recensione teatro sotterraneo

Collegamenti “sotterranei” tra calcio e teatro

Recensione a Finale del mondoTeatro Sotterraneo

foto di Valentina Bianchi

Collegamenti ricercati e casuali, temporalità sottese e inaspettate in una rete che unisce il teatro al mondo calcistico, il pubblico televisivo a quello radiofonico, in una serie di rimandi a catena che si incrociano tutti su uno stesso piano: il presente.

Per il Festival di Santarcangelo, diretto quest’anno da Enrico Casagrande, il giovane collettivo fiorentino Teatro Sotterraneo ha creato un evento particolare che agiva su più livelli: solo uditivo per chi da casa ascoltava il radiodramma in diretta su Radio 3 Rai e uditivo/visivo per chi lo seguiva seduto sugli spalti dello stadio della cittadina romagnola. Con un titolo che parla già da sé, Finale del mondo ha dato vita a un cortocircuito più che a un vero e proprio collegamento: mentre a Johannesburg si giocava il secondo tempo per decretare i vincitori della coppa del mondo, nel campo di calcio di Santarcangelo due uomini – Iacopo Braca e Daniele Villa – si fronteggiavano la palla; nel frattempo dagli spalti due speaker – Matteo Ceccarelli e Sara Bonaventura – raccontavano in radiocronaca l’ipotetico avvicinamento di un attentatore allo stadio sudafricano. Troppo semplice chiudere qui la ragnatela di legami, tanto che Sotterraneo ha alzato la posta in gioco: Claudio Cirri chiedeva continuamente ai due speaker un collegamento per poter aggiornare i radioascoltatori di Radio 3 Rai e gli spettatori di Santarcangelo sugli spostamenti del terrorista, mentre dalla tribuna degli ospiti uno pseudo-tifoso seguiva, sventolando una bandiera con tanto di fumogeni giallo/rossi, la vera finale mondiale calcistica da un piccolo televisore portatile.Pseudo-collegamento anche per Cirri, che avrebbe parlato in diretta da Johannesburg, stadio in cui lo spettatore si è trovato ipoteticamente catapultato quando l’annunciato ingresso dell’eventuale attentatore nel campo sudafricano è avvenuto realmente nello stadio sì, ma di Santarcangelo. Dalla sua borsa fortunatamente è uscita solo un’asta e un microfono da cui è scaturito il suo potente “credo”: The show must go on. Lo spettacolo della vita deve continuare, il mondo deve andare avanti nonostante i mondiali, superato il momento di euforia e di sospensione che vede milioni e milioni di persone seguire tutte quante sintonizzate lo stesso evento. Una parentesi che ogni quattro anni si ripete, che decreta un popolo vincitore, una festa obbligata di una nazione che si paralizza.

foto di Valentina Bianchi

Il fascino del “pallone” ha vinto anche la maggior parte degli spettatori che a Santarcangelo hanno seguito dagli spalti la Finale del mondo, ma quella raccontata da Teatro Sotterraneo: nonostante i due speaker e il cronista in collegamento raccontassero con foga e con convinzione gli spostamenti dell’uomo misterioso, il pubblico non riusciva a staccare gli occhi dall’azione dell’uno contro uno di Braca-Villa che avveniva nel piccolo campo, tanto da esultare ad ogni goal, anche nei momenti più delicati e agghiaccianti della storia. Chissà se gli ascoltatori di Radio 3 Rai – inconsapevoli di ciò che veniva nel campo di Santarcangelo – hanno seguito il radiodramma ad occhi chiusi immaginandosi la storia, o se nel frattempo guardavano le immagini della finale in diretta da Johannesburg. Tutto è possibile. Anche il collegamento più improbabile. O la realtà più amara e sconcertante del giorno successivo, quando la radio dava la vera notizia di un attentato avvenuto in Uganda mentre più di settanta tifosi seguivano su un maxi schermo la finale del mondo in diretta da Johannesburg. Una sospensione dallo scorrere della vita che durerà purtroppo per loro più di 90 minuti.

Visto a Santarcangelo dei Teatri, Santarcangelo di Romagna

Carlotta Tringali

Darwin e la visionarietà di Teatro Sotterraneo

Recensione a L’origine della specieTeatro Sotterraneo

La Terra, l’unico corpo planetario del sistema solare adatto a sostenere la vita, vacilla. Lo dicono media, profezie e tesi catastrofiste. Lo lasciano intendere le relazioni della Commissione Europea e l’attenzione che viene posta al problema dell’ambiente. Ma non solo. Vi sono stragi, devastazioni, uomini che uccidono altri uomini. Vi sono correnti scientifiche, artistiche e filosofiche che hanno posto al centro delle loro riflessioni l’involuzione dell’uomo. In fondo lo stesso naturalista Charles Darwin parlava diuna lotta continua per la sopravvivenza all’interno della stessa specie. In un percorso a ritroso, dalla fine all’origine, Teatro Sotterraneo si confronta con il trattato darwiniano, ponendo l’attenzione sulla finitezza dell’uomo e, di rimbalzo, sulla società contemporanea.

