drodesera

Un viaggio nei mondi di Drodesera

ph Alessandro Sala

ph Alessandro Sala

Non è cosa semplice oggi guardare al futuro. La società che si dipinge ogni giorno ai nostri occhi è spesso problematica, in crisi, lamentosa, arrabbiata, insicura, in difficoltà. Si cercano strade sicure da battere e perseguire: complicato trovarle e impossibile esser certi che siano quelle giuste. Bisogna tentare, aprirsi, mettersi in gioco, senza cercare la perfezione ma dando spazio a una necessità, ascoltarla, approfondirla e, se si riesce, soddisfarla; restare in ascolto, essere pronti a ciò che si modifica intorno a noi, intuire che da una piccolissima azione può accadere l’incredibile, può mutare il contesto e nascere un nuovo mondo, che prima non esisteva; nascosti, proprio in un angolo remoto mai considerato possono apparire dei germi che prima o poi si trasformeranno in vita.

World Breakers ha accolto delle necessità, dei cambiamenti, li ha incubati e ha lasciato loro spazio: la trentaseiesima edizione di Drodesera, a Centrale Fies, portava questo titolo e invocava proprio “i mondi ideali o semplicemente affini a chi li ha creati e l’inevitabile mutazione dello stadio originario che può avvenire anche per il più delicato battito d’ali”. Per mostrare queste possibilità, World Breakers presentava diversi “mondi” al suo interno, ossia quattro progetti differenti fatti da pensieri che si compenetravano e che contemporaneamente convivevano, nutrendosi l’un l’altro, distinti e allo stesso tempo affini: World 1 con la direzione artistica di Barbara Boninsegna e la co-curatela di Filippo Andreatta dedicato agli spettacoli più teatrali-performativi; World 2 focalizzato su Live Works_Performance Act Award con la curatela di Boninsegna, Daniel Blanga Gubbay, Denis Isaia, Simone Frangi, sezione ormai arrivata al suo quarto anno di vita in cui l’arte visiva si intreccia con le performing arts (per approfondire si può leggere la rassegna stampa che gli abbiamo dedicato l’anno scorso); World 3 con Urban Heat International lab Art, data and activism curato da Mali Weil, Annika Uprus e Sodja Lotker dove 15 tra artisti, studiosi e operatori si sono confrontati per tre giorni sulla ricerca partecipata e collaborativa di pratiche collocate tra arte, geografia culturale e attivismo; World 4 con Helicotrema recorded audio festival curato dal collettivo Blauer Hase e Giulia Morucchio: all’interno della splendida sala Forgia della Centrale il tempo si sospendeva con le tante persone sedute o distese a terra intente ad ascoltare brevi lavori artistici registrati esclusivamente su supporti audio che aprivano ad altri universi, storie, vite possibili.

Quattro Mondi per un’unica sede: Centrale Fies. Il coraggio da apprezzare di questo luogo risiede proprio qui, nell’intuizione e tentativo di creare ponti verso altre arti e nuove possibilità; di rischiare affidando parti di programmazione a curatori specializzati in campi che sconfinano dal performativo o l’installativo. Si allarga lo sguardo, si amplificano le realtà, si tenta di racchiudere germi vitali in queste bolle di possibilità, in dieci giorni di festa in cui si vive e si sperimentano sensazioni di rottura, fascinazione, ricerca; e si può provare la stessa percezione che regala un salto nel vuoto: l’atterraggio non è mai certo, ma restituisce la vertigine data da sorprese inattese. (E la sua bellezza nel guardare con la curvatura dello sguardo al salto appena compiuto, al coraggio nascosto, al suo attraversamento).

E cosa c’è di più inatteso del futuro: beffardo, stralunato, incerto, preoccupante; anche solo pensarlo può essere però pieno di stimoli e vitale. Alcuni dei lavori a cui chi scrive ha assistito durante il festival sembravano avere proprio questo fil rouge, un invisibile filo di ragnatela proiettato verso il futuro: cartoline dal futuro per Sotterraneo, previsioni del futuro per CollettivO CineticO, attenzione all’educazione come preoccupazione verso il futuro con Anagoor.

