festival due mondi spoleto

Si chiude il Festival dei 2Mondi e l’esperienza E20umbria

banner_e20umbriaSi è chiusa la 56edizione del Festival dei 2Mondi di Spoleto e anche l’esperienza di E20umbria, l’aggregatore di blogger turistici e teatrali arrivati dalle diverse città italiane per restituire, attraverso la scrittura, gli spettacoli, i luoghi, gli artisti e l’atmosfera di un festival storico.

Perché Spoleto, perché i due Mondi? Come ha ben scritto in un altro approfondimento Roberta Ferraresi i due Mondi a cui si faceva un tempo riferimento, quello Italiano e quello d’oltreoceano, si sono ad oggi moltiplicati, aprendo ad altre possibilità, non solo territoriali (leggi l’articolo). Con E20umbria si è cercato di collegare ancora altri due mondi: quello reale e quello del web, quello tangibile e quello virtuale; un modo per arrivare a chi non vive il festival fisicamente, ma di riflesso ne legge; un modo altro di attraversare un mondo fondato sulla performance live; un modo per avere e lasciare una traccia che rimanga nel tempo, oltre che nella memoria di chi l’ha vissuto in prima persona.

Chiesa di San Salvatore

Chiesa di San Salvatore

Si è cercato di bloccare schegge di tempo, emozioni, esperienze provando a tradurre in parole le escursioni nel territorio umbro, le passeggiate per i condotti spoletini, le mostre alla Rocca Albornoziana – edificio posto nel punto più alto della città, suggestivo e affrescato con dipinti del 1440 – o a Palazzo Collicola (ne abbiamo parlato in un parallelo tra Mark Morris e Gianfranco Chiavacci e nel Viaggio tra le mostre di Spoleto56), la bellezza eterea delle chiese longobarde, le note dei concerti che si sono susseguiti giorno dopo giorno (dal talentuoso Raphael Gualazzi all’orchestra della Scala diretta da James Conlon che ha chiuso il Festival con il concerto in piazza Duomo); ma soprattutto, mentre compito dei blogger turistici è stato quello di prendere avidamente tutto quello che veniva proposto a livello escursionistico, i blogger di teatro cercavano di incastrare il proprio calendario personale per vedere gli spettacoli dei grandi artisti attesi e passati per la 56edizione di Spoleto. Non stiamo a ripeterli tutti, qui trovate tutti gli articoli che Il Tamburo di Kattrin ha prodotto durante questa esperienza (link).

Parte interessante di questo progetto pilota è stato poter mescolare passeggiate per boschi a visioni di spettacoli teatrali e danzati, mostre a concerti, turismo culinario a scoperte dei beni storico-artistici di Spoleto, dove può capitare, per esempio, di entrare dentro una chiesa del 1700 e poi trovare un cripta risalente al 1200. Sugli spettacoli si sono riversate sensazioni e emozioni acquisite durante l’arco della giornata: impossibile scindere performance e territorio; le location mozzafiato hanno un’incredibile potenziale di suggestione che ricade su un pubblico storico che torna al Festival anno dopo anno, prendendosi ferie e vacanze.

Un progetto pilota che ha visto impegnata una grande quantità di energia, tra coloro che hanno ideato e20umbria e coloro che sono stati chiamati a partecipare. Kattrin ringrazia e saluta con affetto tutti i compagni di viaggio incontrati durante il Festival dei 2Mondi e coloro che hanno reso possibile questa esperienza!

Carlotta Tringali

Questo contenuto fa parte del progetto E20UMBRIA per il Festival 2Mondi di Spoleto

 

 

