TeatrInScatola 2011

Exit strategy di non fuga a TeatrInScatola

Per il quarto appuntamento di TeatrInScatola, Straligut Teatro presenta – presso la Sala Lia Lapini di Siena – il suo spettacolo Acquario. Una fuga. Prosegue inoltre il progetto Situazione Critica (in collaborazione con la redazione di Teatro e Critica), l’appuntamento dopo lo spettacolo in cui operatori, artisti e critici si incontrano in un territorio neutrale ed informale per confrontarsi circa la situazione teatrale attuale. In questa serata, ospite insieme al Tamburo di Kattrin Roberta Nicolai, direttrice artistica del festival romano Teatri di Vetro e del progetto di officina culturale della compagnia Triangolo Scaleno Teatro. Alla conversazione hanno preso parte alcuni membri della compagnia senese: Fabrizio Trisciani, Tommaso Innocenti e Francesco Perrone.

Come si è detto, la serata ha avuto inizio con lo spettacolo di Straligut Teatro. Acquario. Una fuga riflette su temi che nel corso di questo 2011 politicamente e finanziariamente travagliato hanno coinvolto l’intera popolazione italiana: dato centrale della messa in scena – diretta da Francesco Perrone – è l’acqua in quanto bene comune. Si è tanto parlato di questi “beni comuni” soprattutto in vista dei referendum che hanno chiamato i cittadini a decidere della gestione delle risorse idriche ed energetiche di un’Italia sull’orlo di una crisi di nervi, ma non solo. Ispirato al racconto In mezzo alla polla sguazzava un pesce rosso del collettivo Wu Ming, la compagnia ha scelto l’acqua come elemento attraverso cui riflettere sul nostro tempo e sulle sue «grottesche normalità»: con queste parole, Straligut Teatro si riferisce a quelle manovre economiche e politiche alle quali ci hanno abituato i nostri politici. La drammaturgia punta tutto sull’estremizzazione di dinamiche con le quali ci si è trovati a combattere attraverso il referendum del 12 e del 13 giugno. Perrone costruisce un mondo in cui Winston, una volta attore comico affermato e abituato a stare sotto i riflettori – interpretato da Francesco Pennacchia – si trova a lottare con un sistema dove il Ministero per le risorse comuni si occupa di gestire – tra le altre cose – la distribuzione delle risorse idriche. Uno scenario dai tratti orwelliani, che mira a risvegliare, attraverso l’eccesso, una coscienza individuale e collettiva in grado di ridare significato alla parola “democrazia”.

L’operazione attuata da Straligut Teatro apre a una serie di considerazioni che sono al centro anche della conversazione tenutasi in seconda serata con Roberta Nicolai e la compagnia stessa. Se inizialmente il confronto verte sull’attività di direzione artistica intrapresa da alcuni registi (tra cui Roberta Nicolai stessa) e sulle modalità con cui questa viene condotta, emerge sin da subito la necessità di ritagliarsi del tempo per riflettere non solo sulla condizione attuale delle risorse destinate allo spettacolo e alle logiche che ne determinano lo sviluppo, bensì sull’identità di ciascun ruolo. Il problema – suggerisce l’operatrice attiva a Roma – è la mancanza di figure professionalmente qualificate, non tanto nell’ambito creativo, quanto gestionale e organizzativo. Sono molti i casi in cui sono i registi che nel corso della loro carriera intraprendono un percorso di direzione artistica, rispondendo a un’urgenza che nasce dal bisogno di restituire la complessità di un panorama che si estende oltre i teatri stabili (inclusi quelli di innovazione). In questo senso, le grandi strutture possono rivestire un duplice ruolo: porsi come esempio di procedure gestionali, e come termine di paragone in cui individuare le falle all’interno delle quali agire per proporre modelli e scenari alternativi. Ciò che manca al teatro contemporaneo – di ricerca e non – è la capacità di costruire progettualità, e quindi pensiero: bisogna incontrare le persone, andare nelle scuole e in strada per poter avvicinare un pubblico nuovo alla scena, e poter riconoscere nel teatro una forma di espressione in grado di comunicare, parlare, o anche solo porre interrogativi. Si torna – in un certo modo – alla necessità espressa da Straligut Teatro di riattivare la coscienza dei cittadini, non necessariamente attraverso spettacoli che pongano al centro temi di carattere civile e politico: la potenza del teatro risiede proprio nella sua capacità di creare “spaesamenti”, che siano percettivi o tematici. Ne è un esempio il progetto Can you rePET? della compagnia senese, che mira a trasformare il festival TeatrInScatola nella prima rassegna a consumi energetici ed emissioni CO2 zero in Europa: è anche attraverso queste aperture che toccano la vita quotidiana dei cittadini che si possono porre le basi per un nuovo legame tra ciò che vive dentro i teatri e la realtà contemporanea.

