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Contrappunti a Padova – autunno 2012

«Contrappunti, nella sua sezione autunnale, non si realizza quest’anno al Teatro delle Maddalene. E’ la prima volta dal 1995. Cause di forza maggiore hanno infatti imposto a Tam di scegliere tra due prospettive: non fare o fare altrove. Consci di ciò che significhi, per artisti e spettatori, rinunciare (si spera, temporaneamente) a quel formidabile punto di riferimento che è il Teatro delle Maddalene, abbiamo progettato Contrappunti senza fissa dimora, chiedendo ospitalità in luoghi diversi della città.

Ci auguriamo che questa decisione crei sorprese positive e ci conduca a condividere esperienze inedite capaci di rendere Contrappunti non solo il momento d’incontro di una comunità con l’arte performativa, ma anche l’occasione per riflettere.
Riflettere su cosa significhi la chiusura di uno spazio nel quale incontrarsi, nel quale riconoscersi. Riflettere sulla mancanza. E sulla bellezza di abitare un luogo da cui prendono vita pensieri e azioni.
Il nomadismo è un atteggiamento nobile. Quando è una scelta.
Ma in questo presente, già così avaro di punti di riferimento, senza una dimora che ci dia radici non corriamo il rischio di perdere del tutto l’orientamento?
E se invece fosse che, guardando altrove, si riesca a intravedere un diverso orizzonte? Ignoto fino a quel momento, sì, ma non inerte. Si paleserebbero forse nuove direzioni? Nuovi impulsi?
Domande aperte. In movimento. Seguiteci e, buon viaggio a tutti!»

Tam

La rassegna è ideata da TAM Teatromusica e promossa insieme all’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova, Arteven-Regione del Veneto, con il sostegno del Ministero per i Beni e le attività culturali e in collaborazione con il Consiglio di quartiere 4 e 5 del Comune di Padova e la Fondazione Hollman.

PROGRAMMA AUTUNNO 2012

dal 22 al 25 novembre, Fornace Carotta
Progetto Cecità – condiVisioni
in collaborazione con Fondazione Hollman e C. di Q. 5 Sud Ovest Comune di Padova
un ringraziamento a Punto Giovani Toselli – Ufficio Progetto Giovani

Il progetto artistico si articola in:
LABORATORIO “Cecità” a cura di Corrado Calda
ESPOSIZIONE FOTOGRAFICA Un incontro di sguardi: tra visione ed ipovisione attraverso la fotografia a cura di Silvia Tiso (scarica la presentazione)

La mostra Un incontro di sguardi: tra visione ed ipovisione attraverso la fotografia è il risultato di un progetto fotografico sperimentale che vede protagonista una ragazza gravemente ipovedente: vinta l’apparente inconciliabilità tra il mezzo espressivo e la necessità di uno “sguardo”, l’obiettivo raggiunto è creare un ponte tra due diversi modi di percepire e sentire la realtà attraverso la comunicazione visiva. E dedicato al tema della cecità, non solo fisica ma anche emotiva e relazionale, così spesso presente nella società di oggi, è anche il seminario teatrale “Cecità”, ispirato all’omonimo romanzo dello scrittore portoghese José Saramago. Il laboratorio ricostruirà una “microsocietà cieca” per indurre i partecipanti, muniti di benda agli occhi, a una profonda esperienza sensoriale in cui “ascolteranno” il buio e saranno chiamati a interagire tra loro.

lunedì 10 e martedì 11 dicembre ore 21:00 Fronte del Porto, Padova
Tam Teatromusica / Teatro Carcere TUTTO QUELLO CHE RIMANE
ideazione e direzione Michele Sambin
con Pierangela Allegro, Loris Contarini, Claudia Fabris, Alessandro Martinello, Michele Sambin
testi tratti da Tutto quello che rimane, Pierangela Allegro, ed. Eldonejo, 1995
in video i detenuti-attori del progetto Tam Teatrocarcere 1992/2012

