incontro critica teatrinscatola

L’artigianalità di Titanic a TeatrInScatola

Abbandonare la condizione di rigidi spettatori e salire sulla nave, non su una qualsiasi, ma su una che sta affondando e arrivata «al punto di non ritorno» che è anche «il punto da raggiungere».

Questa la prerogativa di Titanic, spettacolo vincitore del Premio In-Box 2011 andato in scena nella Sala Lia Lapini durante il quinto appuntamento della rassegna senese TeatrInScatola curata dalla Compagnia Straligut.
Una serata intorno al teatro, un soffermarsi su un momento che non è di consumo – come vorrebbero le dinamiche di mercato – ma di dialogo e di scambio tra operatori, critici e artisti. Fortemente voluta da Straligut, Situazione Critica, contesto di lavoro congiunto di Teatro e Critica e Il Tamburo di Kattrin, abbraccia tale dimensione informale e di incontro, a cui per questo appuntamento ha preso parte anche Andrea Nanni, direttore di Armunia e del Festival Inequilibrio di Castiglioncello.

Si intrecciano quasi come fossero complementari lo scopo del Bando In-Box, la gestazione e messinscena di Titanic della Compagnia AstorriTintinelli e il dialogo post-spettacolo intorno alla tematica su cosa sia o meno emergente e nuovo nel panorama teatrale. Questione di etichette per selezionare, scegliere e programmare; dopo tutto il mercato sembra richiederlo. Ma il pubblico (quello di non addetti ai lavori, si intende), il fruitore di questo acclamato mercato? Si dovrà pur pensare al fatto che, diversamente da altri Paesi europei, in Italia, abituati ad avere tanti teatri sparsi su tutto il territorio nazionale, pochissimo ci si sposta per recarsi in una grande città a vedere un singolo spettacolo. La pazza corsa alla novità porta spesso al tramonto immediato lavori che dopo il debutto non sono riusciti a girare, a mostrarsi e soprattutto a crescere; e indicativo è l’esempio di Titanic.

Andato in scena per la prima volta nel 2007, lo spettacolo è riuscito ad ottenere solamente un paio di repliche in ben quattro anni: il duo milanese, composto da Alberto Astorri e Paola Tintinelli, ha sempre sentito che non era mai stata data una vera possibilità al proprio Titanic, fino alla vittoria del Bando In-Box. Progetto che riunisce diverse realtà toscane – quali Straligut, Amnio Teatro, Armunia, Edgarluve, Gogmagog, Teatro Everest, Teatro Popolare d’Arte e Teatro Sant’Andrea – In-Box nasce proprio come «rete di sostegno per la circuitazione del nuovo teatro» e prevede, oltre un premio in denaro, un programma di circuitazione nei teatri della regione.
Sarà pur datato 2007, ma Titanic non ha nessuna caratteristica che lo potrebbe far definire “vecchio”: è composto da un immaginario vastissimo, che prende da Buster Keaton alla desolata disperazione delle poesie di Guido Ceronetti, da Ettore Petrolini ai personaggi onirici lynchiani, dal poema di Enzensberger a Arthur Rimbaud. Come se diverse voci, scritti e immagini fossero stati assorbiti e rimodellati sui personaggi sapientemente creati da Alberto Astorri, un capitano senza equipaggio, e Paola Tintinelli, un mozzo chapliniano, che continuano ad affastellare sulla scena oggetti, manichini e pupazzi che costituiscono il loro mondo prossimo al naufragio. Uno spettacolo che chiede un contatto e una vicinanza con lo spettatore perché, come recita il sottotitolo, è “una fiaba del vecchio millennio” e va seguita con lo stupore che una favola può suscitare, con una vicinanza e un abbandono di intenti: dopo tutto, il gioco è lasciarsi stupire. Non mancano delle fragilità interne in questo susseguirsi di sketch che spaziano dal comico al poetico, dal visionario al cabarettistico: a volte la compattezza sembra perdersi, colmata però da un’autentica artigianalità che costituisce tutto l’impianto di Titanic. I due attori non solo interpretano i personaggi ma sono gli stessi scenografi, registi e tecnici che decidono i tempi musicali – mettendo su 45 giri che sono delle vere chicche – e accendono luci, abat-jour e lumini che riempiono la scena. Il continuo creare e ricreare visioni, attraverso porte che aprono a un mondo altro o a personaggi fantastici e sorprendenti, regala una dimensione di vicinanza, nonostante tutto ciò che mostra la Compagnia AstorriTintinelli passi attraverso la fantasia: sembra un’umanità che, nonostante la sua follia, non voglia naufragare e non voglia perdersi. Non c’è nulla di vecchio in tutto questo, la poesia e lo stupore non seguono nessuna dinamica di mercato, cercano solamente di essere ascoltate e di trovare luoghi in cui mostrarsi. Speriamo di vedere Titanic e la Compagnia AstorriTintinelli anche in altri teatri, non solo toscani.

Visto alla Sala Lia Lapini, per la rassegna TeatrInScatola, Siena

Carlotta Tringali

Exit strategy di non fuga a TeatrInScatola

Per il quarto appuntamento di TeatrInScatola, Straligut Teatro presenta – presso la Sala Lia Lapini di Siena – il suo spettacolo Acquario. Una fuga. Prosegue inoltre il progetto Situazione Critica (in collaborazione con la redazione di Teatro e Critica), l’appuntamento dopo lo spettacolo in cui operatori, artisti e critici si incontrano in un territorio neutrale ed informale per confrontarsi circa la situazione teatrale attuale. In questa serata, ospite insieme al Tamburo di Kattrin Roberta Nicolai, direttrice artistica del festival romano Teatri di Vetro e del progetto di officina culturale della compagnia Triangolo Scaleno Teatro. Alla conversazione hanno preso parte alcuni membri della compagnia senese: Fabrizio Trisciani, Tommaso Innocenti e Francesco Perrone.

