La geografia – non solo da questi anni di iPhone, Google Maps eccetera – è qualcosa che si guarda dall’altro, che esclude l’osservatore e lo rende uno sguardo esterno, oggettivo, pacificamente onnisciente. “Un occhio extra-terrestre”, diceva Il viandante nella mappa di Calvino. Diversi dagli estremi di queste astrazioni sono la vita reale, l’esperienza, il viaggio: includendo il punto di vista, il vissuto, convertono la cartografia in “geografia interiore”, tengono a mente sussulti, stati d’animo e relazioni. Non si tratta solo di tracciare un percorso, da un punto a un altro, ma di sceglierlo, viverlo. Spazio e tempo si intrecciano nell’itinerario, qualcosa di dinamico e instabile che sa far incontrare passato e futuro, in cui gli orizzonti, non statici, si spostano sempre un poco più in là – a ogni passo compiuto o incompiuto, a ogni incontro vissuto.
L’occasione di raccontare l’edizione 2013 di Inequilibrio, festival della nuova scena che si svolge a Castiglioncello a inizio luglio, al terzo anno di direzione di Andrea Nanni, rappresenta la possibilità di calarsi negli itinerari e percorsi che sono stati tracciati, insieme, da organizzatori e spettatori in questi ultimi anni di lavoro. Guardando indietro e dunque avanti, per inseguire i fili di una storia che lega il passato di Inequilibrio ai suoi possibili futuri.
Ci sono punti, si diceva l’anno scorso (leggi l’articolo), che sembrano assumere sempre maggior consistenza col passare del tempo, fino a tracciare una mappa progettuale capace di legare un lavoro che, fra nuova scena e territorio, si sviluppa tutto l’anno, fino alla sua densa manifestazione estiva. Si tratta della costruzione di un ambiente, un ecosistema culturale modellato sugli orientamenti della direzione del Festival, ma anche sui profili e le esigenze di tutte le altre persone che vi partecipano, spettatori e artisti insieme.
Prima di tutto, una cura particolare per il rapporto con le geografie circostanti, con la sperimentazione di spazi altri (le pinete, le spiagge, i paesi limitrofi), spesso en plein air, come a segnare una volontà di conoscenza porosa, disponibile ad aprirsi al caso e all’incontro, di farsi esperienza unica e di cogliere l’attraversamento effimero – tipico tanto dei festival che delle località di villeggiatura, com’è Castiglioncello – per convertirlo in spazio abitabile, quando non addirittura abitato. Così, in una lunga tradizione che definisce il Castello Pasquini – strana struttura ottocentesca, un castello appunto, che domina il paese di Castiglioncello, i suoi boschi e il suo mare –, le residenze creative si sono moltiplicate e presentano i loro frutti durante la rassegna, i cui appuntamenti sono quasi tutti legati a questo tipo di contatto preparatorio. Alcuni di questi rapporti, poi, si sono consolidati col passare del tempo: molte sono le presenze che, di estate in estate, tornano a Inequilibrio, ma, complice la vocazione decisamente relazionale del Festival, qui addirittura si incontrano anche nuove forme di collaborazione, come quello che quest’anno ha legato Maurizio Lupinelli e Roberto Abbiati in Carezze o quello che ha permesso di vedere in scena Michele Di Stefano di MK, protagonista della versione “kids” di Joseph di Alessandro Sciarroni. Infine, appunto, il disegno di una programmazione molteplice, in grado di garantire l’accesso a pubblici vari e diversi, con appuntamenti per i più piccini, nuova danza e maestri consolidati, spettacoli di prosa e narrazioni inedite, mostre, incontri, performance urbane.
Nell’edizione 2013, la scelta di spazi all’aperto, poi, proprio sul limitare della vita reale della cittadina di vacanza, delle sue serate di svago, sembra incrinare ancora di più l’idea di teatro come spazio chiuso, separato. Diverse le performance accolte dalla Pineta Marradi: l’Enciclopedia di InQuanto Teatro, costruita quotidianamente con gli abitanti del luogo, una edizione di Folk-s di Sciarroni sul Prato del Cardellino, incorniciata da un tramonto a picco sul Tirreno, le proiezioni cinematografiche all’Arena… Codice Ivan, ad esempio, ha rielaborato per Inequilibrio Tank Talk, progetto di arte pubblica disegnato sui fatti di Piazza Tienanmen del 1989: un giovane, solo, camicia bianca e pantaloni neri, si para davanti a un carro armato e lo ferma. “La rivolta è ormai un atto individuale”, recita la presentazione; ma che succede quando tante, differenti azioni individuali si sommano, si incontrano? Codice Ivan ha riprodotto per diversi giorni i movimenti del giovane cinese, provando a fermare persone e automobili; ne ha fatto una video-installazione in stazione; ha condotto, infine, un laboratorio, che come esito ha rilasciato lungo la Notte Bianca – che qui, naturalmente, è “Blu” – di Castiglioncello, le diverse versioni delle azioni di quel giovane cinese.