La barriera che intrappola il teatro in una scatola autoreferenziale – percepita dai più come un luogo in cui si consumano operazioni estetiche e prive di contatto con il mondo – sembra rimanere il più grande nodo da sciogliere se si vuole che anche le istituzioni riconoscano un ruolo attivo degli artisti e degli operatori all’interno della società. Questo non implica un’omologazione ai modelli comunicativi di televisione e mass media, bensì un intenso lavoro di sensibilizzazione e divulgazione – che non necessariamente coincide con una pratica di alfabetizzazione pedagogica – svolto da tutte le figure professionali delle arti dal vivo, secondo le modalità e i canali comunicativi ad essi più congeniali. La domanda a cui è necessario dare una risposta è: l’artista che ruolo ricopre in questo processo di avvicinamento? È lui stesso che si deve far carico di questa “mission” oppure il suo unico scopo è quello di creare? Se comunicare è compito dell’artista, allora è lui stesso che deve prendere le redini di questo nuovo dialogo o sono figure come gli operatori e i critici che devono muovere i primi passi?

Dopo un lungo dibattito che ha visto le due posizioni scontrarsi e sfiorarsi in alcuni punti, le luci della sala Lia Lapini si spengono. Rimangono nell’aria molti interrogativi da dover ancora affrontare, e risposte che è necessario trovare per uscire da una logica di “accudimento finanziario” statale, ed elaborare nuove strategie che tornino a parlare ad un pubblico ampio che del teatro conserva un’immagine stereotipata e anacronistica.

TeatrInScatola presso la Sala Lia Lapini, Siena

Giulia Tirelli

Il decentramento di TeatrInScatola

Terzo venerdì di TeatrInScatola, terza chiamata a Siena per Situazione Critica – il progetto di collaborazione tra le redazioni di Teatro e Critica e Il Tamburo di Kattrin, in occasione dell’incontro che vede un critico delle due webzine confrontarsi con un operatore teatrale. La Sala Lia Lapini, che ospita la rassegna senese, si trova vicino a Porta Pispini, poco fuori dalle mura della città. Qui, come in altre realtà, le porte medievali fungono da punti di riferimento per tutti coloro che si muovono all’interno del tessuto urbano e curioso è il trovarsi così vicino a una delle porte che conduce al cuore di Siena ma sentire tuttavia un senso di marginalità, uno stare fuori che entra in conflitto con i simboli della città. Il decentramento ricercato – sia per scelta che per necessità – dal teatro negli ultimi decenni, ha portato al riuso di edifici abbandonati in cui il semplice allestimento di una gradinata è stato in grado di restituire l’idea di struttura teatrale dove ospitare spettacoli e laboratori. La sala Lia Lapini è questo ma in un decentramento simbolico; è uno spazio comunale non troppo grande ma accogliente in cui può prendere forma l’evento performativo e in cui, per il quinto anno, Straligut Teatro programma la rassegna TeatrInScatola.