Come si è detto, la serata ha avuto inizio con lo spettacolo di Straligut Teatro. Acquario. Una fuga riflette su temi che nel corso di questo 2011 politicamente e finanziariamente travagliato hanno coinvolto l’intera popolazione italiana: dato centrale della messa in scena – diretta da Francesco Perrone – è l’acqua in quanto bene comune. Si è tanto parlato di questi “beni comuni” soprattutto in vista dei referendum che hanno chiamato i cittadini a decidere della gestione delle risorse idriche ed energetiche di un’Italia sull’orlo di una crisi di nervi, ma non solo. Ispirato al racconto In mezzo alla polla sguazzava un pesce rosso del collettivo Wu Ming, la compagnia ha scelto l’acqua come elemento attraverso cui riflettere sul nostro tempo e sulle sue «grottesche normalità»: con queste parole, Straligut Teatro si riferisce a quelle manovre economiche e politiche alle quali ci hanno abituato i nostri politici. La drammaturgia punta tutto sull’estremizzazione di dinamiche con le quali ci si è trovati a combattere attraverso il referendum del 12 e del 13 giugno. Perrone costruisce un mondo in cui Winston, una volta attore comico affermato e abituato a stare sotto i riflettori – interpretato da Francesco Pennacchia – si trova a lottare con un sistema dove il Ministero per le risorse comuni si occupa di gestire – tra le altre cose – la distribuzione delle risorse idriche. Uno scenario dai tratti orwelliani, che mira a risvegliare, attraverso l’eccesso, una coscienza individuale e collettiva in grado di ridare significato alla parola “democrazia”.

L’operazione attuata da Straligut Teatro apre a una serie di considerazioni che sono al centro anche della conversazione tenutasi in seconda serata con Roberta Nicolai e la compagnia stessa. Se inizialmente il confronto verte sull’attività di direzione artistica intrapresa da alcuni registi (tra cui Roberta Nicolai stessa) e sulle modalità con cui questa viene condotta, emerge sin da subito la necessità di ritagliarsi del tempo per riflettere non solo sulla condizione attuale delle risorse destinate allo spettacolo e alle logiche che ne determinano lo sviluppo, bensì sull’identità di ciascun ruolo. Il problema – suggerisce l’operatrice attiva a Roma – è la mancanza di figure professionalmente qualificate, non tanto nell’ambito creativo, quanto gestionale e organizzativo. Sono molti i casi in cui sono i registi che nel corso della loro carriera intraprendono un percorso di direzione artistica, rispondendo a un’urgenza che nasce dal bisogno di restituire la complessità di un panorama che si estende oltre i teatri stabili (inclusi quelli di innovazione). In questo senso, le grandi strutture possono rivestire un duplice ruolo: porsi come esempio di procedure gestionali, e come termine di paragone in cui individuare le falle all’interno delle quali agire per proporre modelli e scenari alternativi. Ciò che manca al teatro contemporaneo – di ricerca e non – è la capacità di costruire progettualità, e quindi pensiero: bisogna incontrare le persone, andare nelle scuole e in strada per poter avvicinare un pubblico nuovo alla scena, e poter riconoscere nel teatro una forma di espressione in grado di comunicare, parlare, o anche solo porre interrogativi. Si torna – in un certo modo – alla necessità espressa da Straligut Teatro di riattivare la coscienza dei cittadini, non necessariamente attraverso spettacoli che pongano al centro temi di carattere civile e politico: la potenza del teatro risiede proprio nella sua capacità di creare “spaesamenti”, che siano percettivi o tematici. Ne è un esempio il progetto Can you rePET? della compagnia senese, che mira a trasformare il festival TeatrInScatola nella prima rassegna a consumi energetici ed emissioni CO2 zero in Europa: è anche attraverso queste aperture che toccano la vita quotidiana dei cittadini che si possono porre le basi per un nuovo legame tra ciò che vive dentro i teatri e la realtà contemporanea.

La barriera che intrappola il teatro in una scatola autoreferenziale – percepita dai più come un luogo in cui si consumano operazioni estetiche e prive di contatto con il mondo – sembra rimanere il più grande nodo da sciogliere se si vuole che anche le istituzioni riconoscano un ruolo attivo degli artisti e degli operatori all’interno della società. Questo non implica un’omologazione ai modelli comunicativi di televisione e mass media, bensì un intenso lavoro di sensibilizzazione e divulgazione – che non necessariamente coincide con una pratica di alfabetizzazione pedagogica – svolto da tutte le figure professionali delle arti dal vivo, secondo le modalità e i canali comunicativi ad essi più congeniali. La domanda a cui è necessario dare una risposta è: l’artista che ruolo ricopre in questo processo di avvicinamento? È lui stesso che si deve far carico di questa “mission” oppure il suo unico scopo è quello di creare? Se comunicare è compito dell’artista, allora è lui stesso che deve prendere le redini di questo nuovo dialogo o sono figure come gli operatori e i critici che devono muovere i primi passi?

Dopo un lungo dibattito che ha visto le due posizioni scontrarsi e sfiorarsi in alcuni punti, le luci della sala Lia Lapini si spengono. Rimangono nell’aria molti interrogativi da dover ancora affrontare, e risposte che è necessario trovare per uscire da una logica di “accudimento finanziario” statale, ed elaborare nuove strategie che tornino a parlare ad un pubblico ampio che del teatro conserva un’immagine stereotipata e anacronistica.

TeatrInScatola presso la Sala Lia Lapini, Siena

Giulia Tirelli