spettacoli primavera dei teatri 2011

10 Domande a… Renato Nicolini


Renato Nicolini

Incontriamo i registi presenti al festival Primavera dei Teatri per rivolgere le nostre “10 Domande a…”. Uno scambio di battute brevi ma prettamente significative per conoscerli meglio. Risponde Renato Nicolini, co-regista insieme a Francesco Suriano di La Brocca rotta a Ferramonti presente a Primavera dei Teatri.

 

 

 

1. Come definirebbe il suo/vostro teatro?
Quello mio e di Francesco Suriano è un teatro fatto di curiosità e di memoria

2. Che cos’è il teatro di ricerca?
Cambia sempre, la caratteristica del teatro di ricerca è proteiforme. Negli Anni ’70 la conquista del teatro di ricerca è stato il teatro immagine; oggi il teatro di ricerca va sia nella direzione di gruppi come Ricci/Forte (e può interessare anche chi non è mai stato a teatro) o, come è il caso del nostro spettacolo, verso quella di introdurre nel teatro di parola dei forti momenti di teatro immagine (come ad esempio ne La Brocca rotta a Ferramonti ci sono momenti in cui l’ispirazione visiva sembra Raffaello, Caravaggio). Si cambia sempre, credo sia la natura del teatro: quando il teatro pensa di avere uno statuto definito significa che il teatro va via

3. Come lo spiegherebbe ad un profano?
In questo stesso modo. Posso raccontare una mia esperienza: per anni ho amato molto poco il teatro, poi ho visto una volta Remondi e Capirossi che mettevano in scena Cottimisti e ho capito che c’era un altro modo di fare teatro dove la cosa importante non è il testo, che interessa il lettore, ma è il modo di abitare la scena. Il teatro di ricerca ha la sua dimensione sulla scena, la scrittura non esiste in realtà prima della messinscena

4. La Brocca rotta a Ferramonti in una frase.
Un gruppo di internati mette in scena Kleist. Il testo di Kleist ha una caratteristica: è la rappresentazione di un mondo che fa dell’assenza di verità il proprio fondamento proprio come il nazismo

5. Che cos’è per lei Primavera dei Teatri?
Un piacevole appuntamento sul finire della Primavera, quando già arriva l’estate e quindi è una promessa di sviluppi… Per la verità si promettono sempre questi sviluppi ma gli assessori di turno non colgono mai queste possibilità, sono molto deludenti. Diciamo che è un palcoscenico mancato per gli assessori alla cultura della Regione Calabria e un luogo molto piacevole per chi ama il teatro

6. Se la sua vita fosse uno spettacolo teatrale chi sarebbe il regista?
Io

7. Lo spettacolo che le ha cambiato la vita?
Cottimisti di Remondi e Capirossi

8. Uno scrittore che metterebbe in scena o a cui chiederebbe di scrivere una drammaturgia per lei?
Francesco Suriano l’ho già preso (ride, ndr) e glielo richiederei un’altra volta

9. Potendo scegliere: teatro come sede della compagnia o nomadismo?
Sono due belle opzioni ma credo il teatro come sede della compagnia, perché avendo una sede uno può anche andarsene

10. Quali sono le possibilità che il teatro possiede e che lo fa essere un’arte fondamentale?
Il teatro possiede tutte le possibilità. In fondo il mito del teatro è Eschilo: a parte la storia della tartaruga, Eschilo era regista e attore dei suoi spettacoli ed era una persona che aveva molta influenza nell’Atene di Pericle perché allora il teatro era anche una forma politica, era perfetto; poi da allora siamo andati sempre peggio

 

Biografia di Renato Nicolini
Conosciuto per l’Estate Romana, Renato Nicolini esordisce in teatro con Leo De Berardinis in Udunda Indina (1981). Tra i suoi testi rappresentati Addio D’Artagnan (L’Aquila, 1987, regia di Mario Missiroli) e Tre Veleni Rimesta e l’Antidoto Avrai (Villa Medici, 4 luglio 1989). Patria e Mito sarà rappresentato il 29 giugno al Festival di Spoleto, per la regia di Ugo Gregoretti. Ha diretto Volterrateatro dopo Vittorio Gassman nel 1987 e 1988; è stato Commissario dello Stabile dell’Aquila dal 1997 al 2000. Dal 2002 dirige assieme a Marilù Prati il Laboratorio Teatrale “Le Nozze” dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. (Biografia gentilmente concessa da primaveradeiteatri.it)

10 Domande a… Roberto Bonaventura


Roberto Bonaventura

Incontriamo i registi presenti al festival Primavera dei Teatri per rivolgere le nostre “10 Domande a…”. Uno scambio di battute brevi ma prettamente significative per conoscerli meglio. Risponde Roberto Bonaventura presente a Primavera dei Teatri con Patri I’ famigghia.