a Claudio Meldolesi

Tutto quello che rimane è un’opera performativa dove la memoria agisce come drammaturgo e la composizione si rivela come unica forma possibile per raccontare.
La prima mossa è stata riattraversare gli spettacoli creati con i detenuti-attori. Trarne gesti e parole, immagini video e suoni per poi ricomporre i materiali scelti senza seguire una cronologia, ma lavorando su assonanze, accostamenti, sovrapposizioni, motivi ricorrenti.
Affidandoci a questa attenta ricomposizione, abbiamo sperimentato la possibilità di mettere in scena un intenso percorso di arte e vita durato 20 anni, nel tentativo, ci auguriamo riuscito, di storicizzarlo restituendolo in forma d’arte poetica.
In scena cinque performer-testimoni dialogano con le immagini video. Fanno risuonare parole. Compiono azioni lievi. Ascoltano e osservano così come sono chiamati a fare gli spettatori in sala.
Creare Tutto quello che rimane è stata una gioia.

Nelle parole che seguono, di P.P.Pasolini, c’è qualcosa che ha a che fare con l’idea che ci ha guidato in questo lavoro.
Facciamo nostre le sue parole con l’avvertenza di due sostituzioni: libro con spettacolo e lettore con spettatore.
La ricostruzione di questo spettacolo è affidata allo spettatore. È lui che deve ricongiungere passi lontani che però si integrano. È lui che deve organizzare i momenti contraddittori ricercandone la sostanziale unitarietà. È lui che deve eliminare le eventuali incoerenze (ossia ricerche o ipotesi abbandonate). È lui che deve sostituire ripetizioni con le eventuali varianti (o altrimenti eccepire le ripetizioni come appassionate anàfore).
P.P.Pasolini, nota introduttiva a Scritti Corsari, ed Garzanti, 1995

Schegge della scena contemporanea: al via Contrappunti 2011/12

È stata presentata venerdì 2 dicembre la stagione del Teatro delle Maddalene di Padova, lo spazio che da ormai sedici anni è animato da Tam Teatromusica e che propone eventi – teatrali e non – legati agli scenari di ricerca contemporanei. L’assessore alla cultura Andrea Colasio introduce una programmazione che per la stagione 2011/12 si articola in tre diversi momenti, nel tentativo di far dialogare le politiche culturali della città con lo spazio scenico allestito all’interno del vecchio monastero patavino.

«Contrappunti_1:RAM» è il titolo assegnato alla prima parte della rassegna, che si inserisce infatti nel ciclo di eventi, mostre e laboratori organizzato dal Comune di Padova per promuovere l’arte, con un particolare sguardo ai linguaggi contemporanei e novecenteschi. Il primo appuntamento – previsto per sabato 10 e domenica 11 dicembre – prevede il riallestimento di Canto dell’albero, un lavoro realizzato da Tam Teatromusica nel 1998 e ripreso in occasione dell’anno internazionale delle foreste proclamato dall’ONU. Lo spettacolo costituisce il primo passo in un percorso che pone al centro della sua proposta l’infanzia, creando uno spazio di visioni condivise tra adulti e bambini. Si prosegue infatti con Picablo (in scena dal 16 al 22 dicembre), ultima produzione diretta da Michele Sambin e dedicata a Picasso, dove «i quadri prendono vita, vengono interpretati, abitati e trasformati» grazie a un utilizzo dello strumento tecnologico in quanto elemento per destare stupore e meraviglia; si ritorna poi al 2007 con quell’Anima blu (20, 21 e 22 gennaio 2012) su Marc Chagall e con il quale il Tam ha ottenuto diversi riconoscimenti internazionali. La prima sezione della rassegna si conclude con l’ultimo lavoro di Pantakin Circo Teatro (già presente nella scorsa edizione con Cirk) realizzato con Silvia Gribaudi e Tiziano Scarpa: Emanuele Pasqualini (regista, attore e clown della formazione veneta) racconta di come Circoparola (27 e 28 gennaio) nasca dal bisogno di forzare i limiti dei linguaggi scenici, accogliendo nell’universo espressivo circense una parola con la quale “giocoleggiare”.

