programma teatro castrovillari

Francesco Suriano presenta Perché il cane si mangia le ossa

Abbiamo incontrato Francesco Suriano, autore del testo Perché il cane si mangia le ossa, presentato in prima nazionale a Primavera dei Teatri. Lo spettacolo è il viaggio tra reale e assurdo di un uomo del sud che ritorna a Torino dove per anni ha lavorato, ma dove tutti lo scambiano per un nordafricano senza permesso. Un viaggio per ricordare anche coloro che sono morti lavorando alla Thyssen Krupp.

Una bambola per dormire

Recensione a Doll is mineVitamina T/ Le Onde

Doll is mine - foto di Angelo Maggio

Dormire, abbandonarsi ai propri sogni, passare dallo stato cosciente a quello ingovernabile di pensieri, desideri e paure. Nel sonno, in modo del tutto incontrollabile, un aggrovigliarsi di sensazioni al limite tra piacere e terrore esce da un terreno impervio e ignoto, che trae la sua linfa dalla nostra vita quotidiana per tirarne fuori gli aspetti più reconditi e dimenticati. La notte, con i suoi abiti scuri e il suo silenzio, è il momento privilegiato delle angosce e delle fobie che come serpi strisciano fuori dalla zona buia in cui vengono confinate; la notte è quel frammento di tempo in cui l’uomo è solo con se stesso, costretto ad affrontare i propri fantasmi.

Ispirato liberamente ai testi di letteratura giapponese La casa delle belle addormentate di Yusunari Kawabata e Sonno profondo di Banana Yoshimoto, Doll is mine di Katia Ippaso – presentato in prima nazionale al Festival Primavera dei Teatri – affronta un viaggio notturno per mettere in luce situazioni e uomini che in totale panico non riescono a vivere in solitudine questa parte della giornata dove gli spettri ritornano. Proprio per questo, in Giappone, è molto diffusa la professione di “accompagnare i clienti nel sonno”: nel Palazzo delle belle addormentate alcune fanciulle dormono con uomini che si abbandonano totalmente a delle sconosciute pur di riuscire a godere di momenti di calma. Una calma apparente, poiché è impossibile, come sottolinea la protagonista durante lo spettacolo, «tranquillizzare degli uomini posseduti dalla morte».

La sanguigna Cinzia Villari dà vita, sotto la guida registica di Lorenzo Profita, a un monologo intenso, che alterna momenti di pura dolcezza ad attimi di tensione, dati dall’avvicendarsi degli incontri che vengono narrati, casi di uomini affascinanti che vivono tra la veglia e il sonno o casi di psicopatici che tentano anche di commettere un omicidio o violenza sessuale. Accompagnata in scena dal sassofono e clarinetto di Michele Villari e dalla fisarmonica midi di Roberto Palermo, che hanno la capacità di aumentare il carico emotivo intrecciandosi alle parole dell’attrice, Cinzia Villari fa vibrare delle corde interne dello spettatore grazie a un testo pieno di poesia e che lascia, soprattutto nella parte iniziale, una estrema dolcezza.

Visto a Primavera dei Teatri, Castrovillari

Carlotta Tringali

L’Italia s’è desta – Teatro delle Donne

02.06.2010 Castrovillari, Festival Primavera dei Teatri. Commenti a caldo del pubblico dopo lo spettacolo L’Italia s’è desta di Stefano Massini / Teatro delle Donne

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Doll is mine – Vitamina T/le onde

02.06.2010 Castrovillari, Festival Primavera dei Teatri. Commenti a caldo del pubblico dopo lo spettacolo Doll is mine di Katia Ippaso

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Italia di ieri e di oggi

Recensione a Sapore di sale Centro Internazionale Arti Contemporanee e l‘Italia s’è desta Teatro delle donne

Sapore di sale, del Centro Internazionale Arti Contemporanee, voleva essere uno spaccato sull’Italia degli anni Sessanta. Voleva parlare di una tematica difficile, quella del boom economico e di tutte quelle storie di uomini che dal Sud Italia salgono al Nord per lavoro, e voleva farlo in modo leggero.