Il dittico creato dalla compagnia, a partire da Dies Irae_5 episodi intorno alla fine della specie e conclusosi con L’origine della specie, lancia l’ennesima sfida allo spettatore e alla sua libertà interpretativa, approfondendo ulteriormente la ricerca perseguita dal collettivo nella sfera della ricezione. L’opera di Darwin viene riletta, elaborata e ricontestualizzata dalla drammaturgia originale di Daniele Villa con uno slittamento temporale che catapulta lo stesso Darwin nella nostra epoca. Il lavoro, coprodotto dallo Stabile della Toscana, prende avvio da una simulazione, da una riproposizione dell’accaduto sulla quale si era già soffermata la compagnia con Dies irae e in cui la storiografia veniva esplicata nella sua fallacia e parzialità. Ciò che diede inizio all’Universo, il Big Bang, non viene rappresentato nell’illusoria prima esplosione, bensì l’accaduto è ricercato e ricreato in laboratorio da un gruppo di scienziati. Tramite l’ausilio di proiezioni e altre tecnologie, come quella di un programma informatico che adotta il meccanismo dei videogiochi, Sara Bonaventura, Iacopo Braca e Claudio Cirri procedono alla creazione della Terra. Dapprima viene introdotta la specie vegetale, poi animale, via via fino all’intelligente e curiosa apparizione dell’uomo in cui creazionismo ed evoluzionismo si incontrano e sembrano sopravvivere entrambe allo scontro. Adamo ed Eva attraversano l’evoluzione dell’uomo, dalla scimmia all’homo erectus, fino alla conoscenza e all’uso del linguaggio. I presupposti fondamentali della teoria evoluzionistica si susseguono. La mutazione e la selezione si sviluppano nella figura di un panda, un enorme peluche. L’ultimo Panda sulla Terra, vittima impotente della selezione, vuole porre fine alla sua vita. A dissuaderlo da questo suicidio, giunge Mickey Mouse mostrandogli come lui si sia adattato alla selezione naturale modificando il suo aspetto con il passare del tempo. In questa divertente ma acuta lettura dell’umanità, la figura di Darwin approda in scena con la sua barba bianca, in un’iconografia riconoscibile e popolare. Come figura mistica la sua presenza si limita all’apparizione, nessuna parola gli è concessa, solo un confronto con altre figure di epoche successive che hanno convissuto e si sono scontrate con le sue teorie come Marx, Hitler, Papa Wojtyla o Andy Warhol. Esposto tutto questo si può procedere alla distruzione della Terra, una fine che con coerenza drammaturgica e storica viene determinata dall’uomo, dalla sua presa di coscienza che la vita non può essere eterna. Gli scheletri umani vengono sostituiti da altre forme di vita e che queste siano aliene o meno, l’evoluzione continua.

Anche se sono stati sperimentati nuovi linguaggi più o meno funzionali (come nel caso del video in cui appaiono forse eccessivi gli accostamenti e le proposte, dal videogioco all’animazione fino al documentario), la visione de L’origine della specie è un’immersione totale nella poetica di Teatro Sotterraneo. L’importante incontro con la “stabilità” teatrale sembra avere trattenuto parte dell’ironia caratteristica del gruppo ma la scena è stata comunque invasa dalla loro energia. Riproduzione, mutazione e selezione delle componenti artistiche di Teatro Sotterraneo.

Visto al Teatro Fabbricone, Prato

Elena Conti

La corsa di Teatro Sotterraneo

Recensione a La Cosa 1 – Teatro Sotterraneo

foto di Paolo Rapalino

Immobilità: una cosa sciocca. Più che sciocca, improbabile. Unica possibilità? Correre. Senza sapere dove si va, senza fermarsi un attimo a pensare. Semplicemente fare. La Cosa 1: una corsa, un fare, un procedere. Puro svuotamento di azioni e nessun sentimento, riflesso nel palco vuoto, senza alcuna scenografia. Il giovane gruppo Teatro Sotterraneo porta in scena un’energia folle, una frenetica esistenza fatta di un fare malato, disperato, esasperato: un fare che spesso non porta ad alcuna conclusione. Solo alla considerazione che devi correre. E per farlo devi essere ben attrezzato. Lo richiede la stessa sopravvivenza.