Per la seconda sezione («Contrappunti_2: Universi Diversi») Tam Teatromusica decide di chiamare a dialogare – attraverso i propri lavori – i protagonisti della «tradizione dell’innovazione» (come la definisce Maria Cinzia Zanellato, membro della compagnia impegnata in un lavoro con gli adolescenti e con i detenuti della Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova) con giovani artisti il cui lavoro difficilmente accede ai circuiti “ufficiali”: accanto a César Brie – presente il 9 marzo con 120 chili di jazz – e a L’archivio delle anime. Amleto (23 marzo) di Massimiliano Donato con il Centro Teatrale Umbro, si esibirà il 17 febbraio l’Aleph Company con Oh Carrot! (spettacolo realizzato con il sostegno di Nu.D.I – Nuova Danza Indipendente e Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza), mentre il 24 febbraio sarà la volta del napoletano Teatringestazione con Canto trasfigurato. L’interesse per le due formazioni nasce nel primo caso dalla ricerca sulla commistione sui linguaggi (musica, danza, teatro e video) avviata dalla danzatrice e coreografa Margherita Pirotto, nel secondo dalla sperimentazione di nuove modalità di produzione e diffusione della cultura teatrale che ha portato la formazione campana a dare vita a luglio 2011 ad «Altofest», una rassegna realizzata in spazi privati che i cittadini hanno offerto agli artisti ospitati. L’attenzione è rivolta quindi sì a orizzonti espressivi che si interrogano su questioni estetiche e poetiche, ma anche circa la costruzione di nuovi spazi in cui impiantare l’esperienza teatrale, favorendo così l’incontro con nuovi pubblici.

Ed è sulla scia di questa indagine che è pensata la parte conclusiva della rassegna: «Contrappunti_3: festival relAzione Urbana» si interroga infatti sul rapporto tra artisti e città, attraverso spettacoli, momenti performativi e formativi tesi a rivelare la città come palcoscenico dove intessere nuove forme di convivenza umana. Il festival riprende in parte l’esperienza realizzata per le strade di Padova il 27 marzo 2011 per la Giornata mondiale del Teatro, durante la quale le compagnie del territorio animarono le piazze con le loro esibizioni per manifestare il dissenso contro i tagli economici e una politica svilente rispetto al ruolo della cultura e alle sue professionalità. Accanto ai tre spettacoli allestiti presso il Teatro delle Maddalene (Report della città fragile con Gigi Gherzi per la regia di Pietro Floridia, La città fragile. Seppellitemi in piedi di e con Beppe Rosso e Città dentro Città fuori – ispirato a Le città invisibili di Italo Calvino – di Stalker Teatro), Padova si animerà di performance e videoinstallazioni tra le quali il lavoro di  A2, una formazione parigina inserita all’interno del festival grazie alla collaborazione tra Tam e l’area Creatività dell’Ufficio Progetto Giovani di Padova che aderisce a un programma di mobilità internazionale di artisti e operatori culturali.

Con questa edizione di «Contrappunti», Tam Teatromusica e il Comune di Padova sembrano dialogare per dare vita a un progetto culturale che porti alla luce le potenzialità comunicative di un teatro che non sappia solo parlare, ma anche mettersi in ascolto del cittadino, chiamato a essere parte attiva all’interno del processo di costruzione dei percorsi espressivi. Un primo passo – forse – per preparare gli abitanti patavini al ritorno (accennato dallo stesso assessore Colasio) del festival «Teatri delle Mura», secondo una nuova formula di cui ancora non si conoscono i tratti. Rimane solo da sperare che – a partire dalla rassegna curata dal Tam – Padova riapra le porte delle sue mura a orizzonti di sperimentazione e (perché no) di respiro internazionale, come ci avevano abituato le direzioni artistiche di Andrea Porcheddu per lo stesso «Teatri delle Mura».