Ma gli itinerari possibili per attraversare Inequilibrio, quest’anno, non si fermano qui, all’ecosistema culturale che investe sul rapporto uomo-natura e apre lo spazio separato del teatro alla possibilità di incontri imprevisti; che porta il teatro nelle strade e nelle piazze, sui prati e sulle spiagge, insistendo sulla quotidianità come risorsa drammaturgica inesauribile, sull’incontro fra la grande Storia e le piccole storie di ognuno, sull’arte come opportunità di rielaborazione socio-culturale; ricombinando, insomma, i termini della sempre crescente divaricazione fra estetica e politica nell’unicità dell’itinerario individuale e collettivo di artisti e spettatori.
L’orizzonte si sposta, ancora una volta, se si vanno a tentare di inseguire le numerose relazioni, quest’anno ancora più forti e ancora di più, che il Festival ha intessuto con altre realtà. Si diceva, prima, del rapporto con alcuni artisti, che tornano ogni estate e permettono così al pubblico di seguire, volendo, gli sviluppi del proprio percorso. Caso emblematico, in questo senso, è il rapporto che lega Inequilibrio all’anomalo lavoro pedagogico di Virgilio Sieni, con la sua Accademia sull’arte del gesto: negli anni, il coreografo, ha fatto di Castiglioncello “un laboratorio attivo e unico”, entrando nelle vite (e nelle case) degli abitanti del paese – di straziante bellezza, nel 2011, Cinque nonne (leggi l’articolo), nelle abitazioni di cinque signore del luogo –, o accompagnando gli spettatori nei segreti più profondi del bosco che incornicia il Castello, con I giardinieri e le fatine; di più, qui ha inaugurato inediti percorsi formativi per giovani danzatori il cui lavoro, quest’anno, ha debuttato alla Biennale di Venezia – di cui Sieni è direttore –, per arrivare poi a Livorno, unendo il lavoro delle bambine del Gruppo Cerbiatti a quello delle giovani di Officina Caproni.
Fuori dall’arte performativa in senso stretto, un’altra occasione di incontro con il lavoro pluriennale svolto da Inequilibrio è rappresentanto da Foresta bianca, progetto di Matteo Balduzzi e Stefano Laffi attivo da due anni, “album di famiglia di un territorio” che racconta la storia della zona – ma anche d’Italia – attraverso foto e racconti individuali e va a concludersi quest’anno con un’esposizione a Castello Pasquini e una pubblicazione edita da Quodlibet. Negli anni passati, un gruppo di giovani è andato a incontrare gli abitanti di Rosignano e delle sue sette frazioni, raccogliendo immagini e sguardi, narrazioni e visioni fra vita privata e collettiva, esperienza individuale e dimensione sociale.
Oltre alla dimensione di relazione con artisti e progettualità, l’orizzonte si sposta di nuovo se si osservano i rapporti che Inequilibrio sta costruendo con altre realtà simili: è il caso della scena emiliano-romagnola, con la condivisione di percorsi – già presenti lo scorso anno e oggi formalizzati – con il festival di Santarcangelo e i lavori dei quattro gruppi del progetto Coda (Barokthegreat, Gli Incauti, Menoventi, Orthographe) introdotti dalla redazione di Altre velocità. Emblematico King, lavoro di Strasse: la compagnia ha abitato per diversi mesi le spiagge di Rosignano e arriverà a Santarcangelo dopo aver percorso, a piedi, la strada che separa il Mar Tirreno dall’Adriatico. Se negli anni precedenti la direzione di Andrea Nanni sembrava aver investito con decisione sui rapporti fra festival e territorio, andando a costruire ambienti dagli accessi multipli, capaci di accogliere tanto le diverse forme assunte dall’arte performativa contemporanea che la varietà dei pubblici presenti a Castiglioncello, quello che si può intuire, in questo festival 2013, più che l’ampliamento di una mappa (geografica, socio-politica, artistica), è l’esperienza della messa in opera di un itinerario. Un viaggio, più che una cartografia; un sistema di dinamiche in movimento, più che un’istantanea o un affondo: orizzonti mobili su diversi fronti, che si spostano, assieme al lavoro del festival, a ogni passo compiuto e non.
Roberta Ferraresi
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