festival inequilibrio 2013

Folk-s: fino all’ultimo battito

Il rituale d’inizio è lo stesso: i folk-dancers calpestano lo spazio scenico, si chiudono verso il cuore del palco e formano un cerchio, mentre Alessandro Sciarroni, cappello con piuma e lederhosen, copre loro gli occhi con una striscia di nastro isolante, per impedire di vedere, per stimolare a sentire. Stavolta i battitori di scarpe non ascoltano il silenzio del teatro – com’è successo al Palladium, quest’autunno, durante il Romaeuropa Festival –, non percepiscono il calore dei fari sul volto, né sono avvolti dal nero della platea. Stavolta i sei danzatori che danno vita a questo pezzo di teatro che è indagine sul tempo e sulla sopravvivenza, “pratica performativa” – come definita dal suo ideatore – che si ispira alle danze tradizionali bavaresi e tirolesi, non hanno quinte alle spalle o soffitti sulla testa. Intorno a Marco D’Agostin, Pablo Esbert Lilienfeld, Francesca Foscarini, Francesco Vecchi, Anna Bragagnolo (che prende egregiamente il posto di Matteo Ramponi, della cui inesauribile energia sentiamo comunque la mancanza) e Alessandro Sciarroni, c’è il Prato del Cardellino, il tardo pomeriggio di Castiglioncello, la luce diurna e estiva, ci sono gli scogli che scivolano sul mare, la Costa degli Etruschi, il tramonto, il Tirreno.

SCIARRONIDialoga questa versione di Folk-s per la sedicesima edizione di Inequilibrio, con la natura circostante, perché la performance invade il prato, perché erba e terra escono da una buca che si è aperta sulle fragili assi del palco e cospargono i capelli di Pablo, perché la brezza marina sfiora la loro come la nostra pelle. E allora non può che venire alla mente Will you still love me tomorrow?, corto di Matteo Maffesanti visto a Teatri di Vetro 2013 (guarda qui il video) e girato durante la produzione dello spettacolo ai piedi delle Piramidi di Terra. Poetica riflessione sulla fragilità dell’esistenza: si stringe, un uomo solo, a un tronco solitario che a sua volta, ostinato, si aggrappa alla montagna, incapace di lasciarsi cadere nel precipizio. Così accade agli alberi, così accade agli uomini, altrettanto accade alle tradizioni, quelle che resistono alla contemporaneità. E se visivamente la performance vista a Castiglioncello riesce a fondersi con l’ambiente, ci sono anche elementi di disturbo, i rumori della pineta, le voci dei passanti, i giochi dei bambini, la musica – troppo alta – dei bar nell’ora dell’aperitivo. Certo, non può esserci il silenzio del teatro, ma ogni variazione, anche con ostacoli e impedimenti, rende nuovo Folk-s, mai rigido, pur nel rigore della pratica e dell’esecuzione, mai schematico, pur nel ripetersi delle gestualità, mai identico a se stesso, pur nella reiterazione dei movimenti.

SCIARRONI 2Spettacolo da vedere e rivedere, in interno e in esterno, su un palco e su un prato, davanti al mare o tra le montagne, per cogliere altre sfumature e provare nuove emozioni. C’è in quel gesto iniziale, in quell’oscurare lo sguardo, nel non vedersi ma percepirsi dei corpi, la condivisione, lo stringersi di un legame che raramente si fa fisico. C’è nei primi battiti la nascita di un’armonia, come di un piccolo ensemble che si accorda, che cerca pian piano le note, mentre i gomiti si piegano e i piedi si inseguono. C’è in quell’assolo eseguito dal performer marchigiano, cappello calato sugli occhi e attenzione tutta rivolta a sé, quasi la dichiarazione della pratica, la visualizzazione del linguaggio, la condivisione del codice. La chiave di lettura, però, una volta liberati gli occhi dalla patina isolante, viene fornita al microfono da Marco D’Agostin: i folk-dancers batteranno tacco, piede, coscia, finché avranno energie e finché anche un solo spettatore starà a guardarli, e chiunque abbandonerà lo spazio non potrà più farvi ritorno. Prima chiuso verso l’interno, il gruppo si apre all’esterno, si spezza, avanza verso il pubblico, descrivendo linee rette e traiettorie oblique, senza mai perdere il ritmo, senza mai perdere la sincronia. Porta sul palco una fisarmonica, Alessandro Sciarroni, la fa aderire al petto, ne sfiora i tasti senza farla suonare, e poi la adagia sulle assi, dove resta, muta testimone di una tradizione reinterpretata. Lunghi gli sguardi, sincronizzati i movimenti, pochi i momenti di incontro, tra labbra che si incollano, braccia che si sfiorano, teste che si sfidano. Per più di un’ora i performer abitano lo spazio scenico, ognuno con la propria resistenza, ognuno con la propria fisicità, ognuno con la propria espressività. E per gli spettatori che restano, seduti sulle sedie, accovacciati sul prato, o lontani, sulle panchine, un danzatore solo, Francesco Vecchi, abbandonato sul finale da Marco D’Agostin e Pablo Esbert Lilienfeld, esegue la chiusura, prima di lasciare vuoto lo spazio, a raccogliere un applauso che si perde nel vento.