Il corpo dei quattro performer Iacopo Braca, Sara Bonaventura, Matteo Ceccarelli e Claudio Cirri vive una sofferenza, si ferma per pochi secondi: piccoli quadri, sketch di brevi episodi della propria vita, veri o inventati; situazioni. Il montaggio è serrato: Matteo sciorina al pubblico le violenze subite da tutti i suoi parenti, un mega pupazzo azzurro è sommerso di domande personali a cui non tenta neanche di rispondere, in una tenda da campeggio viene data una festa, su una panchina si susseguono dichiarazioni d’amore. Non si ha un vero discorso da fare: è una drammaturgia di azioni, non ci sono personaggi fittizzi, i performer si chiamano con i loro stessi nomi. Sono. E ancora situazioni: si regala una canzone romantica a cui si affidano i propri sentimenti. Forse anche essi vuoti. L’alternativa è scrivere una lettera. Inconcludente. O parlare in lingua giapponese. Incomprensibile. Non c’è tempo per soffermarsi troppo su quello che succede. Alle cose non si arriva preparati. Accadono. Passano.

Teatro Sotterraneo, fresco del Premio Ubu Speciale 2009, usa un linguaggio divertente, coinvolge il pubblico chiedendo dei numeri casuali che avranno poi delle conseguenze, una volta tradotti dai performer in azioni – schiaffi, baci, conti alla rovescia –: è il fare alla sua ennesima potenza. Daniele Villa, dramaturg di questo geniale collettivo teatrale, spinge il testo all’estremo, con situazioni al limite del paradossale; ma lo fa con un’intelligenza sottile che fa sorridere e che nasconde tutta la verità – e assurdità – del nostro vivere quotidiano.

Dopo essersi fermati per un’ora a teatro si esce e si ricomincia a correre, cercando di recuperare un tempo che però non è andato in questo caso perduto. Magari dopo aver visto questa corsa folle ci si soffermerà di più a vivere e a trattenere delle situazioni, riempiendole di significato, per non lasciarle correre via senza farne rimanere traccia. Dopo tutto: “si vive una volta sola”.

Visto al Teatro Aurora, Marghera

Carlotta Tringali

Tracce Sotterranee

Recensione a Dies Irae_cinque episodi intorno la  fine della specie Teatro Sotterraneo

21:00 / 60’00” Tempo e contro-tempo. La prima immagine è un countdown: sono le ventuno e un timer indica che lo spettacolo finirà tra sessanta minuti. Un’ora per indagare la fine della specie: la specie umana, ovviamente.Asettiche tute bianche, onomatopee e macchie; sembra uno splatter da fumetto, provoca il riso, ma l’effetto straniante delle prime azioni si trasforma in brivido quando la ripetizione e l’urlo caricano la scena di realtà: come  scuotendo una vecchia polaroid, dalla buffa macchia iniziale si delinea un volto, una maschera di panico e dolore. È seriale, è un processo creativo, è il tempo che scorre. Creazione e distruzione si rincorrono sulla scena, ogni immagine è distrutta dalla precedente, ogni azione dalla seguente, in un perpetuo tentativo di trovare e lasciare tracce.Si lasciano segni nel tempo, nello spazio, a volte evidenti, altre meno.
Il lavoro di Teatro Sotterraneo è un lavoro archeologico alla ricerca e definizione dei segni lasciati dalla specie: una ricostruzione dei fatti che lascia anch’essa prove inequivocabili. Cinque immagini che lavorano intorno allo scorrere del tempo, alla catalogazione dell’essere umano, in tutte le sue parti fisiche e non – sentimenti, desideri, paure. Molti i temi trattati e le fonti d’ispirazione: la scrittura scenica di Daniele Villa è carica di riferimenti. Ogni episodio parla un linguaggio diverso dal precedente, dal fumetto alla radio, alla fotografia, al cinema. Ma tutti sono destinati alla stessa fine: sparire per restare solo una prova e venire sotterrati dall’episodio successivo, fino all’esaurimento. L’unica figura ricorrente e personaggio con una sua evoluzione è quella del testimone; alla fine di ogni episodio egli riferisce l’ accaduto, e lo fa con il pubblico e per il pubblico, assumendosi un senso di responsabilità che si rivela però insostenibile, fino a logorare la testimonianza in un unico silenzio.

Il linguaggio espressivo di questo giovane gruppo toscano è variegato e spazia dalla performance al talk show televisivo, coinvolgendo il pubblico attraverso le strategie più immediate, domande dirette o l’interazione con telefono cellulare. Linguaggi e mezzi espressivi semplici che si costruiscono in giochi e scatole cinesi; la serialità e la ripetizione, tipiche del work-in-progress, divengono parte integrante del lavoro finito assumendo un nuovo significato e portando il processo creativo direttamente in scena.

Visto a Ponte Alto, VIE Scena contemporanea Festival 2009

Camilla Toso