Poche battute pronunciate in un materano quasi incomprensibile raccontano la storia di Roberto, un pastore, che dopo aver perso il suo gregge va a Torino per lavorare alla Grande Fabbrica. Una scena vuota su fondale bianco fa da scatola agli elementi – sedie, tavolo, macchinine, pecore che di volta in volta popolano il palco. Gli attori si muovono nello spazio comunicando con brevi scambi di battute, il vero dialogo è quello dei corpi che si spostano in scena precisi disegnando un immaginario del Sud contadino in cui fanno irruzione intermezzi danzati vicini al musical. Un contrasto continuo tra la realtà popolare e la modernità che avanza. L’immagine è curata, fin nei minimi particolari: i costumi di stampo naturalistico trasportano lo spettatore in pieni anni Sessanta. La scrittura scenica è minimale e a volte prevedibile: qualche battuta, coreografie anni Quaranta su musiche evergreen e poi buio, e così via. Nella sua semplicità lo spettacolo scorre lentamente, ottanta minuti ad un ritmo costante e scandito dai cambi di scena che risulta essere ripetitivo. Nonostante tutto c’è da riconoscere che parte del pubblico è rimasta affascinata dalle atmosfere, divertita dalle coreografie hollywoodiane, forse colpita da una tematica che la tocca nel profondo.

Di tutt’altro stampo L’Italia s’è desta. Scritto da Stefano Massini e interpretato dal Teatro delle Donne, il testo-indagine tratto direttamente dalla cronaca italiana, è un catalogo sull’Italia del 2010. Se sfogliassimo le pagine dei giornali ritroveremmo, uno per uno, tutti i fatti di cui testimonia questo intensissimo spettacolo che, diviso in 21 capitoli — uno per regione — ripercorre i più crudi, cruenti, sconcertanti e assolutamente veri fatti di cronaca locale. Dai cinesi in affitto nelle fogne di Milano, agli effetti delle onde di radio vaticana, agli operai tritati nei mattatoi tecnologici.

Il testo, pronunciato con ritmo serrato dai tre attori seduti al tavolo in stile telegiornale, arriva alle orecchie del pubblico diretto e implacabile; impossibile soffermarsi sui particolari, l’importante è la notizia trasmessa con ironico sarcasmo che non lascia via di scampo. Bravi gli attori nel sostenere un testo così concentrato, forse un po’ lungo per un pubblico che arriva alla fine decisamente provato ma contento e soddisfatto. Un lavoro importante che getta la coscienza dello spettatore in pasto alle contraddizioni del proprio Paese. Fin dove ci si può e vuole riconoscere come italiani, e quanto si può amare il proprio Paese a queste condizioni? Domande che sorgono spontanee ogni volta che tra un capitolo e l’altro viene mandato l’inno d’Italia nelle sue mille versioni. Un quadro, quello dipinto da Massini che non ha pietà per nessuno ma, come recitano le note di regia «il pozzo è autentico», è tutto vero. Se solitamente si è abituati a cambiare canale quando si ascolta l’infinita lista della cronaca nera, quest’opera costringe lo spettatore di fronte alla cruda e tragicomica realtà. Dopo un fiume di parole l’Italia trova la sua estrema rappresentazione in tre maiali con la maglietta della nazionale.

Visto al Festival Primavera dei Teatri, Castrovillari

Camilla Toso

Ricordi, quelli che (non) restano

Recensione a Variazioni sul modello di KraepelinQuellicherestano

Variazioni sul modello di Kraepelin

Dimenticare chi si è, cancellare dalla mente le persone con cui si è condivisa una vita, non ricordare più nessuna delle vicende accadute durante l’arco di un’esistenza, ma avvicinarsi ogni giorno sempre più al vuoto, al nulla, all’oblio. Con Variazioni sul modello di Kraepelin l’autore Davide Carnevali consegna alla scena un testo che mette in luce una malattia molto diffusa, soprattutto tra gli anziani, a cui non c’è cura: il morbo di Alzheimer, una demenza che trascina a una lenta morte, a uno spegnimento del cervello che non riesce più a trattenere alcuna informazione, alcun ricordo. Senza alcuna pateticità la compagnia Quellicherestano, diretta da Fabrizio Parenti, presenta con accuratezza e con grande efficacia un testo denso, in cui la verità sfugge non solo al protagonista affetto dalla terribile patologia, ma anche al figlio che lo assiste e allo stesso dottore Kräpelin che segue il progredire della malattia. Non c’è alcuna certezza sulle vicende accadute in un passato che va svanendo, ma solo continui spostamenti di ricordi: l’ammalato, interpretato da un impeccabile Alberto Astorri, cambia identità appropriandosi ogni volta di un particolare differente e mettendo sempre in discussione il rapporto con il figlio, un bravo Walter Leonardi, che diventa per le diverse situazioni sergente, padre o ragazzo. Fabrizio Parenti, oltre essere il regista di questo accurato ed emozionante spettacolo, veste i panni di un dottore particolare, Kräpelin: se nella storia è stato uno dei più grandi psichiatri tedeschi, collega di Alzheimer, qui diventa un medico con metodi di cura in continua variazione, da adottare di fronte a una persona che va annullandosi.