Visto al Prato del Cardellino, Pineta Marradi, Inequilibrio 2013, Castiglioncello

Rossella Porcheddu

Inequilibrio 2013: tra silenzi scenici e quieti visive

Castello Pasquini

Castello Pasquini

Il sole filtra debole, tra gli alberi, nel parco giochi di Castello Pasquini, insolitamente inerte nelle prime ore del mattino, quando gli artisti riposano e le strutture sonnecchiano, in attesa di altre repliche e nuovi spettacoli. Creazioni coreografiche, viaggi nella memoria, piccole allegorie si alternano in momenti diversi della giornata, dal tardo pomeriggio alla sera inoltrata, tra luce naturale e illuminazione artificiale. Nuove produzioni, iniziazioni, esposizioni, abitano spazi differenti per tipologia e struttura, suoni e rumori, visione e fruizione, adattandosi alle sonorità e alle luminosità degli habitat, chiusi o aperti, intimi o estesi. La sedicesima edizione di Inequilibrio si sposta dalle stanze della fortezza alla Pineta Marradi, dalla stazione di Castiglioncello alla Torre Medicea, dalle tensostrutture al lungomare, mutando forma al mutare dei linguaggi, al variare delle atmosfere, al cambiare delle cornici. Se un itinerario, tra passato noto e futuro possibile, è già stato tracciato (leggi l’articolo), questo racconto vuole essere una passeggiata tra albori mattutini e brezze notturne, silenzi scenici e quieti visive.

Tre studi sulla vacuità - Fosca

Tre studi sulla vacuità – Fosca

Bagliori pomeridiani accompagnano gli spettatori verso la Sala 1, lunga, stretta e buia. È Stefano Rimoldi, pantaloni e camicia nera, piedi scalzi, a rischiarare, e riscaldare, l’ambiente, aprendo la finestra su una sedia vuota. Nessuno spartito, poche note: non è la musica la protagonista del solo di appena 15 minuti, parte dei Tre studi sulla vacuità di Fosca. L’attenzione si concentra tutta sul corpo del musicista, diritto davanti al pubblico, volto serio, archetto in una mano, violino nell’altra. A essere fotografato è l’attimo prima del concerto, la postura, lo strumento che si adagia sul collo, le dita che sfiorano il legno cercando le corde, la testa che si piega trascinandosi dietro l’orecchio, le narici che inalano l’aria. Frammenti di Schumann, gesti, vibrazioni, respiri, per una musica da percepire e un silenzio da ascoltare. È più ampia, e accoglie un maggior numero di spettatori la Sala 3 del castello, muta ospite dell’ensemble che chiude il festival nella tarda serata del 7 luglio, primo studio per quintetto di Fosca, realizzato in coproduzione con Armunia. Tepore di un interno, fari sulla scena, un pianoforte a coda, quattro sedie, cinque spartiti per l’Op. 44 di Robert Schumann, che squarcia i momenti silenti, si interrompe e riprende, fiorisce e sfiorisce, cresce e decresce. Movimento corale, tiepidamente ironico, morbidamente plastico, tra corpi che cascano, tensioni che scemano, melodie da sussurrare, e un concerto che deve ancora cominciare.