2mondi. Anzi no, molti di più

L'immagine della 56a edizione del Festival dei 2Mondi, disegnata da Sandro Chia

L’immagine della 56a edizione del Festival dei 2Mondi, disegnata da Sandro Chia

Si dice che quei “due mondi” che danno nome al festival possano rappresentare l’incontro, che qui a Spoleto si è svolto ogni estate per più di trent’anni, fra canone e avanguardia, tradizione e innovazione. In realtà, l’idea del fondatore, Gian Carlo Menotti, pare fosse più di stampo geografico: si trattava di Italia e Stati Uniti – il festival aveva difatti un gemello americano in South Carolina (poi anche a Melbourne) e ha avuto il merito di portare nel nostro Paese le eccellenze della scena internazionale. Ma, comunque sia, in effetti cambia poco, se pensiamo a quando potessero apparire distanti, in quegli anni (la fondazione è del ’58) l’Europa della ricostruzione, appena uscita dal secondo conflitto mondiale, e l’America già in odore di beat, la provincia italiana che stava passando dall’arretratezza rurale alla modernità made in Usa a suon di tv e pin-up, chewing-gum e coca-cola, cult del cinema e della musica e elettrodomestici vari. La sperimentazione (non solo) artistica, anche teatrale, fuggita dalla follia dei totalitarismi del vecchio continente, aveva trovato casa proprio oltreoceano: ai bistrot parigini della belle époque, ecco sostituirsi le vertigini della New York di Pollock, di Cage e Cunningham, degli happening e della performance.

Per cui, sì: Italia e Stati Uniti. Ma con tutto quel coté di immaginario, politiche, culture e conseguenze tutto intorno, a stringere e disegnare i termini della relazione. Dunque anche tradizione e avanguardia, se si pensa alla pietra immutata di un pacifico borgo del sud dell’Umbria che ha visto passare per le proprie strade l’Orlando di Ronconi-Sanguineti, il teatro povero di Grotowski come Visconti, De Filippo e Nino Rota, poeti come Pound, Neruda, Ginsberg e via così, ogni estate, di spettacolo in spettacolo. La lirica e la prosa, la sperimentazione e la rappresentazione. Per una nuova eresia visiva di Bob Wilson, ecco una Napoli milionaria, per il ritualismo del maestro polacco, gli ultimi frutti di una regia critica ormai in via di estinzione. Il tutto affiancato in un unico programma, che fin dai suoi esordi ha provato a richiamare insieme, nei bei vicoli spoletini, arti visive e teatro, musica, opera e cultura a tutto tondo.

Ma che succede quando, in questi tempi cosiddetti e presunti post-ideologici, si dice che sia finita la storia, così come le grandi narrazioni, che siano crollati i canoni e i riferimenti? E, di conseguenza, tutto è già stato fatto, nessuna avanguardia è più possibile, neanche come idea? Una parola ormai dal forte retrogusto vintage, che nessuno usa quasi più, che implica un’altra faccia della medaglia che sconfina nell’esasperazione del consumismo, nell’ansia del nuovo che ha portato, oltre che sperimentazioni di indimenticata bellezza, anche il recente crollo socio-finanziario; una parola che si sussurra a bassa voce peggio di un pettegolezzo, accantonata, abusata e bistrattata. Ormai dimenticata, ma mai a sufficienza.
A Spoleto, tuttora, si possono fortunatamente visitare i preziosi monumenti di quella stagione di ribellione e speranza, annusarne le poetiche che furono a volte scandalose e immaginarne le potenzialità dirompenti; coglierne, in parte, i sensi e le aperture, serbarne frammenti di un ricordo come in un libro, vivente e ancora vivace, di storia dell’arte. Calder e Sol LeWitt, che hanno entrambi donato alla città proprie creazioni site-specific; gli universi labirintici e immaginifici di Bob Wilson e gli insidiosi, sorprendenti, percorsi decostruttivi di Luca Ronconi.

E che possono fare un festival e una città che hanno consacrato i propri anni d’oro alla ricerca internazionale, all’avanguardia, all’arte e al teatro, in un momento storico e sociale come questo? Il Festival di Spoleto sembra puntare sulla moltiplicazione di quei “due mondi” – entrambi oggi, con pudore, superati, ma non certo risolti – che l’anno portato alla ribalta, nella strada tracciata, come abbiamo visto, da una tradizione di apertura e interdisciplinarità originarie: quindi non solo eventi live, ma anche esposizioni e una nuova attenzione al web. E poi convegni (presente la psicoanalisi, la scienza), talk, premi, interviste a cielo aperto. La prosa vicino alla lirica, la musica classica e il jazz, la danza contemporanea e quella più consolidata. Una prospettiva molteplice che vuole essere, con forza, trasversale, quasi opponendo alla verticalità che fu della ricerca – e che, a volte, ne ha determinato un rischio di chiusura – un’orizzontalità diffusa: moltiplicando i “due mondi” che danno il nome al Festival in una quantità e varietà di rivoli, declinazioni, opportunità e eventi differenti.