 

 

 

 

 

1. Come definirebbe il suo teatro?
In continuo movimento, in continua ricerca per essere il più popolare e il più coinvolgente possibile, cercando di coinvolgere tutti ma mantenendo un lavoro di un certo tipo con l’attore, anche di crescita, che parallelamente deve riguardare noi che facciamo teatro, l’attore che sta in scena e il pubblico. Il più possibile in movimento cercando di arrivare sempre più avanti

2. Che cos’è il teatro di ricerca?
Non mi piace parlare di “teatro di ricerca” perché sembra che sia una categoria precisa quando in realtà è una varietà talmente ampia… Però per me il teatro di ricerca è cercare di unire il più possibile l’attore e la compagnia con lo spettatore; cercare di fare arrivare il messaggio a più gente possibile. Quindi per fare questo bisognerebbe tornare quasi sulle strade per parlare con la gente. Il teatro dovrebbe essere una strada, una piazza in cui poter coinvolgere tutti. Non mi piace creare barriere e differenziazioni, mi piacerebbe rendere protagonista la gente in modo che si riconosca e che segua bene. Il teatro di ricerca per me è cercare sempre di più di avvicinare la gente

3. Come lo spiegherebbe ad un profano?
Non c’è un palcoscenico, ma c’è una piazza e dobbiamo quindi cercare di coinvolgere la gente, di non farla scappare. Dobbiamo fare in modo di creare l’attenzione. Il teatro dovrebbe essere una piazza, dovrebbe aprirsi un po’ di più, mantenendo comunque situazioni belle che ci sono in teatro, come le luci. Ma le immagini servono comunque a far sì che lo spettatore si senta coinvolto

4. Patri I’ famigghia in una frase.
C’è una frase del testo che può riassumere lo spettacolo: Non avemu patri, non semu patri! Sulu figghi sapemu essiri. L’impossibilità di essere veramente padri ma restare sempre figli. Non riuscire ad emergere da una situazione di confusione che si crea per la mancanza di un grande capo, il padre di uno dei tre cugini

5. Che cos’è per lei Primavera dei Teatri?
È
uno di quei pochi festival rimasti in cui vai veramente per fare teatro perché oramai ci sono intorno al teatro tante cose che un po’ confondono rispetto al vero motivo per cui lo si fa. Il teatro dovrebbe essere fatto in posti come questo dove vengono comunque gli addetti ai lavori ma anche la gente del paese; dove si crea un’attenzione attorno al teatro di un certo tipo che risveglia le coscienze

6. Se la sua vita fosse uno spettacolo teatrale chi sarebbe il regista?
Io faccio il regista, ma il regista deve essere uno che stimola gli attori e fa nascere le cose da loro. Quindi nella mia vita non ci sarebbe un regista a parte un’entità superiore a noi che magari ci muove ma sarebbe più una regia collettiva

7. Lo spettacolo che le ha cambiato la vita?
L’Ubu Re di Beppe Randazzo che ho visto quando avevo sei anni. Era giocato tutto sulle improvvisazioni, loro recitavano abbassati sulle ginocchia, sembravano tante palle che camminavano. Poi quando sono diventato grande, gli spettacoli di Leo de Berardinis mi hanno spostato la visione del teatro

8. Uno scrittore che metterebbe in scena o a cui chiederebbe di scrivere una drammaturgia per lei?
Beniamino Joppolo, che è un autore di Patti, in provincia di Messina che è morto a Parigi negli Anni ’60; è poco conosciuto in Italia ma ha scritto una cinquantina di atti unici mai rappresentati tranne qualcuno. Mi sarebbe piaciuto lavorarci, però… Io comunque continuo a lavorarci. È attualissimo e sposa bene la mia visione del teatro