 CollettivO CineticO

age – CollettivO CineticO

Inizia con calma distaccata ‹age› di ColletivO CineticO. Un computer, parole che scorrono sul fondale, la scena che si compone pezzo per pezzo: un tavolo, una sedia, due panche, 4 litri di acqua in bottigliette di plastica, e 9 adolescenti, tra i 16 e i 19 anni, labbra serrate e sguardo rivolto al pubblico. Un elenco di caratteristiche fisiche, caratteriali, comportamentali, una serie di movimenti collettivi per un’azione performativa scandita dal suono di un gong. Si alzano dalle panche, gli ‘esemplari’, quasi giocatori in attesa di entrare in campo, si spostano con passo deciso verso il centro del palco, seguendo le didascalie, che prima descrivono le specificità, poi associano una peculiarità a un gesto, infine coordinano formazioni corali per arrivare alla decostruzione dello spazio ludico. Descrizione e ordine. Esposizione e imposizione. Parata di adolescenti che non si raccontano, ma rispondono a un comando, freddamente, lucidamente. Performance schematica, matematica, analitica. Gioco rigidamente disciplinato, rigorosamente pulito, non privo di energia e ironia, ma al quale ci sembra che manchino partecipazione, reale condivisione, e umano calore.

Balene, asini e pialle - opere di Roberto Abbiati

Balene, asini e pialle – opere di Roberto Abbiati

È debole e torrido il chiarore che entra nella Cappella situata alle spalle di Castello Pasquini, che ospita, in orario tardopomeridiano, la mostra di Roberto Abbiati Balene, asini e pialle. Casupola abitata da cavalli di legno e mestoli, popolata da capre con muso di spazzola. Spazio da sogno, pullulante di oggetti riciclati, eredità di vecchi spettacoli. Ventre gravido di ingranaggi magici, dove le seggiole diventano asini e i bauli uomini. Ed è quasi soffocante l’aria nella piccola sala, delimitata da teli bianchi, che accoglie Carezze, di e con Roberto Abbiati e Maurizio Lupinelli. Viaggio a disegni di due adulti che ritornano bambini, tra bolle di sapone e onde marine, scaramucce infantili e malinconici ricordi. Non ci sono voci in Joseph_kids, solo musiche che accompagnano immagini, e nuvolette che comunicano stati d’animo. Linguaggio multimediale e lessico fumettistico s’incrociano, performer in abiti da supereroi s’incontrano nella versione per bambini del primo solo di Alessandro Sciarroni, che ha voluto Michele Di Stefano davanti all’occhio digitale. Il volto si deforma, il corpo si sdoppia, creando figure buffe e ironiche, tra musiche di Bjork e Morricone, atmosfere western e tenere chat per piccoli nerd.

Foresta bianca, la mostra

Foresta bianca, la mostra

Bianche e nere, ingiallite e rovinate, lievemente sfocate o decentrate, strappate o ben conservate, le fotografie di Foresta Bianca – esito di un progetto biennale ideato da Matteo Balduzzi e Stefano Laffi per Armunia  ritraggono diverse stagioni e differenti momenti della giornata, dal mattino alla notte, dall’estate all’autunno, dalla spiaggia alla pineta, dagli anni Sessanta al Duemila. Scatti muti, che raccontano chiacchierate fra amici e gite di famiglia, momenti di solitudine e di condivisione, lunghi sguardi al mare e abbracci colmi d’amore. A descrivere le istantanee, protette da cornici bianche, brevi frasi: nomi, luoghi, date, parole che dormono su fogli sostenuti da spilli, precari sostegni per tempi che mutano e anni che passano.

 Rossella Porcheddu

 

 

 

 

 

 

Itinerari da Inequilibrio 2013

La geografia – non solo da questi anni di iPhone, Google Maps eccetera – è qualcosa che si guarda dall’altro, che esclude l’osservatore e lo rende uno sguardo esterno, oggettivo, pacificamente onnisciente. “Un occhio extra-terrestre”, diceva Il viandante nella mappa di Calvino. Diversi dagli estremi di queste astrazioni sono la vita reale, l’esperienza, il viaggio: includendo il punto di vista, il vissuto, convertono la cartografia in “geografia interiore”, tengono a mente sussulti, stati d’animo e relazioni. Non si tratta solo di tracciare un percorso, da un punto a un altro, ma di sceglierlo, viverlo. Spazio e tempo si intrecciano nell’itinerario, qualcosa di dinamico e instabile che sa far incontrare passato e futuro, in cui gli orizzonti, non statici, si spostano sempre un poco più in là – a ogni passo compiuto o incompiuto, a ogni incontro vissuto.