Roberta Ferraresi

Questo contenuto fa parte del progetto E20UMBRIA per il Festival 2Mondi di Spoleto

 

Animazioni digitali, installazioni e ritratti: viaggio tra le mostre di Spoleto56

gian carlo menotti

Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti

Il Teodelapio di Alexander Calder: è la scultura che ci guarda appena scesi dal treno e fatti due passi in Piazza Polvani. La Cattedrale di Santa Maria Assunta: è l’edificio per il quale ci emozioniamo, dall’alto, nel nostro volo sopra la città. Antichità e contemporaneità attraversano Spoleto, nei vicoli e negli slarghi, nelle fortezze e nelle basiliche. Così, ogni volta che entriamo in un teatro, guardando la volta affrescata e il grande lampadario, torniamo indietro nel tempo: succede al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti, progettato da Ireneo Aleandri, decorato da Francesco Coghetti, inaugurato nel 1864. Accade al Teatro Caio Melisso, prima Nobile Teatro, devastato da un incendio, ricostruito a fine Ottocento e risorto grazie al processo di restauro, a cura della Fondazione Carla Fendi. Avviene mentre si scende la scalinata verso il Duomo, quando si gira l’angolo di Piazza della Signoria, andando verso il Teatrino delle 6, piccola e bellissima sala, o salendo verso Colle Sant’Elia. Tanti gli spazi spoletini che si aprono al Festival dei 2mondi, accogliendo non solo spettacoli, ma anche conversazioni, omaggi, eventi, mostre.

Sri Astari Rasjid - Undercover, Underwear, Underworld troops

Sri Astari Rasjid – Undercover, Underwear, Underworld troops

Alcune sale della Rocca Albornoziana ospitano Sconfinamenti, esposizione multimediale, collettiva, multidisciplinare, curata da Achille Bonito Oliva con direzione creativa di Elisabetta di Mambro e Franco Laera. Cinque schermi compongono The ice time – 40,000 years in 4 minutes di Peter Greenaway, fredda indagine ambientale e digitale, seguita dalle immagini calde proposte da Ahmet Günestekin nel video Belek (Memorie) proiettato tra la parete, dove scorre la cronaca in forma di didascalia, e il pavimento, che restituisce il massacro degli Armeni di Adana e gli scontri in Piazza Taksim, distanti nel tempo, vicini per orrore. Continua, la mostra, tra gli affreschi quattrocenteschi del piano nobile, con i ritratti di Shirin Neshat, raccolti nell’installazione fotografica Il teatro è vita. La vita è teatro. Don’t ask where the loves is gone: attori e attrici del teatro underground napoletano, uno in fila all’altro, sembrano osservare l’opera di Sislej Xhafa, Shhhhhhhhhhht: un corpo avvolto da una coperta, un uomo o una donna, le forme non lo rivelano, un homeless dormiente, un ubriaco svenuto, o forse morto. Mescola film muto, miniature persiane, azioni teatrali e animazioni digitali Shoya Azari in The king of black, tra allegoria e critica sociale. Chiude il percorso espositivo la sensuale e raffinata installazione di Sri Astari RasjidUndercover, Underwear, Underworld troops, rilettura delle tradizioni culturali di Giava, con corpetti e gonne in acciaio inox e fibra di vetro.