"Elettra Show" di Compagnia LodiGay - foto di Costanza Maremmi

L’appuntamento di questo venerdì senese è stata la presentazione del nuovo, e primo lavoro autoriale, della Compagnia LodiGay, Elettra Show. L’attrice Rossana Gay – che firma anche la drammaturgia e la regia assieme a Johnny Lodi – è l’unica interprete in scena per dare voce ai diversi soggetti dell’opera, in una riscrittura che fa dell’isolamento di Elettra una fuga volta a progettare la vendetta per il padre assassinato. In seguito allo studio della tragedia nelle messinscene di Alfonso Santagata – entrambi gli artisti sono infatti attori della Compagnia Katzenmacher – Elettra Show è per Rossana Gay una necessaria rilettura dell’opera in cui la mancanza fisica della protagonista diviene cifra drammaturgica del lavoro. Una presenza-assenza molto interessante in cui si rimane affascinati dalla bravura dell’attrice ma che si vorrebbe sviluppata maggiormente là dove il lavoro sembra perdere la forza consegnata alla privazione dell’eroina tragica iniziale.

La partecipazione della Compagnia LodiGay a TeatrInScatola 2011 apre a molteplici riflessioni intorno al teatro e al macro-tema a cui Straligut titola il momento di confronto post-spettacolo al quale siamo invitati: “il nuovo è il prossimo vecchio?” Un paradosso, come spiegano gli stessi organizzatori, che è tuttavia protagonista di frequenti discussioni attorno all’arte performativa. Sono trascorsi due incontri prima di questo venerdì; sono state toccate questioni che riemergono nel corso della serata, come la proposta di Luca Ricci (ospite alla rassegna il 21 ottobre assieme a Sergio Lo Gatto, leggi la riflessione) di ripensare la direzione artistica degli Stabili affidandola a figure più giovani (si parla di 45enni) al fine di perseguire quello scambio generazionale che porterebbe i “giovanissimi” a ricoprire i ruoli che questi “45enni” rivestono attualmente. Questa non vuole essere la soluzione ai problemi del sistema teatrale ma, come spiega Ricci, è un qualcosa da cui cominciare. Con questa riflessione si apre il nostro incontro e Edoardo Favetti nella riformulazione dello Stabile, volge il pensiero alla figura del direttore artistico inteso come programmatore piuttosto che come regista. Un passo che dovrebbe tuttavia essere preceduto da una diversa disposizione dello Stato nei confronti del teatro al fine di garantire maggiore circuitazione degli spettacoli e fruibilità di generi, con particolare attenzione verso le nuove generazioni. E sulla circuitazione si sposta il discorso; si ripercorrono dinamiche proprie dei festival, di amicizie e inimicizie interne alla rete, della longevità di una compagnia regolata dalla concorrenza tra festival e organizzatori, di pubblico. La sensazione di marginalità descritta sopra, in riferimento a TeatrInScatola, è un buon esempio per parlare di questa realtà senza correre il rischio di perdersi in discorsi più ampi che potrebbero venire generalizzati. La concorrenza e l’esclusione da un circuito nuocciono a tutti e certamente ad artisti e spettatori. La riflessione si collega direttamente alla negazione di un sano confronto che così spesso è rifiutato dai diversi teatri di una stessa città. TeatrInScatola, pur accusando il peso di tale mancanza e la distanza che intercorre tra la sua programmazione e quella del Teatro dei Rozzi o dei Rinnovati di Siena, si è creato una propria identità. Il suo cartellone non richiama un pubblico definito, ma nella coerenza con la realtà in cui si sviluppa, gode del privilegio di poter chiamare alla rassegna compagnie come LodiGay – per citare l’esperienza nello specifico – che non rientrano tra le proposte dei festival di maggior spicco. La sala Lia Lapini venerdì sera ha accolto circa 80 spettatori; ragazzi, per la maggior parte, per i quali Elettra Show era una delle possibilità nella serata senese; sguardi non condizionati dalle dinamiche del nuovo e del vecchio teatro.

TeatrInScatola – Siena sala Lia Lapini, 04 novembre 2011

Elena Conti