Postcards from future_ph Alessandro Sala

Postcards from the future_ph Alessandro Sala

In Postcards from the future di Sotterraneo, come suggerisce lo stesso titolo, il pubblico, diviso tramite dei braccialetti colorati fra chi è chiamato ad agire o ad assistere, inscena/osserva situazioni utopiche/screanzate/violente/postumane: nello stile dissacratorio, divertente ma mai innocente della compagnia toscana, vengono consegnati al pubblico tre tableaux vivants in cui germi abbastanza paradossali del nostro oggi sono portati alle estreme conseguenze, andando a costruire situazioni/soluzioni di vita in cui la parola normalità perde ogni tipo di significato e si è circondati da eccezioni e ibridi che respirano. Il 2036, il 2066 e il 3066 ci restituiscono tre scatti: anni lontani, paradossali in cui il pubblico è chiamato a prendere parte per riconsegnare un fermo-immagine-riassunto di uno stile di vita estremo, in cui appaiono degli oggetti che si fanno carichi di significato (un’ascia, delle maschere animalesche, transenne). Pensare al folle futuro senza valorizzare il fatto che noi siamo qui oggi e ora, perdendo di vista il mondo intorno a noi, il nostro presente. Allo spettatore all’uscita viene consegnato un foglietto che spiega come si possano richiedere queste cartoline/scatti in un momento imprecisato del futuro prossimo per tenere il ricordo di quello che è stato e vedere se almeno una piccola parte degli scenari utopici di Sotterraneo si sono realizzati.

Francesca Pennini_ph Alessandro Sala

La casa di pietra del fratello maggiore_ph Alessandro Sala

In Socrate il sopravvissuto / come le foglie la compagnia Anagoor, attraverso il romanzo Il sopravvissuto di Antonio Scurati e il Fedone di Platone riflette magistralmente sul significato di educazione oggi, sulla figura dei maestri, su quello che lasciano nei cuori e nelle menti dei loro discepoli/allievi. C’è in questo spettacolo, che raggiunge livelli altissimi di tensione e realizzazione scenica, un’attenzione rivolta al domani mai scontata, con delle domande faticose ma necessarie e forse anche per questo coraggiose: quale è il mondo che consegniamo ai nostri posteri, quale la memoria che tramandiamo e quindi quale futuro ci meritiamo? (per un approfondimento su questo spettacolo rimandiamo all’articolo di Roberta Ferraresi).

Continuando a srotolare il fil rouge rivolto al futuro, ci si imbatte nella performance di CollettivO CineticO La Casa di Pietra del Fratello Maggiore. Pensato per 6 spettatori alla volta, il lavoro della compagnia guidata da Francesca Pennini e Angelo Pedroni è un mini-viaggio che attraversa le stanze sotterranee della foresteria di Centrale Fies; un viaggio che si determina sin dall’inizio per ogni partecipante grazie a delle previsioni di futuro. Dalla pancia di un orsacchiotto viene infatti chiesto allo spettatore di estrarre l’oggetto che indicherà il percorso successivo. Solo così si potrà accedere a ulteriori stanze segrete che aprono a spettacoli privati: ognuno si costruisce il proprio viaggio/tragitto come nella vita stessa. E allora si può incontrare la splendida Pennini che a occhi chiusi e al buio danza illuminata da una piccola torcia, e viverlo come un regalo; mentre da un’altra parte viene chiesto di disegnare un pene per poi compiere il rito dell’evirazione: si invoca la rinascita o un gesto propiziatorio per ingraziarsi il proprio domani.

Il futuro si affaccia giorno dopo giorno ed è visibile nel nostro presente: sta a noi scegliere come accoglierlo o anticiparlo e tentare di intercettarlo come succede a Centrale Fies ogni anno, giorno dopo giorno, cura dopo cura.

Carlotta Tringali

 

 

Tutorial: organizzare un festival

TUTORIAL: come si fanno le “cose” del teatro? Ce lo facciamo raccontare dalle persone che il teatro lo costruiscono o lo immaginano. In maniera veloce, come i trucchi del mestiere, come i consigli degli esperti.

Questa prima uscita, come il tema del trimestre, è dedicata ai “Festival”. Abbiamo chiesto proprio ai direttori artistici e ai curatori, quali siano le 3 cose assolutamente da fare e le 3 da evitare per creare un festival, per cercare di restituire la varietà di approccio che anima il paesaggio teatrale italiano.

