teatro valle occupato

Parla Lavia al Valle occupato

Io non c’ero. Ma c’era un cronista come me. Mi ha chiamato all’una di notte, Graziano Graziani, per dirmi cos’era stato, poi s’è messo a scriverne per pubblicare il giorno successivo su Paese Sera. Cercava in me una sponda di credibilità a una modalità d’ingaggio che lo lasciava perplesso, cercava di dirsi dicendomi dell’ingresso di Gabriele Lavia al Valle occupato, dei fischi che sottolineavano le sue parole, di quella che sentiva una certa mancanza di rispetto per l’uomo, incapaci di scinderlo dal ruolo. Lo sconcerto e la frustrazione nascono in chi segue e osserva per la mancanza di una comprensibilità piana degli eventi, ma anche per un curioso andirivieni di intenti che lascia il cronista ora al fianco di chi pone in atto l’azione, ora nel canto di testimonianza che illumina gli accecamenti.

Lavia è direttore del Teatro di Roma, probabile co-assegnatario di un Valle 2011-12 senza portafoglio. Lavia è un regista e attore che ha fatto la storia del teatro italiano, artista che forse non piace a molti (gli stessi molti però che ha fatto lavorare), uno che per fare il direttore di uno Stabile avremmo preferito – e lo chiediamo ancora – si dimettesse da artista, per il tempo di gestione, ma Lavia è persona per quel che so stimabile, ed è regista che proprio ieri debuttava al Teatro alla Scala di Milano per una commissione di due anni prima, cioè quando la direzione in questione non era neanche nei pensieri più nascosti, artista quindi che – per declinare la commissione – avrebbe dovuto pagare una penale che il Valle allora se lo comprava lui. Nel suo articolo Graziani riferisce di una contestazione preventiva, non basata sui progetti attorno al teatro (che egli nemmeno conosce, in quanto subordinato a informazioni che non può ancora avere e in via di definizione), ma sulla sola presenza, ossia il negativo degli stessi Evviva! lanciati dalla platea, non senza ingenuità, ad ogni afflato di partecipazione retorica e saluti istituzionali di resistenza all’affossamento della cultura (mi domandavo, in questi giorni, se avessi davvero fatto cronaca spiccia, dando conto di ogni parlante patrizio o plebeo, avrei registrato in alta percentuale per ognuno lo stesso intervento).

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Quinto giorno di occupazione al Valle

Squilla, squilla il telefono di un’occupazione.
Fin da ieri uno strano cortocircuito s’è insinuato nelle reti telefoniche: al mattino e in diversi momenti, da Andria Michele Sinisi prima, Michele Santeramo poi, entrambi di Teatro Minimo, per far sentire la propria voce m’hanno chiamato per ribadire l’importanza della cronaca per chi è lontano dall’accadere, dopo un paio d’ore torna a vibrare il telefono e la voce è quella di Ermanna Montanari, attrice e co-fondatrice del Teatro delle Albe, quest’anno direttrice del Festival di Santarcangelo, che ribadisce – ma a me – la sua adesione: tante telefonate per dire una cosa soltanto, dal nord al sud, si sta facendo qualcosa di straordinariamente importante su scala nazionale, perché tale il Teatro Valle è sempre stato: il teatro nazionale della città. Proprio ieri listavo a lutto il mio articolo tricolore (e invito per questo alla lettura di un articolo di Rodolfo Di Giammarco su Repubblica di ieri, con parole di Franco Scaglia di TdR presidente), dichiarando la morte non del teatro che è pura retorica, ma di un’opportunità di discussione che pone in relazione i poteri che gestiscono e gli artisti che fanno, questo perché la grande mancanza di quest’epoca è assolutamente legata agli operatori e ai critici, ossia i mediatori culturali: si richiede si facciano scuole per tecnici, formazione di artisti, io chiedo a voce alta scuole di operatori, o meglio che a loro sia data l’opportunità di crescere e gestire le risorse, lo dico rispondendo ancora una volta alla querelle tra il “chi” e il “come”: gli uomini scelgono, le norme agli uomini sono soggette, l’etica nel carattere umano va ricercata.