9. Potendo scegliere: teatro come sede della compagnia o nomadismo?
Avendo coraggio fino in fondo nomadismo

10. Quali sono le possibilità che il teatro possiede e che lo fa essere un’arte fondamentale?
Quella che ha il contatto con la gente; quella che puoi sempre cambiare, puoi sempre cambiare un’intenzione, puoi sempre essere diverso. E poi ha la caratteristica che ti fa sentire vivo. Il teatro ti dà la possibilità di guardare negli occhi e quando guardi negli occhi puoi fare veramente magie

 

Biografia di Roberto Bonaventura
Inizia a lavorare in teatro nel 1996 come aiuto regista di Ninni Bruschetta con il quale collabora fino al 2002. Collabora stabilmente con la compagnia Scimone Sframeli (La Busta e Pali). A novembre del 2002 debutta nella regia al Teatro S. Leonardo di Bologna con il monologo Oratorio. Nel 2003 fonda l’associazione culturale Il Castello di Sancio Panza, della quale è direttore artistico. Dal 1999 al 2007 lavora nell’organizzazione del Festival Santarcangelo dei Teatri. Dal 2007 dirige una serie di laboratori con Universiteatrali e il progetto Officina Performativa del Teatro di Messina. Dopo lo spettacolo Oratorio, con la sua regia ricordiamo: La leggenda di Colapesce, Il testamento di Don Chisciotte tratto da Cervantes, Metamorphoseon libri XI da Apuleio, Mamma. Piccole tragedie minimali di Annibale Ruccello, I Microzoi di Beniamino Joppolo. Realizza con la sua compagnia anche spettacoli di Teatro ragazzi tratti dalle tradizioni popolari, da Ende, Cervantes e altri autori. (Biografia tratta da Patri I’ famigghia di Dario Tomasello, edito da E.A.R. “Teatro di Messina”)

10 Domande a… Leonardo Gambardella


Incontriamo i registi presenti al festival Primavera dei Teatri per rivolgere le nostre “10 Domande a…”. Uno scambio di battute brevi ma prettamente significative per conoscerli meglio. Risponde Leonardo Gambardella presente a Primavera dei Teatri con Un italiano a Macondo.

 

 

 

 

1. Come definirebbe il suo teatro?
Un teatro di ricerca intesa anche a ritrovare le radici della storia. Un teatro a servizio del racconto

2. Che cos’è il teatro di ricerca?
È un’avventura in cui bisogna avere il coraggio di partire senza sapere dove si va a parare. Bisogna avere il coraggio di liberarsi da tutte le convenzioni, le sovrastrutture.

3. Come lo spiegherebbe ad un profano?
È un teatro molto interessante, molto curioso, a cui bisogna approcciarsi con una grande disponibilità

4. Un Italiano a Macondo in una frase.
La ricerca di questo luogo dell’anima che è dentro ognuno di noi

5. Che cos’è per lei Primavera dei Teatri?
È una festa bellissima dove ritrovare tanti amici. Ormai sono 4 anni che vengo qui e ne sono contentissimo

6. Se la sua vita fosse uno spettacolo teatrale chi sarebbe il regista?
Sarei io il mio regista

7. Lo spettacolo che le ha cambiato la vita?
I giganti della montagna di Strehler

8. Uno scrittore che metterebbe in scena o a cui chiederebbe di scrivere una drammaturgia per lei?
Luigi Malerba

9. Potendo scegliere: teatro come sede della compagnia o nomadismo?
Teatro come sede della compagnia

10. Quali sono le possibilità che il teatro possiede e che lo fa essere un’arte fondamentale?
La libertà di poter far vedere qualsiasi cosa, di poter raccontare qualsiasi storia; è una libertà infinita che coltiviamo e che va coltivata, che lo rende affascinante

 

Biografia di Leonardo Gambardella
Dopo essersi diplomato all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma, ha completato la formazione studiando a Londra (Actor’s Centre) e a New York (The Linklater Center for Voice and Language). Lavora come attore di prosa alternando esperienze di teatro classico e spettacoli di ricerca nei “teatri off” romani dove ha lavorato con i registi: Fortunato Cerlino, Alessandro Fabrizi, Massimiliano Civica. Nel 2004 ha vinto il premio “originalità ed efficacia” con il monologo Fotografia assoluta. Dal 2006 presenta Duke Duet, prodotto dal Peperoncino Jazz Festival, incontro tra teatro e musica jazz, per raccontare il genio di Duke Ellington dal punto di vista di un italo-americano che torna al suo paese in Calabria. (Biografia gentilmente concessa da primaveradeiteatri.it)