 

BARBARA BONINSEGNA
Drodesera / Centrale Fies
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DA FARE DA NON FARE
Aprire gli occhi sul presente, non solo artistico, non solo politico, non solo iconografico. Adagiarsi sul consolidato
Mettersi in relazione col luogo in cui vivi mantenendo alta la proposta artistica senza mai cedere a compromessi rispetto alla facilità di comprensione, ma piuttosto lavorando col e sul pubblico locale. Spendere soldi che non hai
Mantenere l’indipendenza. Intesa come capacità di muoversi liberamente dal punto di vista filosofico, teorico, pratico e politico senza essere mai preda di qualcuno. Non copiare i festival degli altri (:D)
LUCA RICCI
Kilowatt Festival
kilowatt ok
DA FARE DA NON FARE
Costruire un rapporto corretto con gli artisti – Qualunque siano le condizioni economiche dalle quali si parte, gli accordi con gli artisti devono essere chiari, rispettosi del loro sforzo creativo e della loro condizione di lavoratori. Si può anche partire con pochissimo (a noi è capitato così, avevamo 2.500 euro per l’edizione 2003, il primo anno) e chiedere agli artisti di investire in un progetto, ma poi è fondamentale ricordarsi di quegli stessi artisti, una volta che il festival è cresciuto. Meno sono le economie a disposizione e più gli artisti devono conoscere i dettagli del budget, di modo da essere in condizione di poter scegliere se partecipare o meno. Scambiare la propria gratificazione con un bisogno diffuso – Se un festival non è costruito intorno a una precisa analisi delle caratteristiche e ai bisogni della comunità di riferimento, non diventa realmente necessario, ma soltanto autorefenziale. Quando parlo di comunità di riferimento lo dico in senso largo: la comunità di riferimento è al tempo stesso quella locale (coi politici, i cittadini), così come quella delle aree limitrofe o degli appassionati del settore, ma anche quella dei colleghi, a livello nazionale.
Costruire un progetto e non una lista di spettacoli – È fondamentale vedere tanti spettacoli dal vivo e tanto materiale video, perché la conoscenza del panorama è un pre-requisito imprescindibile, ma bisogna anche coltivare una visione in base alla quale la sequenza degli spettacoli scelti non corrisponda a un semplice elenco di titoli, ma sia orientata a un obiettivo ultimo, definisca un progetto, disegni una visione. Copiare gli altri – Se una cosa c’è già, non ha senso rifarla; quel che conta è costruire un progetto creativo intorno a una propria idea originale. Abbiamo bisogno di esplorare ciò che è ignoto piuttosto che di piccoli cabotaggi verso mete già conosciute.
Saper dire no – Come in molte cose della vita dire sì a tutti è facile, ma sono i no che fanno la differenza. Anche nei confronti degli artisti che si stimano non serve essere compiacenti: non aiuta il loro processo creativo e men che meno aiuta il rafforzamento del progetto di festival. Farlo per forza – Se non ci sono le condizioni minime, meglio desistere.
SALVATORE TRAMACERE
Il Teatro dei Luoghi Fest
KOREJA
DA FARE DA NON FARE
È importante la chiarezza del progetto artistico proposto e della coerenza del piano di comunicazione: programmare per tempo e utilizzare tutti gli strumenti utili ad un’adeguata promozione. Non disorientare il pubblico, le compagnie e gli ospiti; non trascurare l’accoglienza: precisione, puntualità e disponibilità.
Far convivere una realtà che valorizzi il territorio (non solo tramite la programmazione ma anche attraverso il coinvolgimento attivo di pubblico e realtà locali, associazioni, collaboratori, ristorazione ecc.) per far sì che si crei un senso forte di aggregazione e comunità. Non chiudersi nel provincialismo.
È importante la coesione del gruppo e della comunicazione interna: riunioni interne e di micro-area; divisione dei compiti ma prontezza di spirito e adattabilità a qualsiasi situazione attraverso un’adeguata capacità di problem solving. Evitare malumori nel gruppo e situazioni d’emergenza.
DARIO DE LUCA
Primavera dei Teatri / Progetto MORE
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DA FARE DA NON FARE
Dare una specificità al proprio festival e perseguirla in maniera rigorosa, aliena da concessioni o compromessi. Un festival con una peculiarità ha carattere, personalità e lo rende riconoscibile. Poi, nel tempo, può, e deve, cambiare, evolversi, invecchiare bene insomma, ma facendo un cambio-pelle naturale e fisiologico. Non dare una personalità al proprio festival.
Accogliere tutti (spettatori, compagnie, operatori e critici) con affabilità. Nessuno deve sentirsi a disagio. È come invitare al proprio matrimonio: dove devono convivere ospiti che non si conoscono tra loro o peggio che non possono vedersi. Non abbandonare nessuno. Non far sentire solo o poco considerato l’ospite. Li hai invitati a una festa a casa tua? Ebbene quella festa devono ricordarsela. Un buon gioco di squadra è essenziale per questo punto. Essere disattento o addirittura assente con l’ospite, sia esso spettatore, artista, operatore o critico.
Gli spettacoli e i gruppi o gli artisti singoli devono realmente convincere la direzione artistica. Costruire l’edizione artistica del festival seguendo le reali convinzioni estetiche e il proprio gusto personale tenendo conto della koinè culturale nel quale si inserisce il progetto prescelto. Non trasformare la programmazione in un contenitore di proposte inserite perché: “bisogna tener conto degli artisti del territorio”, “a quelli dobbiamo un piacere”, “quell’artista va per la maggiore”, “tal dei tali ci ha chiesto di prenderli” etc. etc.  Solo così non sarai mai ricattabile e potrai difendere sempre e a spada tratta le scelte fatte. Costruire un progetto nel quale non ci si riconosce ma che tiene conto di “altre dinamiche”.
Avere una squadra tecnica in grado di risolvere tutti i problemi che possono verificarsi durante il festival. Un festival di teatro è fatto per presentare dei lavori teatrali (spesso in prima visione per cui con la fragilità e delicatezza delle piantine appena spuntate) e questi hanno la massima priorità. Una squadra tecnica accogliente, che sappia mettere a proprio agio gli artisti, sia a disposizione e all’occorrenza sappia consigliare per rendere più efficace quello spettacolo in quel determinato spazio teatrale. Che la cortesia, la disponibilità, la professionalità e il comune intento di resa massima della performance non si tramuti o venga presa per genuflessione acritica nei confronti dell’artista demiurgo dell’opera. Lasciare gli artisti soli senza alcun aiuto e/o supporto emotivo.