Giulia Tirelli

La riscoperta dell’immagine

Appunti su Poesia à la carte di Claudia Fabris, E se fosse lieve di Vasco Mirandola e Enrica Salvatori, Fiore del nulla di Tam Teatromusica

A volte è necessario privarsi delle cose. Cercare il limite tra “utile”, “superfluo” e “necessario”, per riaffiorare poi nel mondo con una nuova consapevolezza. Operano in questo senso i tre eventi svoltisi presso il Teatro delle Maddalene l’8 e il 9 aprile 2011. Attraverso i lavori di Claudia Fabris, di Vasco Mirandola con Enrica Salvatori e di Tam Teatromusica il teatro si trasforma in luogo di depurazione e ri-nascita, ma anche di riscoperta del potere dell’immaginazione e dello sguardo. Uno sguardo che segue direzioni diverse e che si posa, di volta in volta, su spazi dell’anima e dello spirito arrugginiti in quella che da molto tempo viene definita la società dell’immagine. In questo “trittico” di eventi, la scena rivela di nuovo l’enorme potenziale insito in uno spazio da millenni deputato ad ospitare — prima del cinema, del video e del cartone animato — la figura in movimento e in agire. I tre lavori sembrano riaffermare la necessità di recuperare una polisemia non legata a visioni veicolate e vincolate da schemi percettivi consolidati e abusati da sistemi quali la pubblicità, la televisione e, perché no, da tanto cinema che riempie i cartelloni delle multisale. Punto di partenza di questo processo che coinvolge attivamente lo spettatore, costringendolo a confrontarsi con i limiti e le fratture create da uno scarso esercizio delle proprie capacità immaginative, è la parola poetica, e con lei la voce.

Poesia à la carte

Se si dovesse tracciare un percorso ideale per far riaffiorare di nuovo le potenzialità creative del cervello umano, bisognerebbe partire dall’esperienza offerta da Claudia Fabris con Poesia à la carte: menù alla mano lo spettatore sceglie le sue portate e attende che l’artista gliele serva, personalmente, intimamente. Tra le rocce presenti nello spazio antistante il teatro, un materasso ricoperto di velluto rosso accoglie l’affamato, che vi ci si adagia liberandosi dal peso della quotidianità, abbandonato all’abbraccio del caldo suono delle parole dell’interprete. Una voce in grado di trasformare un materasso in una vasca di deprivazione sensoriale, in cui è possibile cogliere in pochi, preziosissimi minuti il sapore di immagini che, appena accennate, scivolano veloci sullo schermo della mente.

E se fosse lieve

Dopo questo rituale preliminare che permette di recuperare un contatto con la specificità dei propri processi immaginativi, lo spettatore è in grado di entrare a teatro con una visione depurata, pronto ad accogliere E se fosse lieve, spettacolo nato da un’idea di Vasco Mirandola. Servendosi delle parole di grandi poeti come Szymborksa, Gualtieri, Burroughs, Prevèrt, Dickinson e Neruda, l’attore conduce il suo pubblico in un viaggio onirico alla riscoperta di un mondo interiore tutto da costruire, da visualizzare. Evitando il facile rischio di inciampare in uno spettacolo in cui il corpo e la scenografia si fanno didascalia e parafrasi del testo poetico, Mirandola trasforma il palcoscenico in uno spazio totalmente altro, di cui è impossibile immaginare la natura o la collocazione grazie al timbro della sua voce, alla sua capacità di servirsi della parola come di uno strumento per sorprendere con accenti, cadenze e ritmi. Complici nella costruzione di questo universo fluttuante, le coreografie e il corpo di Enrica Salvatori che, come una musa, si muove leggera in questo scenario, trascinando e guidando lo stesso Mirandola in una danza di abbandono, di cui ogni elemento diventa parte integrante e interagente: le sculture e i disegni di Carlo Schiavon, le luci di Luca Diodato e i costumi di Silvana Galota. Lontano dal volere restituire un messaggio, la forza dello spettacolo risiede proprio nel far scorrere leggere e imperturbabili le parole in un flusso che si insinua gentilmente nello spettatore. Un gioco di non-costrizione che si rispecchia sul palcoscenico in quegli inseguimenti tra Mirandola e la Salvatori, in cui tutto sembra ridotto a gioco, emozione: la parola rincorre l’immagine e l’immagine rincorre la parola. Ed è negli scarti che si creano in questi incontri mancati che esplode la bellezza di entrambi. D’altra parte è lo stesso Mirandola a scrivere nel foglio di sala: «Non so (grassetto originale) se sia più giusto dire che questa sera sentirete o vedrete delle poesie, se ascolterete o se sarete toccati dalle parole, vi toccheranno delle parole, toccherete con mano, le parole toccheranno proprio a voi, del resto vi spetta, siete spettatori, avete aspettato per questo.»