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Quarto giorno di occupazione al Valle

Il giorno della chiarezza. Ieri mi trovavo a ragionare attorno a questa occupazione del Teatro Valle, al suo quarto giorno, chiedendo a voce alta che prima di tutto si parlasse del Valle, il cui destino appare sempre di più come un ago della bilancia di straordinaria efficacia, come gli stessi occupanti dichiarano fin dall’inizio. Finalmente l’assemblea di ieri venerdì si è svolta ricercando proprio un ponte di raccordo fra la protesta e l’opportunità propositiva che ne segue. Ma ancor di più l’assemblea ha finalmente sgomberato il campo da un fraintendimento colossale: il confine fra gestione e autogestione. È stato cioè puntualizzato con forza che gli obiettivi erano e sono quelli di discutere progetto artistico e copertura economica per affrontarlo, partecipare come artisti e cioè utilizzatori finali delle decisioni politiche al nucleo che ne deciderà le sorti, ma non certo proporre una gestione alternativa e naif che si troverebbe a scontrare così tante difficoltà burocratiche oggettive da perdere in consistenza dell’azione.

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Terzo giorno: il Valle si occupi del Valle


Ero uscito un momento, un momento soltanto per parlare con un collega e prendere un po’ d’aria, fuori da Via del Melone, ingresso artisti e in questo caso okkupanti del Valle, al terzo giorno di serrata; mentre parlavo e cercavo di capire, perché il nostro mestiere è cercare di capire anche se poi magari non si riesce sempre, da dietro l’angolo di Via dei Sediari vedo arrivare una sagoma che conosco, che mi toglie il fiato di quel che stavo dicendo: Ettore Scola. Immagino subito stia andando a fare il suo dovere di artista, di cittadino, di memoria storica, a portare la sua esperienza e le sue parole nella sala dov’è cresciuto. Seguo tutto il suo percorso, so che devo tornare dentro, lo faccio dietro a lui e basta questo a farmi sentire quel ponte intergenerazionale di cui ho sempre sentito la mancanza. Continua a leggere su Teatro e Critica

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Secondo giorno di occupazione Teatro Valle

In questo secondo giorno di occupazione del Teatro Valle, durante l’assemblea (che si ripeterà oggi dalle 16) le diverse anime cercano una conciliazione molto difficile: teatranti, cineasti, artisti visivi, scrittori, musicisti, ognuno racconta il suo e quasi nessuno compone una proposta di ordinamento oggettivo, ognuno il suo particolare, tutti si affannano a dichiarare il sovvertimento della categoria generalista, riaffermando invece subito dopo l’orgoglio di categoria. La propria. Intanto arriva in diretta la notizia che il Comune di Roma (che lo darà al Teatro di Roma) gestirà per un anno il Valle in attesa di un bando (rivolto al pubblico o al privato? Questa è la domanda). Continua a leggere su Teatro e Critica

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Il Valle in festa ma cerca subito proposte concrete

Piove. Piove dentro il Teatro Valle.
O è questa la sensazione a sentire lo scroscio dell’applauso che saluta l’avvio della conferenza stampa delle ore 14: un gruppo che non si identifica, che non cerca rappresentanze e ne fugge un dialogo che reputa interrotto, denominato soltanto Lavoratori e lavoratrici dello spettacolo, dopo aver occupato lo storico stabile romano, ha dato vita all’iniziativa che ancora adesso, mentre sto scrivendo, è viva e sta per organizzare la sua prima serata occupata. (Continua su Teatro e Critica)

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Occupato il Teatro Valle di Roma

Era nell’aria da giorni, questa mattina alle 10 in punto un gruppo auto-organizzato di lavoratori e lavoratrici dello spettacolo ha occupato lo stabile del Teatro Valle. Il gruppo non si firma per testimoniare la mancanza di un organo che rappresenti i tanti lavoratori attorno allo spettacolo, sia in ambito artistico che tecnico, e chiede la partecipazione dell’intero movimento delle arti di questa città alle discussioni sulla destinazione dello stesso teatro (che, conclusa la sua ultima stagione assieme alla grande avventura del soppresso ETI, andrà presumibilmente in quota al Teatro di Roma del nuovo direttore Gabriele Lavia), attraverso una commissione che ne difenda il suo carattere storico e la sua vocazione al teatro d’arte.

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