Con Radio Argo Mazzotta dà voce all’Orestea

 

foto di Pietro Scarcello

Tragedia greca della vendetta, LOrestea arriva da lontano, è un racconto che supera le barriere del tempo e parla di uomini sottomessi agli dei e a quel destino beffardo che ha portato i protagonisti a una serie sterminata di uccisioni. Il tempo passa e nella Storia dell’uomo avviene lo strappo nel cielo di carta di cui parlava Pirandello ne Il fu Mattia Pascal: la figura di Oreste, il matricida vendicatore del padre Agamennone, si trasforma in un moderno Amleto, un uomo responsabile delle proprie azioni e non più guidato dal fato. Ci si chiede che cosa rimanga oggi della casa degli Atridi, della sete di potere causa di una distruzione in cui il corpo, schiacciato dal peso della colpa, non riesce a reggersi in piedi.
Potrebbe essere un radiodramma Radio Argo – spettacolo prodotto dal Teatro Rossosimona – riscrittura densa, personalissima e di acuta intelligenza del poeta napoletano Igor Esposito. L’intera tragedia passa qui attraverso i pensieri dei singoli personaggi: è la soggettività di ognuno a mandare avanti l’intricata tela del destino. Uno strepitoso Peppino Mazzotta, l’attore calabrese volto noto della televisione italiana, interpreta i vari protagonisti della trilogia greca: è la voce alla radio che accompagna gli ascoltatori nelle loro notti insonni; ma è anche la rievocazione profonda di chi ora da fantasma rivive le vicende di una storia macchiata di crimini passati, dentro cui è possibile trovare tracce del potere insignificante e amorale di oggi.

foto di Pietro Scarcello

Nella scena di Angelo Gallo, costituita da piccole “stazioni foniche” e allo stesso tempo funebri (allestite con fiori, candele e microfoni), il regista-attore Mazzotta si sposta a fatica, con una sedia a rotelle, creando un’atmosfera straniante, dove l’amplificazione vocale segue una spazializzazione precisa, inquietante e poco rassicurante. In questa tragedia non si cammina con le proprie gambe: ecco che la mano del destino muove tutti i personaggi, bloccati su delle carrozzine o costretti a sostenersi con le stampelle. È un fantasma la prima vittima, un’Ifigenia vestita con impermeabile rosso e tacchi alti, che si regge in piedi in modo difficoltoso: il suo sacrificio dà il via all’onda distruttrice del Cielo e alla concatenazione di vendette. E così Mazzotta presta la voce a un apatico Egisto e una spaventata Clitemnestra: l’amante della regina è l’unico a parlare in dialetto; è infatti anche l’unico a giustificare una donna a cui è stata ammazzata la figlia e che ha in fondo il diritto di vendicarsi sul marito, un Agamennone mandante del sacrificio. Se Clitemnestra è stata sempre vista con gli occhi di Oreste, come colei che ha ucciso il padre, il re, qui la drammaturgia di Esposito la rende per un tratto più umana nei versi pronunciati da Egisto: «Tu Agamennone lo devi scannare perché non ti ha fatto sapere come sarebbe stato». Non ha visto crescere la sua bella figlia e il re, una sorta di dittatore che sputa a una platea di uditori delle sentenze spietate, si giustifica a suo modo dicendo che «la ricchezza si paga con l’innocenza». Solo Oreste, in battuta finale, rifiuta quel potere: diventa uomo responsabile, si libera dal dominio degli dei e in piedi, rimasto solo con i suoi fantasmi, esprime il suo disperato canto, contro una verità che ha cercato senza trovare, contro una cultura svuotata di significato. Ecco che l’attualità politica irrompe nel bellissimo testo di Esposito: ci si chiede se si è disposti a sacrificare l’innocenza o la stessa vita per avere ricchezza e supremazia. Oreste si libera del potere del fato; decide di andarsene e di ribellarsi lasciando il dominio che gli spetterebbe poiché in fondo «a governare preferisce il rumore del mare».

Visto a Primavera dei Teatri, Castrovillari

Carlotta Tringali