Variazioni sul modello di Kraepelin

In scena frammenti di vite in cui la verità, invocata nei momenti di lucidità del protagonista, continua a scivolare, tra una memoria e un’immaginazione che si confondono creando una realtà altra, forse vera o forse solamente sognata. Non c’è alcuna tragicità dichiarata in questo dramma, di fronte a una persona che «dorme in piedi e che muore nel sonno», ma un forte straniamento, complice anche un’atmosfera surreale che ritorna nei diversi momenti dello spettacolo: una partita a carte che si trasforma in una disperata scena dove i tre attori cantano urlando e contorcendosi, o una persona vestita da coniglio che corre verso l’ammalato in abiti da donna. Come se all’improvviso lo spettatore piombasse nella mente malata di chi si appropria di frammenti di vita appartenuti ad altre persone pur di avere dei ricordi: fondamentali affinché un uomo abbia un’identità e sappia chi sia. In fondo la propria esistenza è la somma di quello che si è fatto; senza ricordi non si è più nessuno.

Visto a Primavera dei Teatri, Castrovillari

Carlotta Tringali

Il rito che divide di Borrelli

Recensione a S.E.P.S.A. Spettatori all’Esequie di Passeggeri Senz’Anima – Marina Commedia Società Teatrale

S.E.P.S.A.

Come i binari di una ferrovia, due storie, l’una avvenuta il 19 luglio del 2008 e l’altra il 26 maggio dell’anno successivo, scorrono parallele nel poema S.E.P.S.A. Spettatori all’Esequie di Passeggeri Senz’Anima che Mimmo Borrelli dedica all’indifferenza per la fatale morte di Violetta e Cristina Ebrehmovich – due piccole rom morte annegate nel mare di Torregaveta – e di Petru – ragazzo rumeno ucciso per errore, sotto l’occhio delle telecamere di sorveglianza, in una sparatoria camorrista alla stazione di Montesanto. Due luoghi che sono capolinea di una tratta che il drammaturgo conosce bene; due storie che indignano: corpi scavalcati come se non avessero valore, salvo poi essere rivalutati e fagocitati da giornalisti che, direbbe Gaber, si buttano «sul disastro umano con il gusto della lacrima in primo piano».

Pensato per essere rappresentato – o meglio celebrato – in un vagone ferroviario, per Primavera dei Teatri, Marina Commedia Società Teatrale (insieme allo stesso Borrelli, Dario Barbato, Floriana Cangiano, Gennaro Di Colandrea, Roberta Misticone e Michele Schiano di Cola) ha abitato la fatiscente  e suggestivamente appropriata sala d’attesa dell’Autostazione di Castrovillari. Sotto la fredda luce dei neon che non lascia zone d’ombra, gli spettatori non sono chiamati ad assistere a uno spettacolo ma a partecipare a un vero e proprio rito collettivo, funereo e tragico, straziato e urlato fin dalle prime battute per poi correre su questo binario esasperato e profondamente partecipato per tutto il viaggio dello spettacolo.  Un viaggio faticoso per gli attori che, chiamati a impersonare personaggi marginali ed emarginati di una società distratta, colpiscono per convinzione, presenza, partecipazione e credibilità, non risparmiandosi mai.

S.E.P.S.A.

In un napoletano in versi che contribuisce alla costruzione di un ritmo quasi liturgico, coadiuvato dalle belle sonorità eseguite dal vivo da Antonio della Ragione, Placido Frisone e Francopaolo Perreca, la commemorazione scorre incalzante proprio come un treno lanciato in corsa: rare sono le soste sommesse, all’interno di un lavoro che sembra partire, fin da subito, da un picco tragico, fatto di strazio esacerbato e quasi smodato, privilegiando una tensione e compartecipazione sostenute per tutto il lavoro rispetto ad un andamento in crescendo. Una scelta coraggiosa, a dimostrazione dell’adesione sincera della compagnia alle storie che hanno deciso di ricordare, per un lavoro che, però, proprio per questo, può risultare a tratti eccessivamente urlato, intemperante, al limite quasi della sopportazione emotiva per un pubblico assalito da quest’onda travolgente di disperazione e dolore. S.E.P.S.A. Spettatori all’Esequie di Passeggeri Senz’Anima non è un climax, ma un’iperbole rituale che può sconvolgere in un vortice di emozioni lo spettatore come anche infastidirlo. Un rito collettivo pensato per avvolgere e coinvolgere il pubblico prima di tutto nella sua compresenza scenica e nella recitazione a lui diretta, che non prevede zone grigie: o vi si entra, o se ne resta fuori. Da una parte la possibilità di lasciarsi trascinare totalmente in un turbine di commozione, dall’altra il rischio di una percezione distratta e irritata per dei toni sentiti come esagerati, che allontanano anziché avvicinare. Un lavoro che nel suo essere eccessivo fa convivere in sé due forze opposte, l’una centripeta e l’altra centrifuga, dividendo inevitabilmente il pubblico tra emozione e sconcerto. D’altronde è il rischio e la bellezza di tutte le liturgie: per chi riesce a lasciarsi trasportare sono momenti di  pathos estremi e profondi, per chi non si sente coinvolto sembrano manifestazioni eccessive, magari retoriche e probabilmente tediose.