Il Castello Pasquini di Castiglioncello, sede di Armunia

Il Castello Pasquini di Castiglioncello, sede di Armunia

L’occasione di raccontare l’edizione 2013 di Inequilibrio, festival della nuova scena che si svolge a Castiglioncello a inizio luglio, al terzo anno di direzione di Andrea Nanni, rappresenta la possibilità di calarsi negli itinerari e percorsi che sono stati tracciati, insieme, da organizzatori e spettatori in questi ultimi anni di lavoro. Guardando indietro e dunque avanti, per inseguire i fili di una storia che lega il passato di Inequilibrio ai suoi possibili futuri.
Ci sono punti, si diceva l’anno scorso (leggi l’articolo), che sembrano assumere sempre maggior consistenza col passare del tempo, fino a tracciare una mappa progettuale capace di legare un lavoro che, fra nuova scena e territorio, si sviluppa tutto l’anno, fino alla sua densa manifestazione estiva. Si tratta della costruzione di un ambiente, un ecosistema culturale modellato sugli orientamenti della direzione del Festival, ma anche sui profili e le esigenze di tutte le altre persone che vi partecipano, spettatori e artisti insieme.

Maurizio Lupinelli/Roberto Abbiati "Carezze" (foto di Lucia Baldini)

Maurizio Lupinelli/Roberto Abbiati “Carezze” (foto di Lucia Baldini)

Prima di tutto, una cura particolare per il rapporto con le geografie circostanti, con la sperimentazione di spazi altri (le pinete, le spiagge, i paesi limitrofi), spesso en plein air, come a segnare una volontà di conoscenza porosa, disponibile ad aprirsi al caso e all’incontro, di farsi esperienza unica e di cogliere l’attraversamento effimero – tipico tanto dei festival che delle località di villeggiatura, com’è Castiglioncello – per convertirlo in spazio abitabile, quando non addirittura abitato. Così, in una lunga tradizione che definisce il Castello Pasquini – strana struttura ottocentesca, un castello appunto, che domina il paese di Castiglioncello, i suoi boschi e il suo mare –, le residenze creative si sono moltiplicate e presentano i loro frutti durante la rassegna, i cui appuntamenti sono quasi tutti legati a questo tipo di contatto preparatorio. Alcuni di questi rapporti, poi, si sono consolidati col passare del tempo: molte sono le presenze che, di estate in estate, tornano a Inequilibrio, ma, complice la vocazione decisamente relazionale del Festival, qui addirittura si incontrano anche nuove forme di collaborazione, come quello che quest’anno ha legato Maurizio Lupinelli e Roberto Abbiati in Carezze o quello che ha permesso di vedere in scena Michele Di Stefano di MK, protagonista della versione “kids” di Joseph di Alessandro Sciarroni. Infine, appunto, il disegno di una programmazione molteplice, in grado di garantire l’accesso a pubblici vari e diversi, con appuntamenti per i più piccini, nuova danza e maestri consolidati, spettacoli di prosa e narrazioni inedite, mostre, incontri, performance urbane.

Folk's di Alessandro Sciarroni sul Prato del Cardellino

Folk’s di Alessandro Sciarroni sul Prato del Cardellino

Nell’edizione 2013, la scelta di spazi all’aperto, poi, proprio sul limitare della vita reale della cittadina di vacanza, delle sue serate di svago, sembra incrinare ancora di più l’idea di teatro come spazio chiuso, separato. Diverse le performance accolte dalla Pineta Marradi: l’Enciclopedia di InQuanto Teatro, costruita quotidianamente con gli abitanti del luogo, una edizione di Folk-s di Sciarroni sul Prato del Cardellino, incorniciata da un tramonto a picco sul Tirreno, le proiezioni cinematografiche all’Arena… Codice Ivan, ad esempio, ha rielaborato per Inequilibrio Tank Talk, progetto di arte pubblica disegnato sui fatti di Piazza Tienanmen del 1989: un giovane, solo, camicia bianca e pantaloni neri, si para davanti a un carro armato e lo ferma. “La rivolta è ormai un atto individuale”, recita la presentazione; ma che succede quando tante, differenti azioni individuali si sommano, si incontrano? Codice Ivan ha riprodotto per diversi giorni i movimenti del giovane cinese, provando a fermare persone e automobili; ne ha fatto una video-installazione in stazione; ha condotto, infine, un laboratorio, che come esito ha rilasciato lungo la Notte Bianca – che qui, naturalmente, è “Blu” – di Castiglioncello, le diverse versioni delle azioni di quel giovane cinese.