Antonio Marras e Danilo Bucchi

Antonio Marras e Danilo Bucchi

Dalla Rocca a Palazzo Collicola, dalle Mostre del Festival alle Mostre del Comune, curate da Gianluca Marziani e installate tra il seminterrato e il secondo piano dell’edificio gentilizio, residenza nobile nella quale hanno soggiornato Carlo di Borbone, Pio VI e Carlo Emanuele IV. Vive, la collezione permanente, al pianterreno dello spazio espositivo, tra l’arcobaleno di Sol Lewitt, nella stanza realizzata nel 2000, e gli universi di Calder, Ceroli e Richard Serra. Non vogliono dialogare con lo spazio ma accostarsi agli arredi del piano nobile, mantenendo la propria specificità, le opere di Antonio Marras e Danilo Bucchi, che con il titolo Insieme siamo altro denunciano la volontà di fondere disegno e sartorialità, tele e tessuti, matite e bottoni. Piccoli collages sbucano dai cassetti, trittici al femminile si adagiano contro le pareti, ruote di bicicletta vestite di vecchie giacche e polverosi gilet ciondolano in un corridoio luminoso, poetico affaccio tra stanze serrate e generose vetrate. Opere non stanziali, che dichiarano un attraversamento di spazi e un incontro di linguaggi. Un percorso scritto con l’inchiostro su tele bianche, cucito con punti lenti su tessuti antichi.

Stazione di Spoleto

Stazione di Spoleto

Un passaggio, come il nostro, per vivere il festival in ogni suo aspetto, per restituirne atmosfere e sapori, tra il calore delle luci sul proscenio e la fresca aria serale. E20umbria è dormire tra le mura romane dell’Hotel Aurora, volare sul biposto guidato da Pino Cirimele del Trevi Avio Club, saziare gli occhi e stuzzicare il palato con le opere d’arte culinaria del Ristorante Apollinare. E per qualcuno che prende un treno trascinando una valigia, c’è qualcun altro che arriva, per vedere nuovi spettacoli, incontrare altri artisti, sentire suoni diversi e assaporare mutate sensazioni. L’esperienza, per Il Tamburo di Kattrin, continua…

Rossella Porcheddu

Questo contenuto fa parte del progetto E20UMBRIA per il Festival 2Mondi di Spoleto

European Young theatre: la Silvio d’Amico per Duncan MacMillan

18062013-DSC_4458Sono più di cinquanta. Vengono da Cordova, Strasburgo, Parigi, Glasgow. Vivono gli spazi dell’incompiuto Palazzo della Signoria. Tra le volte del Teatrino delle 6 studiano, provano e si esibiscono. Dal 28 giugno, data di avvio del Festival dei 2mondi, e fino al 13 luglio, portano in scena testi di Sarah Kane, Fedor Dostoevskij, Harold Pinter, Euripide e William Shakespeare. Sono giovani attori e registi di accademie, scuole e conservatori francesi, polacchi, scozzesi. Sono ospiti dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, che coordina il progetto European Young theatre in collaborazione con Union of Theatre Schools and Academies e l’insegnamento di Storia del Teatro Inglese del Dipartimento di Studi Europei, Americani ed Interculturali dell’Università La Sapienza di Roma.

18062013-DSC_3637Inaugura la serie di spettacoli l’Italia, con Lungs di Duncan MacMillan, nella traduzione di Matteo Colombo e per la regia di Massimiliano Farau. Venti gli attori in scena, allievi del II anno del Corso di Recitazione della Silvio d’Amico, che si alternano in un dialogo di coppia, attraversando una scena vuota – come da indicazioni testuali di MacMillan, che immagina il palco “privo di mobilio, attrezzeria, azioni mimate” – abitata soltanto dal suono delle parole e dallo scambio di voci e di fisicità. Hanno maglietta e scarpe marroni gli uomini, pantaloni rossi e camicia bianca le donne, sono uguali negli abiti, diversi per intensità.
Comincia tra gli scaffali dell’Ikea il confronto tra un lui e una lei di cui non conosceremo mai il nome, innamorati, fidanzati, conviventi sulla trentina, un dottorato lei, un lavoretto in un negozio di dischi e l’ambizione di fare il musicista, lui. Il desiderio di un figlio che si insinua nella vita di coppia, fra l’incoscienza di lui e la paura di lei. Le incertezze per la crisi globale, le catastrofi ambientali, le letture sulle radiazioni, le fissazioni ecologiste, e, su tutto, la paura di diventare adulti.
gruppo-Lungs-1Continua, il dialogo confuso, più volte abbandonato più volte ripreso, fra le pareti di un appartamento che non vediamo, tra il letto, dove provare a concepire e il pavimento dove stringersi in un abbraccio. La gioia per un test positivo, soffocata subito dallo strazio per un aborto spontaneo, l’incapacità di guardassi negli occhi, il congelamento dei sentimenti, e la separazione, dolorosa ma necessaria. Un crescendo, temporale e emozionale, un sovrapporsi di voci, e un accelerazione finale che ci trasporta in un futuro possibile. Asseconda, la regia di Massimiliano Farau, le evoluzioni del testo, si accordano, i venti attori, alle temperature del dialogo amoroso, per uno spettacolo asciutto, una struttura essenziale, che apre scenari reali, e contemporanei.
Oggi, alle 18, il secondo appuntamento con l’Escuela Superior de Arte Dramatico “Miguel Salcedo Hierro”, E.S.A.D. di Cordoba, che porta in scena Medea Banished, con drammaturgia di Nerea Garciolo Ruiz, Raúl Muñoz Camacho e regia di Raúl Muñoz Camacho.

