiara Frigo, Non so stare, emerge gradualmente dal lavoro d’insieme. Come nella sua poetica, il movimento, per non apparire meccanico e artefatto, deve partire da gesti quotidiani, per poi potersi esprimere in tutta la sua bellezza e ritualità. Ed è proprio in chiusura che il corpo nudo della danzatrice accovacciato a terra, abbandona la sua materialità e attraversa lo spazio scenico come in un percorso estatico.

L’iniziale Chi pensi che io sia? posto come interrogativo dalla Frigo rimane aperto, così come altre affascinanti tematiche solo accennate. Che queste rientrino nel progetto dell’una o dell’altra artista non ha importanza perché la serata ha incuriosito così tanto che non si può che restare in attesa di vedere entrambi i lavori completi.

Visto al Teatro Fondamenta Nuove, Venezia

Elena Conti