Fiore del nulla

Il percorso ideale si conclude con Fiore del nulla Viaggio sentimentale nei paesaggi di Diego Valeri, ideato da Fernando Marchiori per la messa in scena di Michele Sambin. In questo lavoro che si muove tra i territori di confine del teatro, del play concert e della lettura interpretata, l’immagine ritorna sulla scena del Teatro delle Maddalene sotto forma di pittura digitale (Michele Sambin e Alessandro Martinello) per accompagnare la voce di Pierangela Allegro e le note di Michele Sambin. Coerentemente con la ricerca che la compagnia conduce sin dalla sua nascita, anche in questo omaggio al poeta padovano Diego Valeri la tecnologia non si limita ad asservirsi all’inno alla natura e alla bellezza insito nelle parole del poeta. Basta un microfono che, al pari di un fiore, sboccia da uno spazio verde che richiama i contorni di un giardino edenico per suggerire il ruolo riservato ad una categoria che ha sempre destato grandi dubbi e perplessità circa il suo statuto artistico ed estetico. Al pari della parola poetica, lo strumento tecnologico si presenta come frutto della natura e strumento dell’artista per decantarne e rifletterne la bellezza: mixer, computer, videoproiettore e microfoni si pongono al servizio di un’intelligenza creatrice tesa allo svisceramento di un’interiorità seriamente compromessa nella società dell’immagine. Non a caso, forse, i teli bianchi presenti in scena, posizionati a diversi livelli e profondità, suggeriscono un’intuizione che già Antonioni aveva espresso: «Ma noi sappiamo che sotto l’immagine rivelata ce n’é un’altra più fedele alla realtà, e sotto quest’altra un’altra ancora, e di nuovo un’altra sotto quest’ultima, fino alla vera immagine di quella realtà, assoluta, misteriosa che nessuno vedrà mai.» Attraverso questo lavoro di alto lirismo in cui la leggerezza dell’interpretazione solleva l’animo e la luce corre veloce scivolando sulle parole, Tam Teatromusica sembra quindi suggerire al pubblico che, nonostante l’abuso di immagini elettroniche e digitali a cui si è sottoposti quotidianamente, è necessario oltrepassare l’apparenza più superficiale per poter svelare la pienezza del visibile, servendo di tutti i linguaggi e gli indizi disponibili.

Assumono quindi particolare valore le parole di Adolfo Mignemi che nel suo libro Lo sguardo e l’immagine scrive: «l’esistenza umana è andata assumendo una maggiore “organizzazione visuale” — come sostiene José Luis L. Aranguren —  in cui accanto a una certa decadenza della parola scritta, affiorano sia i linguaggi formalizzati della cibernetica, sia l’immagine cosiddetta figurativa nella stampa, nella pubblicità, nel cinema, nella televisione. Ma l’immagine appare nel mondo odierno non come “sostitutivo” della parola, bensì come integrazione – talvolta insostituibile – di essa».