Rossella Porcheddu

Questo contenuto fa parte del progetto E20UMBRIA per il Festival 2Mondi di Spoleto

Al via il Festival dei 2Mondi con il ritorno alla danza della Ferri

262404802052013211326_galleriaico1Dalla Piazza del Mercato alla Rocca Albornoziana, dal Teatrino delle 6 a Palazzo Mauri. Prime teatrali, esposizioni multimediali, rassegne di cinema, operette buffe, concerti, per un totale di 120 aperture di sipario e oltre 20 eventi dal 28 giugno al 14 luglio. Il Tamburo di Kattrin vive la 56esima edizione del Festival dei 2mondi di Spoleto, sedendo in platea, attraversando le sale museali, salendo e scendendo nei vicoli spoletini, scoprendo angoli nascosti. E restituendo, nello spirito di E20umbria.it, l’atmosfera sfaccettata di una manifestazione storica. Non solo recensioni, ma impressioni, conversazioni, suggestioni. Un diario di bordo a più mani, tra palchetti e locande, chiostri e palazzi.

Una pioggerella sottile ha bagnato il ritorno alla danza di Alessandra Ferri, in un Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti affollato di personalità, saturo di pubblico dalla platea al loggione. Firma, l’ètoile, le coreografia di The piano upstairs, scritto dal drammaturgo John Weidman.

262423329062013115825_galleriaico1Lascia il palco, il pianoforte a coda, all’inizio della pièce, per ritornare soltanto alla fine, testimone muto di un matrimonio fallito. Una scenografia scarna, con divani sul proscenio e affaccio su uno skyline americano, accoglie le battute finali di una storia d’amore. Si alterna, il racconto di Boyd Gaines, marito abbandonato, agli assoli, ai pas de deux, ai pas de trois, che l’esile danzatrice esegue insieme a Attila Csiki, Stephen Hanna e Andrea Volpintesta. Si aggrappa, lei, alle braccia di possibili amanti, fantoccio abitato dall’infelicità, svuotato dalla nostalgia di figli mai nati, svilito da un rapporto sfibrato, logoro, consumato. È incapace, lui, di comprensione, indisposto al dialogo, ossessionato da una fine alla quale non riesce ad arrendersi. Una struttura classica, lineare, una regia sobria, essenziale, che vive di sottrazioni, firmata dal direttore artistico del Festival dei 2mondi, Giorgio Ferrara, per uno spettacolo che scorre, fluido, sulle note di Arvo Pärt, Fabrizio Ferri e Giovanni Allevi, i tre capisaldi della colonna sonora. E se l’evoluzione della storia vede succedersi momenti ironici, dialoghi drammatici e brevi scatti di violenza, l’immagine finale, quella di un abbraccio intimo, intenso, tra moglie e marito, lascia una sensazione di tenerezza, di calore, di pacificazione, tra gambe che si intrecciano e guance che si sfiorano.

Rossella Porcheddu

Questo contenuto fa parte del progetto E20UMBRIA per il Festival 2Mondi di Spoleto