Ma gli itinerari possibili per attraversare Inequilibrio, quest’anno, non si fermano qui, all’ecosistema culturale che investe sul rapporto uomo-natura e apre lo spazio separato del teatro alla possibilità di incontri imprevisti; che porta il teatro nelle strade e nelle piazze, sui prati e sulle spiagge, insistendo sulla quotidianità come risorsa drammaturgica inesauribile, sull’incontro fra la grande Storia e le piccole storie di ognuno, sull’arte come opportunità di rielaborazione socio-culturale; ricombinando, insomma, i termini della sempre crescente divaricazione fra estetica e politica nell’unicità dell’itinerario individuale e collettivo di artisti e spettatori.

Codice Ivan "Tank Talk" a Gent (Belgio)

Codice Ivan “Tank Talk” a Gent (Belgio)

L’orizzonte si sposta, ancora una volta, se si vanno a tentare di inseguire le numerose relazioni, quest’anno ancora più forti e ancora di più, che il Festival ha intessuto con altre realtà. Si diceva, prima, del rapporto con alcuni artisti, che tornano ogni estate e permettono così al pubblico di seguire, volendo, gli sviluppi del proprio percorso. Caso emblematico, in questo senso, è il rapporto che lega Inequilibrio all’anomalo lavoro pedagogico di Virgilio Sieni, con la sua Accademia sull’arte del gesto: negli anni, il coreografo, ha fatto di Castiglioncello “un laboratorio attivo e unico”, entrando nelle vite (e nelle case) degli abitanti del paese – di straziante bellezza, nel 2011, Cinque nonne (leggi l’articolo), nelle abitazioni di cinque signore del luogo –, o accompagnando gli spettatori nei segreti più profondi del bosco che incornicia il Castello, con I giardinieri e le fatine; di più, qui ha inaugurato inediti percorsi formativi per giovani danzatori il cui lavoro, quest’anno, ha debuttato alla Biennale di Venezia – di cui Sieni è direttore –, per arrivare poi a Livorno, unendo il lavoro delle bambine del Gruppo Cerbiatti a quello delle giovani di Officina Caproni.

Un'immagine dal progetto "Foresta bianca"

Un’immagine dal progetto “Foresta bianca”

Fuori dall’arte performativa in senso stretto, un’altra occasione di incontro con il lavoro pluriennale svolto da Inequilibrio è rappresentanto da Foresta bianca, progetto di Matteo Balduzzi e Stefano Laffi attivo da due anni, “album di famiglia di un territorio” che racconta la storia della zona – ma anche d’Italia – attraverso foto e racconti individuali e va a concludersi quest’anno con un’esposizione a Castello Pasquini e una pubblicazione edita da Quodlibet. Negli anni passati, un gruppo di giovani è andato a incontrare gli abitanti di Rosignano e delle sue sette frazioni, raccogliendo immagini e sguardi, narrazioni e visioni fra vita privata e collettiva, esperienza individuale e dimensione sociale.

Oltre alla dimensione di relazione con artisti e progettualità, l’orizzonte si sposta di nuovo se si osservano i rapporti che Inequilibrio sta costruendo con altre realtà simili: è il caso della scena emiliano-romagnola, con la condivisione di percorsi – già presenti lo scorso anno e oggi formalizzati – con il festival di Santarcangelo e i lavori dei quattro gruppi del progetto Coda (Barokthegreat, Gli Incauti, Menoventi, Orthographe) introdotti dalla redazione di Altre velocità. Emblematico King, lavoro di Strasse: la compagnia ha abitato per diversi mesi le spiagge di Rosignano e arriverà a Santarcangelo dopo aver percorso, a piedi, la strada che separa il Mar Tirreno dall’Adriatico. Se negli anni precedenti la direzione di Andrea Nanni sembrava aver investito con decisione sui rapporti fra festival e territorio, andando a costruire ambienti dagli accessi multipli, capaci di accogliere tanto le diverse forme assunte dall’arte performativa contemporanea che la varietà dei pubblici presenti a Castiglioncello, quello che si può intuire, in questo festival 2013, più che l’ampliamento di una mappa (geografica, socio-politica, artistica), è l’esperienza della messa in opera di un itinerario. Un viaggio, più che una cartografia; un sistema di dinamiche in movimento, più che un’istantanea o un affondo: orizzonti mobili su diversi fronti, che si spostano, assieme al lavoro del festival, a ogni passo compiuto e non.

Roberta Ferraresi

Questo contenuto è stato originariamente pubblicato su Doppiozero