 

ANGELA FUMAROLA e FABIO MASI
Armunia / Inequilibrio
armunia
1. ANGELA FUMAROLA
DA FARE DA NON FARE
Dedicare tempo alle scelte artistiche, ponderando bene il bilanciamento delle serata, al fine di rendere ogni giorno un’esperienza unica. Omologarsi.
Puntare al senso di ogni spettacolo e alla sua capacità di interagire con lo spazio emotivo, rigenerandolo. Avere ansia e fretta.
Dare valore all’accoglienza, intesa come ritualità, per il pubblico, per gli artisti e per il gruppo di lavoro. Non riconoscere il contesto di riferimento nel quale si svolge il festival.
2. FABIO MASI
Creare le migliori condizioni per accompagnare la versatilità delle varie proposte artistiche in modo da avere un maggior spettro di proposte, senza l’esigenza di una tematica o filone da seguire. Essere meno vetrina e più processi creativi.
Realizzare un ambiente e un “clima” accogliente e facilitatore di intrecci e confronti. Non creare l’ansia di “correre” a vedere gli spettacoli.
Fare di un festival il luogo e lo spazio dell’ampliamento degli orizzonti artistici e culturali grazie ad altre iniziative non direttamente connesse alla programmazione vera e propria.

 

FABRIZIO ARCURI
Short Theatre
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DA FARE DA NON FARE
Evolversi dai propri gusti. Dare priorità ai propri gusti.
Costruire un contenitore in grado di comunicare con la società. Costruire qualcosa a propria immagine e somiglianza.
Essere curiosi di quello che non si conosce, del nuovo. Essere spaventati dal nuovo.

 