Visti ed esperiti al Teatro delle Maddalene, Padova

Giulia Tirelli

Confini da abbattere

Recensione a Annibale non l’ha mai fatto – TAM Teatromusica

Durante la stagione 2009/2010, diversi appuntamenti hanno trasformato il palcoscenico del Teatro delle Maddalene in un luogo dove la diversità potesse cercare un contatto con l’Altro, con ciò che le è estraneo. Partendo da In cammino (TAM Teatromusica) e passando per Kish Kush (Teatrodistinto) si è giunti ad Annibale non l’ha mai fatto, nato dal progetto TAM Teatrocarcere, condotto da Andrea Pennacchi e M.Cinzia Zanellato. Il progetto, che quest’anno festeggia il 15^ anno di attività, parte dal presupposto che “il teatro in carcere sia necessario a chi è dentro, ma anche a chi sta fuori” (Michele Sambin, direttore del TAM). Protagonisti, due performer: Andrea Pennacchi e Kessaci Farid, attualmente detenuto presso il carcere Due Palazzi di Padova.
Essere consapevoli della reclusione che Farid sta scontando permette allo spettatore di esplorare nuovi schemi interpretativi e accedere a chiavi di lettura inedite. La scena si carica di significati che, nella nostra quotidianità, nella nostra normalità, ha perso molto tempo fa. Il palco improvvisamente si ritrasforma in un luogo di libertà: Farid e Andrea ci ricordano con la loro presenza come le quinte, il pavimento, il soffitto rappresentino uno spazio mentale che, nonostante la concretezza dei confini, è in grado di espandersi raggiungendo luoghi, punti di vista e prospettive lontani. Uno spazio in cui il tempo può essere percorso come un labirinto, per salti e sospensioni, in ogni direzione: partendo dal percorso di Annibale e della sua storica traversata delle Alpi, Andrea e Farid, nel ruolo l’uno di Arba, elefantessa matriarca, e l’altro del proprio nonno, 37 nonni fa, ricostruiscono le vicende di un’affinità, di un’unione che sa di integrazione e comprensione. Due diversi mondi sono chiamati non solo a comunicare, ma anche a cooperare per poter superare difficoltà apparentemente insormontabili: l’attraversamento del fiume, la discesa delle Alpi innevate e la battaglia rappresentano quindi momenti chiave per la comprensione di un processo di integrazione che investe la società in cui viviamo e che si concretizzano sulla scena attraverso il rapporto tra l’animale e l’essere umano.

Dal palco trasuda un bisogno di osservare la nostra realtà quotidiana da un punto sopraelevato per poter risolvere le incomprensioni legate all’incapacità di comunicare, ritrovando un senso d’umanità ormai dimenticato. È infatti un viaggio che si muove per direttrici verticali quello che compiono Arba/Andrea e il nonno di Farid/Farid. Una verticalità suggerita, e all’occorrenza enfatizzata, dalla scenografia, costituita da pochi elementi estremamente funzionali: coni di telo bianco si trasformano, grazie ai video realizzati da Raffaella Rivi, in fiumi, cieli, pagine di libri, zampe di elefante, scenari in grado di completare e dare un senso al racconto dei due performer, le cui parole, elemento centrale della narrazione orale, acquistano un maggior senso di verità attraverso le azioni sceniche che li mettono alla prova. Non a caso, sono due scale gli oggetti attraverso cui vengono suggeriti gli spostamenti e le condizioni di viaggio dei due protagonisti: esplorandone le componenti e sperimentandone le posizioni, i due performer suggeriscono allo spettatore quelle montagne, quei fiumi e quelle pianure che tappezzano il viaggio di Annibale e dei suoi uomini. Questo moto verticale trova compimento solo sul finire dello spettacolo, quando Arba cede alla battaglia perdendo la propria vita. In questo momento di morte trova però spazio la descrizione di una fraternità rinata: il radunarsi degli animali attorno alla loro simile non può che ricordare a noi esseri umani quanto sia necessario essere presenti nel momento della sofferenza, chiunque essa colpisca. È quindi il concretizzarsi dell’anima di Arba sulla scena, personificata da Claudia Fabris, che costringe lo spettatore a fare i conti con una tensione ascensionale travolgente, trasformando lo spettacolo in un’esperienza che realmente può contribuire alla crescita personale di chi partecipa a questo rito collettivo.

Servendosi di immagini semplici e immediate, ancora una volta TAM Teatromusica riesce quindi a scavalcare i limiti fisici del teatro per parlarci di cose concrete e che costellano la nostra vita quotidiana. Grazie al progetto Teatrocarcere la scena si carica di nuovi significati, in grado di creare un punto di contatto tra il pubblico e il palcoscenico, rompendo quella barriera che troppo spesso poniamo tra la realtà e la finzione, tra l’arte e la vita.