Visto a Primavera dei Teatri, Castrovillari

Silvia Gatto

E se ESSE avesse detto

Recensione a ESSEDICE – I Sacchi di Sabbia

Se mio padre morisse. Non è un interrogativo. Tutte le vite finiscono, e l’unica cosa che resta è il nostro modo di ricordare qualcuno, di sentirlo ancora vicino.

ESSEDICE è questo. Lo spettacolo è stato tratto da S. di Gipi (Gianni Pacinotti), fumetto ispirato alla figura del padre – Sergio appunto – e proprio come il fumetto è un modo per ricordare, un modo per guarire da quella «malattia da cui sono affetti gli esseri umani che è subire lo scorrere del tempo».
Un uomo e una scatola. Gipi e quello che resta delle ceneri di suo padre. È da qui che parte la narrazione; narrazione, ma in realtà non è la storia della vita di ESSE, ma sono le sue storie: ricordi che ESSE raccontava in continuazione, mille volte a tavola, in macchina, tra amici e parenti. Episodi che cambiano col tempo, dai contorni sfocati come un acquarello. Il racconto non inizia con “c’era una volta”. Non è una storia al passato ma bensì al presente. «Esse dice che la guerra… Esse dice come si pesca… Esse dice che che si è rotto le palle di stare al mondo». In scena Gipi con una scatola di cartone tra le mani, un feticcio che non smette di torturare. Seduto con un sorriso incerto tra l’imbarazzato e l’ironico, parla di ESSE. Dietro di lui si materializzano personaggi stilizzati – la famiglia di Gipi e Gianni stesso quand’era bambino – rivivono in scena, grazie alle maschere di Ferdinando Falossi: un passaggio quello dal fumetto alla scena, che grazie all’arte della maschera, risulta semplice ed efficace. La maschera riporta in vita i morti che, come nell’antica Grecia, parlano ai vivi. Un incontro commovente e sincero.

L’ora di spettacolo scorre veloce, la struttura è semplice, la presenza scenica del narratore è forte e carismatica, gli attori reggono un ritmo scenico scandito. Il tratto incerto e stilizzato del fumetto si trasforma in movimento, l’immagine acquarellata della carta prende forma e si sfuma in scena dietro tulle che ricordano le pagine bianche dell’illustrazione. La regia de I Sacchi di Sabbia è leggera e perspicace nel lasciare libero spazio al narratore. Gianni Pacinotti non interpreta un personaggio. Non è un attore, è la parte della storia che ancora persiste. Ecco allora che il suo stare in scena è una continua improvvisazione sui ricordi o piuttosto sui sentimenti. Questa libertà in scena dona freschezza ad uno spettacolo che ogni sera è diverso, che diverte il pubblico e lo commuove.

Visto a Primavera dei Teatri, Castrovillari

Camilla Toso

Stefano Massini presenta L’Italia s’è desta

Abbiamo incontrato Stefano Massini autore del testo L’Italia s’è desta, evento speciale in scena stasera a Primavera dei Teatri di Castrovillari. Diretto da Ciro Masella e con Daniele Bonaiuti, Luisa Cattaneo e lo stesso regista, lo spettacolo è un viaggio grottesco tra tutte le assurdità e le contraddizioni tratte dalla cronaca di un’Italia che si prepara a festeggiare il 150° all’Unità.

Katia Ippaso presenta Doll is mine


L’autrice Katia Ippaso parla di Doll is mine testo scritto per Cinzia Villari, attrice in scena stasera allo spettacolo presentato al Festival Primavera dei Teatri in prima nazionale. Ispirandosi al Giappone e alla sua letteratura, in particolare a Kawabata e Yoshimoto, Doll is mine diretto dalla regia di Lorenzo Profita è un monologo poetico che attraversa la notte.