CARLO MANGOLINI
Operaestate Festival Veneto
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DA FARE DA NON FARE
LA PAROLA CHIAVE E’ CONDIVISIONE  LA PAROLA CHIAVE E’ CHIUSURA
ARTISTI / Per costruire i contenuti artistici è indispensabile mettersi in ascolto. Intercettare tutto quello che accade attorno a noi. Costruire un percorso riconoscibile. Comunicare con gli artisti, ascoltarli, interpretarli, capire le loro potenzialità. MAI ESSERE AUTOREFERENZIALI / Evitare di ripetere se stessi.
STAFF / Per rendere efficace il risultato è fondamentale poter contare su un gruppo di persone con le quali condividere idee, pensieri ma anche fatica, sudore e tanto tempo da dedicare al progetto. MAI ESSERE PRESUNTUOSI / Non essere sicuri mai di niente.
PUBBLICO / Per intercettare il pubblico è necessario conoscerlo e farsi conoscere. Spiegare percorsi e direzioni di lavoro, trovare modalità di coinvolgimenti, creare momenti di approfondimento. MAI ESSERE ASSENTI / Prendersi cura di tutti: artisti, staff, pubblico, ma anche stampa, operatori e chiunque entra il relazione col festival .
SILVIA BOTTIROLI
Santarcangelo Festival
santarcangelo
DA FARE DA NON FARE
Viaggiare, frequentare ciò che non si conosce. Fare esperienza della scomodità, del senso di straniamento, del non capire, della stanchezza, del voler tornare a casa, e insieme dell’eccitazione, della curiosità, del puro piacere del viaggio. Porsi nella condizione di non sapere e farla durare, condividendola con il gruppo di lavoro e con gli artisti, perché questa vibrazione di incertezza e desiderio si trasmetta poi anche agli spettatori e ai passanti. Non costruire recinti, non tracciare sentieri nel bosco, non trasformare i sentieri in grandi strade asfaltate. Non addomesticare, non addomesticarsi: se si vogliono fare, e condividere con altri, incontri straordinari, bisogna avventurarsi in luoghi sconosciuti e pericolosi, non si troverà mai una balena in una vaschetta per pesci rossi.
Fidarsi. Del caso, della generosità delle persone con cui si lavora, dell’intuito degli artisti, della curiosità esigente del pubblico. Del tempo, degli incontri, del fatto che alla fine tutto è connesso e ogni dettaglio contiene l’intero. Fidarsi, soprattutto, di sé e del proprio istinto. Non accontentarsi. È necessario essere esigenti con gli artisti, perché in un confronto serrato possano far crescere la loro libertà, e con le istituzioni, i partner e gli spettatori, perché possano andare dove da soli non andrebbero, dove non sanno di potere o voler andare. E naturalmente essere esigenti con se stessi, essere scontenti, insicuri, ambiziosi, rigorosissimi.
Darsi delle priorità. Non si riesce a fare tutto, e non si può rispondere a tutte le aspettative che sono poste su di un festival. La vera responsabilità è allora quella di fare delle scelte, di darsi delle priorità e un ordine, da seguire sia nel tempo lungo degli anni in cui si imprime una traiettoria a un’istituzione artistica, sia nel tempo brevissimo delle singole giornate di lavoro. E che le priorità cambino, si sa, è una regola del gioco: rende tutto più difficile ma anche più entusiasmante. Non tentare di compiacere nessuno. Si lavora per l’arte e per niente e nessun altro che l’arte. Non per sé, non per certi artisti, non per le istituzioni o i network professionali, non per il pubblico. E alchemicamente, se si respinge la tentazione del compiacimento e della ricerca di approvazione, grandi cose possono accadere per tutti, anche per chi avrebbe voluto essere rassicurato nella sua visione del mondo e invece ne scopre altre nuove.
EDOARDO DONATINI
Contemporanea Festival
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DA FARE DA NON FARE
È fondamentale che un festival sia aggregatore di un’idea di cultura in continuo movimento, un luogo reagente che raccoglie percorsi artistici provenienti da diverse discipline, un connettore di relazioni in cui la trasversalità dei linguaggi caratterizza in maniera consistente la ricerca compositiva e le metodologie della visione. Non fermarsi all’idea dei grandi eventi che non favorisce la costruzione di una comunità capace di difendere le proprie conquiste, passo dopo passo, acquisizione dopo acquisizione.
Considerare lo spettatore come committente in rappresentanza della sua comunità di riferimento; ed è qui che la creazione ristabilisce il giusto spazio d’incontro tra l’agire della scena e il fruire dello spettatore. In questo senso acquista ancora più valore l’attitudine del festival a costruire ambienti complessi, da cui scaturiscono questioni, elementi attivi che innescano continuamente nuove criticità. Considerare lo spettatore come un soggetto “acritico”, un cliente che non è in grado di giudicare e valutare. Evitare il facile consenso che si ottiene dalla proposta di spettacoli che richiamano solo alla pratica dell’intrattenimento o del semplice accompagnamento.
Assumere la responsabilità delle scelte e delle questioni messe in atto, domande che possono creare disorientamenti, che obbligano il pubblico al confronto con prospettive non sempre immediatamente comprensibili, ma forse, facilmente percepibili. La funzione di un festival non può limitarsi alla sola ricerca del nuovo o al mero elenco degli spettacoli in programma.