Visto al Teatro delle Maddalene, Padova

Giulia Tirelli

Sguardi sonori

Foto di Claudia Fabris

Recensione a In camminoTam Teatromusica

Guardare il mondo con gli occhi di un bambino significa riscoprire la purezza di uno sguardo che scruta lo spazio e le sue forme incuriosito, alla scoperta di ciò che si cela dentro le cose, gli oggetti, le persone, i suoni, le emozioni.
Con In cammino, andato in scena al Teatro delle Maddalene dal 18 al 20 dicembre dell’anno che ci ha lasciato,  Tam Teatromusica riscopre il piacere di indagare la realtà come se fosse un fanciullo ad esplorarla. Forme pure, concrete, geometriche interagiscono con un corpo che all’occorrenza le manipola, le gestisce e le usa e, a volte, semplicemente le scopre.

Foto di Claudia Fabris

Flavia Bussolotto, in perfetta sintonia con lo spazio che la circonda, si muove tra blocchi granitici ispirati alle sculture di Graziano Pompili: una scenografia mobile che a modo suo interagisce con il corpo umano. Lo spazio teatrale si fa simbolo del mondo, ma di un mondo ancora incontaminato, inesplorato. L’uomo, esattamente come un fanciullo pascoliano, si trova immerso in un universo ancora da scoprire e in grado di stimolare le sue facoltà mentali, ancora connesse ad una sfera divina che gli permette di cogliere quegli aspetti che si celano alla vista e che solo uno sguardo che si serve di tutti i sensi è in grado di svelare, ricreando così nella propria mente un’immagine completa. La vista, l’udito e il tatto guidano l’attrice/performer in un viaggio alla riscoperta del mito della creazione, quasi come se solo la presenza umana sia in grado di dare un senso al mondo. Tuttavia nessun antropocentrismo domina la visione che emerge dallo spettacolo. Il riferimento ai miti della creazione degli aborigeni australiani, che vedono negli elementi geografico-topografici le tracce di creature mitologiche che hanno lasciato il segno del loro passaggio sulla Terra, e a Le vie dei canti di Bruce Chatwin si carica di un significato quanto mai attuale: il rispetto per la natura che ci circonda e un invito a prestarle l’attenzione che merita. Non a caso, inizialmente, sono proprio i suoni che sembrano scaturire dagli elementi presenti in scena a guidare l’uomo nella sua esplorazione, nel suo viaggio: un viaggio che lo porterà alla scoperta della volta celeste, di qualcosa di misterioso che la parola non è in grado di spiegare, la cui bellezza, pregnante di significato, si può cogliere solo attraverso la contemplazione. Non a caso, il viaggio sembra essere guidato dai suoni (curati da Paolo Tizianel) che, affiancandosi, creano musiche e melodie in grado di trasportare il pubblico all’Origine del mondo, sfuggendo a qualsiasi legge spazio-temporale, in un tempo in cui l’uomo era ancora incapace di qualsiasi tipo di violenza, verso se stesso, verso gli altri, verso le natura.

Nella sua assoluta semplicità (a volte quasi ingenuità) lo spettacolo sembra insegnare a bambini, spettatori e destinatari privilegiati, ed adulti come il rispetto per tutto ciò con cui vengono a contatto sia la base per poter scoprire o riscoprire le meraviglie del mondo in cui vivono. Farlo attraverso il teatro significa riconoscere a questo linguaggio la capacità di dissotterrare nuovamente, nonostante il bombardamento di immagini a cui siamo continuamente sottoposti, la bellezza della vita, intesa non come successione di eventi, ma come dono che ci permette di riconoscere l’infinita meraviglia che si cela in ciò che ci sta vicino e che, da molto tempo, solo l’arte è in grado di riportare alla luce.

Visto al Teatro delle Maddalene, Padova

Giulia Tirelli